I cileni si recano oggi alle urne per rinnovare la Camera dei deputati, parte del Senato e, soprattutto, per decidere chi sarà il presidente per il quadriennio 2026-2030. Le operazioni di voto si concluderanno non prima delle 18, le 22 in Italia, ma per il fuso orario, le urne sono state già chiuse nei collegi di Australia e Nuova Zelanda. In questi due collegi, stando ai risultati preliminari, è avanti l’esponente del Partito comunista, e candidata della principale coalizione di sinistra, Jeanette Jara: il 55,1 per cento dei consensi a Wellington e il 45,17 a Canberra. Al secondo posto Johannes Kaiser, il più radicale dei tre candidati delle opposizioni di destra: a lui va il 16,9 per cento dei voti in Australia e il 14 in Nuova Zelanda. Si tratta di dati poco significativi anche perché riferiti a un numero relativamente basso di elettori. Stando ai pronostici, e in attesa dei risultati definitivi attesi nella notte, la sfida per la presidenza si potrà sciogliere solo al ballottaggio di dicembre, con un probabile ritorno della destra al governo dopo il mandato del progressista Gabriel Boric.
Ai nastri di partenza si presentano otto candidati, ma sono quattro gli accreditati con reali possibilità di arrivare al ballottaggio: la sinistra è rappresentata dalla comunista Jeanette Jara, già ministro del lavoro nel governo Boric, al momento la favorita dai sondaggi con cifre che si aggirano attorno al 26 per cento delle intenzioni di voto. Un vantaggio dato anche dalla frammentazione delle opposizioni: a destra le preferenze si dividono tra José Antonio Kast, candidato del Partito repubblicano (Pr), al suo terzo tentativo di arrivare alla presidenza, il libertario Johannes Kaiser ed Evelyn Matthei, la più istituzionale delle tre candidature. L’elezione, la prima col voto obbligatorio reintrodotto nel 2022, si svolge con al centro del dibattito politico i temi della sicurezza, del contrasto all’immigrazione illegale e la corruzione. Gli analisti concordano nel descrivere un panorama politico dominato dagli scarsi indici di gradimento del governo uscente. Gli ultimi sondaggi attribuiscono al presidente Gabriel Boric un gradimento non superiore al 37 per cento, in linea con quanto si vede ormai da mesi, segno che la spinta delle rivolte del 2019 – indette per appianare le consolidate differenze di classe e culminate nell’elezione di un giovane ex-comunista alla guida del Paese – si è esaurita. Come peraltro dimostra anche il ripetuto fallimento del tentativo di riscrivere la Costituzione lasciata in eredità da Augusto Pinochet. Oggi l’agenda politica è quasi tutta centrata sui temi della sicurezza: i sondaggi confermano di volta in volta che l’elettorato è pronto a premiare con entusiasmo crescente chi è capace di dare risposte pratiche e immediate, a fronte di un approccio più sociale del governo.
Ne è prova il 69 per cento di consensi certificato da un sondaggio della settimana scorsa, rispetto alla decisione di trasformare un carcere comune in un penitenziario speciale: decisione presa da Boric, altrimenti inviso – come detto – all’elettorato. Per evitare il ballottaggio – in agenda a metà dicembre – un candidato dovrebbe ottenere al primo turno il 50 per cento dei voti o il 40 per cento con uno scarto del 10 per cento sul secondo. Ipotesi che nessun sondaggio mette però in conto. Lo scenario al momento ritenuto più plausibile è che Jara si misurerà contro il più votato dei candidati di destra e che questi sia in un secondo momento capace di ricomporre le fila delle opposizioni, parzialmente ammaccate da una campagna elettorale non priva di polemiche. Kast, avvocato e a lungo deputato, è stato più volte accreditato come leader con le maggiori possibilità di guidare il Paese, frustrate però in due elezioni distinte: nel 2017, da indipendente, e soprattutto nel 2021, sconfitto da Boric. La sua campagna elettorale si centra su temi come una diversa gestione dei fenomeni migratori, la sicurezza e una critica all’attuale esecutivo: il candidato ha promesso «mano dura» con la criminalità e deregolamentazione dello Stato. «La gente dovrà decidere se vuole continuità o un cambiamento radicale», ha detto nel suo discorso di presentazione agli elettori. Il suo nome rappresenta al contempo una sfida per la giovane democrazia sudamericana: José Antonio è il figlio minore di Michel Kast Schindele e Olga Rist Hagspiel, tedeschi emigrati in Cile negli anni ’50. Il padre, come diversi connazionali dell’epoca, era iscritto al partito nazista, mentre uno dei fratelli, Michael, è stato ministro durante la dittatura di Augusto Pinochet e presidente della Banca centrale. Evelyn Matthei, ex sindaco della città di Providencia, è in campo da indipendente ma con il sostegno di forze riconosciute della destra cilena: Renovacion nacional e Evopoli. Anche Matthei ha svolto in passato il ruolo di ministro del Lavoro (nel primo governo di Sebastian Pinera dal 2010 al 2014). La sua promessa di stabilità, leva per rilanciare l’economia, sembra incontrare i favori di una società memore delle contestazioni sociali sfociate nella vittoria di Boric nel 2021. Altro tema di rilievo nel suo programma è la sicurezza, in un Paese che avverte la criminalità come un’emergenza, anche se i numeri sono migliori che nel resto della regione.
«I cileni non vogliono battaglie ideologiche. Vogliono che ci occupiamo di soldi e dei problemi concreti della vita reale», ha detto Matthei commentando la vittoria di Jara alle primarie. La candidatura più imprevedibile è quella di Kaiser, titolare di un’agenda economica «libertaria» (con un ammiccamento al presidente argentino Javier Milei), disposto a giocarsi le parole d’ordine più estreme, dal ripristino della «pena di morte» alla messa al bando del partito comunista, fino all’espulsione di massa dei migranti illegali. Jara, segnalano i suoi sostenitori, ha il vantaggio di essere candidata unica della sinistra – vincitrice di primarie aperte e riconosciute da tutte le forze della coalizione – e quindi potenzialmente già capace di mobilitare numeri importanti in un eventuale ballottaggio. Pur esponente di una forza estrema della coalizione, il Partito comunista cileno, la candidata ha incassato il sostegno convinto degli altri partiti grazie soprattutto alle doti di dialogo e capacità di trovare accordi che media e analisti le riconoscono. Al suo attivo ha le riforme contro le molestie sul lavoro, la legge sulle 40 ore settimanali e una revisione delle pensioni. Nel suo programma di governo ci sono crescita economica basata su domanda interna e redistribuzione; eliminazione delle istituzioni finanziarie private che gestiscono i contributi delle pensioni (Afp); prosieguo nella creazione di un’impresa nazionale del litio e mantenimento del limite del debito pubblico al 45 per cento del Prodotto interno lordo. Dalle urne dovranno uscire anche i nomi dei 155 deputati e di 23 dei 50 membri del Senato. Anche in questo senso l’attesa è che le coalizioni di centrodestra possano controllare il Parlamento con numeri – almeno alla Camera – che potrebbero garantire l’approvazione di leggi per maggioranza semplice. Grande incognita del voto è la presenza di una quota importante di elettori sin qui sfuggita ai sondaggi, quella dei cittadini richiamati obbligatoriamente al voto in base a una legge di tre anni fa. Si parla di un corpo di 5,6 milioni di elettori (su un totale di 15,6) che potrebbero presentarsi alle urne solo per evitare le multe previste dalla legge: elettori genericamente definiti come lontani dalle istituzioni e scettici rispetto alle capacità della politica di dare risposte ai loro problemi, un bacino elettorale che in molti pensano possa essere terreno di conquista per un candidato «outisder» come Kaiser.




