In Cina gli enti locali fanno default mentre “il popolo” perde tutto

di Redazione Eti/Sean Tseng
21 Maggio 2025 16:39 Aggiornato: 21 Maggio 2025 19:09

A differenza dell’Occidente, dove lo Stato garantisce i titoli pubblici acquistati dai cittadini, in Cina il risparmiatore non ha tutele. La vicenda della Jingwei Treasury Bond Service, agenzia municipale attiva da quasi 30 anni a Xi’an, ne è la prova. Quando, a marzo scorso, ha interrotto i rimborsi su quelli che erano stati presentati come titoli di Stato, migliaia di risparmiatori cinesi si sono ritrovati in mano pezzi di carta senza valore. Da allora, centinaia di persone si radunano ogni giorno davanti al municipio della capitale dello Shaanxi per reclamare (inutilmente) i propri soldi.

La Jingwei era stata creata dal governo municipale per attrarre capitali destinati allo sviluppo urbano. Nel corso degli anni aveva emesso obbligazioni e contratto prestiti bancari per finanziare infrastrutture come strade, linee metropolitane e distretti industriali, contando sui proventi derivanti dalla vendita dei terreni e sulla crescita del mercato immobiliare. Il suo default (cioè il fallimento) ha colpito duramente i risparmi familiari di oltre 6 mila investitori, mettendo a rischio più di 10 miliardi di yuan (circa 1 miliardo e 200 milioni di euro) destinati a pensioni, cure mediche e spese per l’istruzione.

Il crollo della domanda immobiliare e la contrazione delle entrate fiscali, stanno distruggendo i mezzi di finanziamento dei governi locali cinesi: il loro debito complessivo è stimato in 78 mila miliardi di yuan, pari a circa 9 mila miliardi di euro, ovvero oltre la metà del Pil cinese. Ogni trimestre scadono obbligazioni per circa mille miliardi di yuan, generando una costante necessità di rifinanziamento. Per tamponare la situazione, da Pechino  il Partito comunista cinese ha avviato un piano straordinario di scambio debitorio da 10 mila miliardi di yuan, finalizzato alla trasformazione del debito occulto in obbligazioni statali a lungo termine. Ma la misura, pur significativa, copre solo una parte del fabbisogno e non offre soluzioni strutturali. Il malcontento del popolo cinese intanto aumenta sempre di più, alimentato anche da precedenti come il congelamento dei conti nelle banche rurali dell’Henan nel 2022 e la recente crisi di Zhongrong Trust. La fiducia nel sistema in Cina è ridotta ormai al minimo.

La storia della finanziaria pubblica locale Jingwei è in questo senso emblematica: controllata dalla Xi’an Industrial Investment Group Co., società pubblica (ossia controllata dal Partito comunista cinese), era stata regolarmente fondata nel 1996 e aveva continuato a operare senza reali problemi anche dopo la chiusura di quasi tutte le agenzie obbligazionarie della città nel 1999, e risultava un interlocutore affidabile a migliaia di piccoli risparmiatori. Questo fino alla sospensione dei rimborsi del 24 marzo: pochi giorni dopo, gli uffici dell’agenzia sono stati chiusi dalla polizia, che ha aperto un’indagine penale. Gli investitori, nel tentativo di sporgere denuncia, si sono visti costretti a scannerizzare codici QR che hanno attivato sistemi di tracciamento sui loro dispositivi mobili. In una dittatura, anche un semplice accenno a una petizione diretta al regime può costare l’arrivo immediato della polizia.

Dopo un mese, 400 persone si radunavano quotidianamente davanti al municipio per chiedere il rimborso dei propri investimenti. Video diffusi sui social cinesi mostravano striscioni di protesta e manifestanti circondati dalle forze dell’ordine, alcuni venivano tenuti in carcere per giorni; un avvocato che aveva tentato di offrire assistenza legale era stato arrestato. Secondo le testimonianze raccolte, circa 7 mila cinesi, in prevalenza anziani, avevano affidato a Jingwei i risparmi di una vita. Immaginare quanto dolorose siano le loro storie individuali è fin troppo facile. Ma nessun dolore è in grado di scalfire la spietatezza del Partito comunista cinese: a parte qualche mossa di facciata, il regime non ha rimediato in nessun modo e ha sempre rifiutato di indicare i responsabili del default. A distanza di due mesi dal default, dal regime non è emerso alcun piano di rimborso né sono state rese pubbliche le conclusioni dell’”indagine”.

La vicenda di Xi’an si inserisce in un contesto più ampio. Nel 2022, proteste analoghe nelle banche rurali dell’Henan erano sfociate in scontri dopo che i codici sanitari dei depositanti erano stati disattivati come rappresaglia. L’anno successivo, Sichuan Trust ha rimborsato solo in parte oltre 8 mila investitori, in seguito a un ammanco da 30 miliardi di yuan. Ad aprile 2024, il regime ha disposto la liquidazione di Zhongrong International Trust, che gestiva circa 100 miliardi di euro in prodotti ad alto rendimento.

Secondo numerosi economisti, queste crisi derivano direttamente dall’esposizione dei sistemi di finanziamento locali. E a poco vale che il Pcc stia tentando di sostituire il debito sommerso con titoli sovrani a lunghissimo termine: a ogni nuovo default, la credibilità del regime comunista cinese diminuisce e l’instabilità aumenta.

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