In America decolla la nuova politica commerciale basata sulla produzione interna

di Redazione ETI/Andrew Moran
7 Agosto 2025 9:30 Aggiornato: 7 Agosto 2025 9:30

Il presidente Trump ha annunciato l’imminente presentazione di un nuovo piano di dazi su semiconduttori e chip, finalizzato a incentivare la produzione nazionale di componenti strategici. Il provvedimento, se adottato, potrebbe ridefinire ulteriormente le filiere tecnologiche mondiali, confermando l’intenzione dell’amministrazione Trump di rilocalizzare negli Stati Uniti la produzione di settori ritenuti essenziali: «annunceremo a breve misure riguardanti semiconduttori e chip, che rappresentano una categoria a parte, perché vogliamo che siano prodotti negli Stati Uniti», ha dichiarato il 5 agosto durante un’intervista a Cnbc. Negli ultimi anni, la domanda mondiale di semiconduttori è aumentata in modo esponenziale, spinta dall’integrazione crescente della tecnologia in ambiti strategici come l’intelligenza artificiale e l’industria automobilistica.
Lo scorso aprile, l’amministrazione Trump aveva concesso esenzioni temporanee dai dazi reciproci per chip e dispositivi correlati. Il ministro al Commercio, Howard Lutnick, ha chiarito che tali esenzioni rappresentano una misura provvisoria, in attesa di un sistema di dazi volto a favorire il rientro della produzione sul territorio statunitense: «Non possiamo dipendere da Paesi stranieri per componenti fondamentali di cui abbiamo bisogno».

Anche sul fronte farmaceutico, Trump ha confermato una proposta già anticipata in precedenza, indicando l’intenzione di introdurre inizialmente un «dazio contenuto» sui prodotti farmaceutici, per poi innalzarlo progressivamente fino a una soglia massima del 250%. «Vogliamo che i farmaci siano prodotti nel nostro Paese», ha ribadito il presidente. La Casa Bianca ha inoltre avviato un’indagine ai sensi della Sezione 232 sui medicinali, incaricando il ministero del Commercio di valutarne l’impatto sulla sicurezza nazionale. E’ stato inoltre firmato un ordine esecutivo con l’obiettivo di allineare i prezzi dei prodotti farmaceutici statunitensi a quelli, sensibilmente più bassi, applicati all’estero.
Nel frattempo, diverse aziende farmaceutiche statunitensi, tra cui Eli Lilly e Johnson & Johnson, hanno annunciato investimenti miliardari in nuovi impianti in America. Tuttavia, il settore ha espresso preoccupazione per il possibile impatto di dazi più elevati sulle importazioni di medicinali, che porterebbe ad aumentare i costi, frenare gli investimenti e compromettere l’equilibrio della filiera mondiale.

La politica commerciale dell’amministrazione Trump si muove dunque lungo un doppio binario: da un lato l’offerta di incentivi e protezioni per attrarre investimenti, dall’altro un uso strategico dei dazi come leva diplomatica ed economica. Ne è un esempio l’accordo recentemente raggiunto con l’Unione Europea, che prevede investimenti per 600 miliardi di dollari nell’economia statunitense e 750 miliardi in forniture energetiche. Trump ha sottolineato che, in cambio, i Paesi europei beneficeranno di dazi ridotti, ma solo a fronte del rispetto degli impegni assunti.

Più teso invece il rapporto con l’India. La scorsa settimana, il presidente ha annunciato l’introduzione di un dazio del 25%, escludendo la possibilità di un ritiro della misura. «Hanno i dazi più alti di chiunque. Facciamo pochissimi affari con l’India perché i loro dazi sono altissimi. Non sono stati un buon partner commerciale», ha affermato durante un’intervista.

Trump ha inoltre ipotizzato un possibile aumento dei dazi in risposta agli acquisti indiani di petrolio greggio dalla Russia, considerati una fonte di finanziamento del conflitto in corso. Il governo indiano ha prontamente giustificato il mantenimento dei rapporti commerciali con Mosca richiamando la necessità di garantire «costi energetici prevedibili e accessibili per i consumatori indiani».


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