La Corte Suprema degli Stati Uniti ha rimosso un altro ostacolo alle inflessibili politiche del presidente Trump sull’immigrazione clandestina, anche se con alcune riserve.
Da quando Trump è tornato alla Casa Bianca, la suprema corte è già intervenuta in sette ricorsi contro le politiche sull’immigrazione del Presidente. Venerdì scorso ha concesso all’amministrazione di revocare lo status legale temporaneo (concesso da Biden) a centinaia di migliaia di migranti, autorizzando inoltre la revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari per oltre 500 mila migranti da Venezuela, Cuba, Haiti e Nicaragua, annullando un provvedimento che ne impediva la cancellazione. Lo scorso 19 maggio ha anche approvato la fine dello status di protezione temporanea per oltre 300 mila venezuelani, ma ci sono casi in cui i giudici hanno sottolineato che l’amministrazione deve rispettare la Costituzione, garantendo ai migranti un trattamento equo. «Questo presidente è stato più aggressivo di qualsiasi altro nella storia moderna americana nel rimpatriare gli immigrati», ha dichiarato Kevin Johnson, esperto di diritto dell’immigrazione e interesse pubblico all’Università della California, Davis. Nessun presidente nella storia recente «è stato altrettanto disposto a rimpatriare gli immigrati senza un regolare processo».
Questa dinamica ha spinto la Corte Suprema a controllare le modalità delle azioni dell’amministrazione, senza però contestare a livello legale le politiche della Casa Bianca: «Il presidente Trump opera entro la propria autorità legale di rimpatriare i migranti clandestini e proteggere gli americani. La Corte Suprema ha giustamente riconosciuto questo potere in alcuni casi, ma in altri ha introdotto nuovi diritti per i migranti irregolari, rendendo l’America meno sicura. Siamo certi che le nostre azioni rispettino la legge e continueremo a lottare per mantenere le promesse del Presidente», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Abigail Jackson a Reuters.
Per due volte – il 7 aprile e il 16 maggio – i giudici hanno limitato il tentativo dell’amministrazione di invocare l’Alien Enemies Act (usato storicamente solo in caso di guerra) per espellere per direttissima i migranti venezuelani accusati di appartenere alla feroce organizzazione criminale denominata Tren de Aragua.
Il 16 maggio, i giudici hanno bloccato il tentativo dell’amministrazione di espellere i migranti da un centro di detenzione in Texas, giudicandolo non conforme ai principi costituzionali sostenendo che un preavviso di 24 ore e privo di determinate procedure non sia sufficiente per procedere con il rimpatrio o l’espulsione.
In ogni caso, la Corte Suprema non ha vietato esplicitamente all’amministrazione di procedere con queste espulsioni in forza dell’Alien Enemies Act, poiché non ha ancora valutato se l’uso della legge per questo scopo sia stato o meno legittimo. L’ultima volta che la Casa Bianca ha invocato l’Alien Enemies Act è stato durante la Seconda Guerra Mondiale, per rimpatriare persone di origine giapponese, tedesca e italiana.
«La Corte ha ribadito in diversi casi alcuni principi fondamentali del diritto costituzionale, incluso che il giusto procedimento debba essere garantito a tutte le persone sul suolo statunitense», ha dichiarato Elora Mukherjee della Facoltà di Giurisprudenza della Columbia. Anche rispetto a chi sia accusato di essere un criminale la Corte «è stata estremamente chiara: ha diritto a un preavviso prima di essere rimpatriato».