Mentre si intensificano le speculazioni sulle mosse che Pechino potrebbe adottare nei confronti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante i negoziati commerciali, diverse testate giornalistiche, in Europa, negli Stati Uniti e altrove, ipotizzano che la Cina possa minacciare di ridurre la dipendenza della propria economia dal dollaro – un processo noto come “de-dollarizzazione” – o addirittura di vendere le sue ingenti riserve di titoli di Stato americani.
Entrambe le ipotesi, tuttavia, appaiono alquanto improbabili, soprattutto come strumenti immediati di pressione negoziale. È facile comprendere perché gli analisti si concentrino su scenari come la de-dollarizzazione. Da anni, il governo cinese si impegna per accrescere il prestigio internazionale dello yuan, spesso a scapito del dollaro.
Ad esempio, nell’ambito dell’ambiziosa Nuova Via della Seta, Pechino insiste affinché contratti e accordi siano denominati in yuan anziché in dollari, rompendo con la prassi consolidata in altre parti del mondo. La Cina ha inoltre incoraggiato l’allontanamento dal dollaro tra i Paesi del gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
La Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, promossa da Pechino, eroga prestiti e sovvenzioni in yuan, non in dollari. Anche gli acquisti di petrolio su larga scala vengono sempre più spesso regolati in yuan, e le transazioni con la Russia avvengono senza l’uso del dollaro. La Banca popolare cinese ha sostenuto questi sforzi promuovendo l’adozione di uno yuan digitale.
Tuttavia, Pechino è pienamente consapevole che la Cina, in quanto economia fortemente orientata all’export, necessita di dollari per sostenere le proprie attività commerciali con la maggior parte delle nazioni. Nonostante gli sforzi per promuovere lo yuan, il dollaro rimane la valuta di riferimento per l’80% delle transazioni di import-export a livello internazionale, anche in assenza di coinvolgimenti diretti degli Stati Uniti.
Inoltre, il dollaro è presente nel 90% di tutte le operazioni valutarie, rispetto a un modesto 4% dello yuan. La Cina potrebbe teoricamente abbandonare il dollaro e accedere comunque ai circuiti commerciali e valutari internazionali, ma dovrebbe accettare meccanismi molto meno efficienti. In altre parole, la de-dollarizzazione danneggerebbe la Cina molto più degli Stati Uniti, un dato ben noto sia a Pechino che a Washington.
Allo stesso modo, è improbabile che la Cina minacci di vendere le sue riserve di titoli di Stato americani. Non si può negare che tali riserve siano considerevoli: alcune stime le quantificano in poco meno di mille miliardi di dollari, seconde solo a quelle del Giappone, che ammontano a circa mille e130 miliardi di dollari. Questo patrimonio potrebbe sembrare un’arma di pressione, ma tutte le parti coinvolte sanno che una vendita massiccia priverebbe la Cina di un mercato liquido in cui investire le sue necessarie riserve in dollari.
Inoltre, un’operazione di questo tipo deprimerebbe il valore dei titoli di Stato americani, causando perdite significative per Pechino in un momento in cui le difficoltà economiche interne rendono tali perdite particolarmente difficili da sostenere. Certo, una vendita massiccia arrecherebbe danni anche a Washington, ma colpirebbe Pechino in misura ancora maggiore, e entrambe le parti ne sono consapevoli.
Pechino sa inoltre che i suoi interessi sarebbero penalizzati da qualsiasi mossa che indebolisse il valore del dollaro sul mercato valutario, rafforzando al contempo lo yuan. In queste circostanze, le autorità cinesi avrebbero tutto l’interesse a indebolire il valore dello yuan rispetto al dollaro. Una tale misura renderebbe i prodotti cinesi più competitivi per i compratori che utilizzano il dollaro, mitigando così parte dell’impatto negativo dei dazi americani, esistenti o annunciati.
Recentemente, lo yuan ha guadagnato valore rispetto al dollaro. Pechino potrebbe invertire questa tendenza smorzando attivamente le aspettative sulla valuta, ad esempio smentendo pubblicamente qualsiasi ipotesi di de-dollarizzazione o di vendita delle riserve di titoli di Stato americani.
Va detto che la situazione rimane altamente incerta. Le prossime mosse di Trump sono difficili da prevedere, così come quelle di Pechino. Nonostante l’incertezza, è possibile escludere con ragionevole certezza le ipotesi di de-dollarizzazione o di vendite massicce di titoli, sia per le ragioni pratiche qui esposte sia perché, in questi negoziati, la Cina ha tutto l’interesse a evitare di provocare Washington.
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