Nel 1992 Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, coordinati dall’allora procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli, erano i primi protagonisti dell’inchiesta chiamata “Mani Pulite”, iniziata con l’arresto per corruzione alla casa di riposo Pio Albergo Trivulzio di Milano di un esponente di rilievo del Partito Socialista italiano: Mario Chiesa. L’arresto di Chiesa scatenò una raffica impressionante di indagini giudiziarie che, nel giro di pochi mesi, si “replicarono” nelle procure di tutta Italia, mettendo fine alla cosiddetta Prima Repubblica. La Storia italiana cambiò per sempre.
Oggi, chiediamo a Antonio Di Pietro il suo punto di vista sulla riforma Nordio, che prevede la definitiva separazione delle carriere tra la magistratura inquirente e quella giudicante, la creazione di due Consigli Superiori della Magistratura e soprattuto di un nuovo organo, l’Alta Corte disciplinare, che avrà la responsabilità di valutare la condotta e l’operato dei magistrati italiani.
Dottor Di Pietro, perché ha cambiato idea sulla separazione delle carriere?
Io non ho mai cambiato idea sulla Riforma della Magistratura rispetto alle modifiche costituzionali introdotte nel lontano 1989.
Fino ad allora, il sistema processuale era di tipo “inquisitorio”: il magistrato (che si chiamava giudice istruttore all’epoca) prima faceva le indagini e poi decideva lui stesso se le aveva fatte bene o meno.
Dal 1989 il sistema processuale è di tipo “accusatorio” il che vuol dire che c’è un magistrato (il pubblico ministero) che fa le indagini e un magistrato diverso, di un altro Ufficio, ovvero il Gip (giudice per le indagini preliminari) che autorizza il Pm a effettuare atti invasivi sulla persona sottoposta alle indagini (ad esempio custodia cautelare, intercettazioni eccetera) e poi, all’esito delle stesse, il Gup (giudice per l’udienza preliminare) decide se archiviare l’inchiesta o se rinviare a giudizio l’imputato, in modo che un ulteriore giudice (salvo che non si tratti di un giudizio abbreviato) possa poi stabilire – all’esito di un confronto alla pari fra pubblica accusa (rappresentata dal Pm) e privata difesa (a cura dell’avvocato difensore) – se una persona sia innocente o colpevole.
Quindi – attese le diverse funzioni e i diversi ruoli che i vari magistrati devono svolgere nell’attivare e portare avanti un procedimento penale – a me era parso sin da subito un epilogo naturale quello di procedere anche alla separazione delle carriere. Senonché, negli anni successivi, con la scusa della separazione delle carriere (e ribadisco con la furbesca scusa), l’allora premier e leader di Forza Italia Silvio Berlusconi voleva modificare anche una norma fondamentale della nostra Costituzione e cioè l’articolo 104 che sancisce la totale autonomia e indipendenza della magistratura, sia essa giudicante che inquirente (il Pm, appunto).
Non solo io personalmente ma quasi tutti gli italiani si sono ribellati a un’ipotesi del genere ed è per tale ragione che ho detto più volte che – a quelle condizioni – non era accettabile la separazione delle carriere dei magistrati. Ora non è più così perché l’articolo 104 della Costituzione non viene affatto modificato e, quindi, rimane fermo il principio di autonomia e indipendenza di tutti i magistrati.
Certo, rispetto ai tempi dell’inchiesta Mani Pulite, la credibilità della magistratura è fortemente scemata, ma questo dato di fatto è conseguente a una pluralità di circostanze, tra cui il comportamento di taluni esponenti politici che – per non rispondere delle loro malefatte – hanno criminalizzato l’opera dei magistrati. Abbiamo assistito, poi, allo svilupparsi di un sistema dell’informazione troppo spesso sottomessa agli ordini dei loro padroni.
Ma dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che anche le azioni azzardate di taluni magistrati, e soprattutto la gestione opaca dell’organizzazione giudiziaria da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, hanno contribuito non poco a ridurre la fiducia nei loro confronti da parte dell’opinione pubblica.
Perché è importante, a livello “tecnico”, che le carriere di magistrati giudicanti e magistrati inquirenti siano separate?
Il cosiddetto “sistema accusatorio” del processo penale intanto ha ragione di esistere in quanto – ripeto, come sancisce l’articolo 104 della Costituzione – le parti (accusa e difesa) si possano confrontare in una situazione di parità di fronte a un giudice terzo.
La parola “terzo” è un termine che risulta scritto proprio nella Costituzione (vedasi l’articolo 111). Ed è evidente che se in un processo c’è un “soggetto terzo” vuol dire che ci sono anche un “primo” e un “secondo”. Ma se uno dei due è fratello del terzo, e sin dall’inizio del concorso per tutto il tempo condividono tutto (il Consiglio superiore della magistratura, le promozioni, gli avanzamenti di carriera, le questioni disciplinari, le valutazioni eccetera) a me pare che ci sia un potenziale conflitto di interesse da risolvere a monte, a prescindere dalla indiscussa buona fede di tutti gli attori del processo.
È come se – in una partita di calcio – uno dei due giocatori si mettesse a fare l’arbitro (e probabilmente lo farebbe pure bene se non addirittura con occhio torvo verso la propria squadra) ma dobbiamo metterci anche nei panni di chi entra in un’aula di giustizia – come imputato, teste o parte lesa – che ha il diritto di sentirsi tranquillo perché sa che dall’altra parte della balaustra c’è un giudice terzo che non guarda in faccia a nessuno preconcettualmente (né a favore né a sfavore) perché non fa parte della stessa famiglia.
Lei ha dichiarato che il vero aspetto importante e positivo della riforma non è la separazione delle carriere (che di fatto già esiste, dopo la riforma Cartabia) quanto piuttosto l’introduzione del sorteggio per la selezione dei componenti del Consiglio Superiore della magistratura, perché?
È un rimedio. Se ci fosse un rimedio migliore, ben venga. Da anni e per anni si è cercato un rimedio migliore allo strapotere delle correnti all’interno del Csm ma purtroppo — come l’ex Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, dottor Palamara, ha spiegato pubblicamente – i componenti di tale organismo hanno spesso preso le proprie decisioni in maniera non trasparente favorendo interessi particolari delle proprie correnti di appartenenza. A questo punto, il sorteggio a me pare un modo alquanto trasparente per risolvere una situazione incancrenita.
Peraltro, il sorteggio non obbliga il magistrato sorteggiato ad andare al Csm se non vuole. Ma, nel caso ritenga opportuno andarci, sicuramente ne avrà le competenze perché – se è vero come è vero che, in quanto magistrato, può decidere della vita di un cittadino potendogli rifilare anche l’ergastolo – certamente potrà partecipare all’interno di un organismo collegiale composto da 30 suoi pari.
Ma soprattutto, la cosa più importante della riforma che andremo a votare quando ci sarà il referendum è l’introduzione dell’Alta Corte disciplinare, un organismo di nuova costituzione che toglie al Csm il ruolo di giudice disciplinare dei magistrati che rappresenta, come invece è avvenuto finora, con la conseguenza che, spesso, le decisioni disciplinari prese sono servite più a una resa dei conti all’interno delle correnti che una giusta decisione verso chi è stato sottoposto a procedimento disciplinare.
Lei ha dichiarato, in un’intervista al Corriere della Sera pubblicata il 31 ottobre: «Ho vissuto tutte le situazioni previste dal codice di procedura penale. Sono stato: avvocato, imputato, indagato, parte lesa, parte offesa, testimone, poliziotto, Pm. A seconda della “giacchetta” che indossi, quando entri in un’aula di giustizia il tuo stato d’animo cambia. Ecco perché vorrei avere davanti un giudice da non temere». Per quali ragioni è possibile trovarsi nella situazione di dover temere il giudice? Che tipo di dinamiche si concretizzano durante un procedimento penale?
Attualmente, quando si entra in un’aula di giustizia Accusa e Difesa sono parti processuali formalmente già alla pari. Ma di fatto rimane il pregiudizio – per le parti private e i loro difensori – di trovarsi di fronte a magistrati (il Pm e il giudice) che, facendo parte della stessa famiglia, tendono a difendere le proprie idee. E tale pregiudizio (spesso, anzi quasi sempre, sbagliato, in verità) può ora essere superato completando la riforma del sistema accusatorio con la separazione delle carriere.
Insomma, piaccia o non piaccia, chi entra in un’aula di giustizia, vi entra con pregiudizio. E ciò è dovuto al fatto che non si è completata la separazione delle carriere, perché quei due magistrati – il giudice e il pubblico ministero – oggi stanno lì, ma domani uno dei due potrebbe dipendere dall’altro (ad esempio quando uno di essi chiederà un trasferimento, o dovrà essere sottoposto a una valutazione disciplinare o a una promozione). La trasparenza non riguarda solo il modo di essere e di operare del magistrato ma è anche ciò che appare all’esterno, a prescindere dalla sua volontà. Io non metto in dubbio che i magistrati siano tutti corretti, però bisogna anche apparire, non solo a esserlo.
Allarghiamo il ragionamento. Nel sistema statunitense i capi delle procure (a livello di contea) sono avvocati eletti dal popolo e i sostituti sono, a loro volta, “semplici” avvocati assunti dal procuratore capo. In Italia, anche dopo l’eventuale vittoria del sì, i pubblici accusatori sono e restano parte di un “corpo” dello Stato: la magistratura. Concettualmente, i due sistemi sono separati da una differenza abissale. A suo avviso – rispetto al nostro sistema – la pubblica accusa in America è più o meno libera da influenze politiche o di altro genere?
Mai e poi mai mi augurerei che in Italia ci fosse lo stesso sistema americano. Grazie a Dio, la nostra Costituzione, specie con riferimento alla questione giustizia, è all’avanguardia e da esempio per il mondo intero. Avere un pubblico ministero scelto dall’esecutivo e addirittura un giudice scelto dal popolo (come succede negli Stati Uniti) vuol dire avere, da una parte, il pubblico ministero non più indipendente e autonomo nell’esercitare l’azione penale e, dall’altra, mandare a fare il giudice qualcuno scelto a seconda della pancia del popolo del momento.
Io ritengo che noi dobbiamo essere orgogliosi di ciò che prevede la nostra Costituzione, in quanto l’indipendenza e l’autonomia della magistratura e soprattutto l’unicità della giurisdizione – sia essa inquirente che giudicante – sono beni sacri in uno Stato di diritto. È assolutamente necessario che da noi il Pm resti all’interno della giurisdizione e che sia, a tutti gli effetti, un magistrato, proprio perché egli ha due doveri fondamentali che dall’altra parte dell’oceano non hanno: l’obbligatorietà dell’azione penale, e il dovere di ricercare le prove anche a favore dell’imputato.
Nicola Gratteri è come lei favorevole al sorteggio. E come lei definisce ormai inutile la separazione della carriere. Però, curiosamente, risulta sostenere il “no”. A Otto e Mezzo, su La7, il procuratore capo di Napoli ha infatti detto: «Sulla separazione delle carriere parlerò fino all’ultimo giorno, lo farò in ogni modo. Sono contrario perché non serve. Solo una minima parte dei magistrati chiede di cambiare carriera, e quando avviene devono cambiare regione. Si insiste così tanto per lo 0,2% di tutti i magistrati? Il secondo passaggio dopo la separazione sarà mettere sotto l’esecutivo i pubblici ministeri, dettando l’agenda e le priorità. La verità è che si vuole burocratizzare la magistratura, trasformare i magistrati in soldati e togliere la possibilità di fare le indagini come andrebbero fatte».
Un passaggio logico per nulla intuitivo, che sembra una sorta di processo alle intenzioni. Lei cosa ne pensa?
È uno spot fatto bene per invogliare i cittadini a votare in un certo modo quando andranno a votare il referendum, ma non corrisponde a ciò che è previsto effettivamente da questa riforma. Ho massimo rispetto professionale e grande stima personale nei confronti del dottor Gratteri, e ha ragione quando dice che, tutto sommato, di fatto la separazione delle carriere è già avvenuta perché non c’è quasi mai più un magistrato che passa da una parte all’altra.
Ma il problema è più complesso perché – quando andremo a votare questa primavera – dobbiamo votare per l’intero pacchetto di proposte referendarie mettendo una sola croce (solo Sì o solo No). Se il referendum fosse “spacchettato” – da una parte la separazione, dall’altra il doppio Csm e il sorteggio e dall’altra ancora l’Alta Corte disciplinare – allora ognuno potrebbe fare anche una valutazione diversa. Siccome, però, si deve mettere una sola croce nella scheda, allora o prendi tutto il pacchetto o lo respingi per intero.
Il dottor Gratteri, legittimamente ha deciso di respingere il tutto, anche quel che gli piace, cioè il sorteggio. Io altrettanto legittimamente credo che sia giunto il momento di chiudere il cerchio di questa riforma rimasta incompiuta dal 1989, quando Berlusconi ancora non esisteva politicamente e quindi è abusivo che ora i suoi seguaci ci vogliano mettere il cappello sopra. So bene quali sono le critiche da parte di chi è contro questa riforma. In questi mesi molti diranno: «guardate che con questa riforma si mette il pubblico ministero sotto l’esecutivo». Ebbene, tale critica è tecnicamente non corretta, giacché, ripeto, l’attuale riforma non modifica in alcun modo l’articolo 104 della Costituzione ove, appunto, è scritto a chiare lettere che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente.
Per cambiare questa disposizione costituzionale ci vuole un’altra riforma costituzionale, quindi un altro referendum, dopo ovviamente quattro ulteriori letture in Parlamento. Quindi tale critica è un’illazione argomentativa che serve solo a spostare l’attenzione del cittadino facendo dire a questa riforma ciò che non dice, ciò che non afferma, ciò che non può fare. Questo dal punto di vista tecnico.
C’è chi invece, dal punto di vista politico, sostiene il contrario e cioè che, dopo la riforma, i magistrati avranno troppo potere. Anche tale affermazione è tecnicamente sbagliata, giacché i magistrati con questa riforma dovranno sempre e semplicemente fare ciò che hanno fatto fin’ora. L’unica differenza è di tipo ordinamentale. Non dimentichiamoci che questa non è la riforma della Giustizia, come imprudentemente viene definita, ma la riforma della Magistratura. La riforma della Giustizia, di cui avremmo un enorme bisogno, non la risolve e non la tocca proprio questa riforma.
Questa è una riforma costituzionale. Non riforma assolutamente la funzionalità della giustizia, perché per far funzionare la giustizia bisogna ridurre i tempi processuali e avere più certezza del Diritto. Ma questo ha bisogno di provvedimenti legislativi e amministrativi diversi dalla modifica costituzionale, soprattutto c’è bisogno di risorse finanziarie, di forze umane e strutture adeguate.
Assumendo che la separazione delle carriere sia ormai “inutile”, secondo lei perché Carlo Nordio, che è a sua volta un ex Pm di notevole esperienza, l’ha inserita nella riforma, rischiando di perdere il referendum su un tema notoriamente tanto controverso?
Io non so perché l’abbia fatto. So, però, che anche io l’avrei fatto, perché andava fatto sin dal 1989. È un po’ come dire che nell’anno 1989 un signore che si chiama Magistratura si è messo un abito nuovo (il processo non più inquisitorio ma accusatorio), ma si è scordato di mettersi la giacchetta o i pantaloni.
Però dopo la riforma Cartabia dei paletti erano già stati messi, dal 2022 è già molto difficile cambiare carriera…
Una cosa sono i paletti, altra cosa è come nasce la carriera. Io e lei – io Pm e lei giudice – quando andiamo a fare un concorso insieme facciamo parte della stessa famiglia, ma poi un giorno lei fa l’arbitro e io faccio il giocatore (e viceversa). L’altro partecipante al processo (ovvero l’imputato e il suo avvocato) permette che sia un po’ preoccupato o no? E torno a ripetere, la separazione delle carriere la si doveva fare già nell’89, e il fatto che non si sia fatta finora non vuol dire che, per pavidità, non si debba mai fare.
Lei – negli anni in cui lavorava a Milano nel pool Mani Pulite – è stato visto da molti come un vero e proprio eroe nazionale e uno dei protagonisti (il principale, per certi versi) di uno snodo cruciale della Storia della nostra nazione. Oggi, a più di trent’anni di distanza, lei “come vede” Tangentopoli e Mani Pulite rispetto all’attuale situazione dell’Italia?
Innanzitutto, le faccio i complimenti perché è una delle poche persone che distingue Mani Pulite da Tangentopoli, perché molto spesso si confondono i due termini.
Tangentopoli è come una signora, che si chiama signora Italia, e che all’epoca della Prima Repubblica aveva preso un cancro che stava andando in metastasi.
Mani Pulite è stato un chirurgo che ha cercato di togliere quella parte più visibile, più aggredibile, del cancro, per cercare di mantenere in vita la signora Italia. Oggi come oggi la signora Italia il cancro ce l’ha ancora, eccome. E ci sono tanti altri chirurghi che cercano di estirpare il cancro per mantenerla in vita dal punto di vista giudiziario.
La differenza tra adesso e allora sta nel fatto che il magistrato, il chirurgo, è diventato meno credibile. Meno credibile perché? Perché purtroppo c’è stato spesso un travisamento dell’obiettivo: ora capita anche che non si facciano più le indagini per scoprire chi abbia commesso un reato, ma per scoprire se qualcuno abbia commesso un reato. E questo tipo di indagini travalica lo Stato di diritto.




