Imparare da Adam Smith per un’economia dinamica e sana

di Ryan Streeter per ET Usa
29 Luglio 2025 15:03 Aggiornato: 29 Luglio 2025 15:03

Mentre 250 anni fa, in Gran Bretagna nascevano l’economia e la sociologia, pensatori come Adam Smith, David Hume e Adam Ferguson si interrogavano su come il dinamismo commerciale si intrecciasse con il comportamento umano. La vitalità economica non si riduceva a crescita, denaro o divisione del lavoro, pur comprendendoli. Al centro c’era una domanda: cosa spinge le persone a rendere il commercio un successo?
Adam Smith, padre dell’economia moderna, osservava in La ricchezza delle nazioni (1776) che i mercanti superavano i nobili terrieri nello sviluppo delle proprietà fondiarie. Le loro «abitudini di ordine, economia e attenzione», affinate nei mercati urbani, erano la chiave per generare profitti e realizzare progetti vincenti. Al contrario, l’apatia dell’aristocrazia incarnava, secondo Smith, la stagnazione. Abituati allo statu quo, i nobili non riuscivano a immaginare modi per rendere produttive le loro terre, vivendo senza slancio creativo né apertura all’innovazione.

Oggi la stagnazione è ovunque, e non senza motivo: produttività in calo, infrastrutture obsolete, squilibri fiscali, innovazione rallentata. Il dinamismo del Regno Unito sembra più un ricordo che una prospettiva. È facile ridurre tutto a una questione di politiche economiche, ma così si perde il quadro generale. Per capire davvero cosa serve a un’economia vitale, occorre riscoprire la sensibilità del XVIII secolo e riconoscere nel dinamismo un fenomeno sociale e culturale, oltre che economico. In sintesi: se vogliamo vivere in una società in cui più persone, in più luoghi, creano valore, che tipo di individui e comunità dobbiamo essere? Modifiche normative, aliquote fiscali e politiche per l’innovazione sono solo una parte della risposta.
Il premio Nobel, Edmund Phelps, e i suoi collaboratori hanno dimostrato che le società con alti livelli di imprenditorialità, invenzione e creazione di imprese promuovono apertura, sperimentazione, assunzione di rischi, persino un certo spirito d’avventura. Contrariamente a quanto si crede, queste società registrano anche una maggiore soddisfazione professionale tra i lavoratori. L’idea che economie innovative generino ansia è diffusa ma poco fondata. Più le aziende sperimentano nuove tecnologie, più si creano posti di lavoro e opportunità, di cui beneficiano tanto i lavoratori autonomi quanto i dipendenti. Le indagini rivelano che insoddisfazione e infelicità prosperano dove prevalgono chiusura mentale, avversione al rischio e scarsa innovazione.
Piuttosto che domandarci se una riforma normativa possa far crescere il Pil di qualche decimale, dovremmo quindi chiederci quali comportamenti individuali vorremmo vedere più spesso.

La scienza sociale moderna conferma ciò che i pensatori di 250 anni fa avevano intuito. Alcuni tratti della personalità, emersi dalla psicologia economica e sociale, riecheggiano le osservazioni di Smith e si collegano a mobilità sociale, imprenditorialità e creatività: elementi essenziali per una società dinamica. Il primo è una mentalità esplorativa: la propensione ad apprendere alimentata dal piacere della scoperta. È l’opposto di chi considera ogni questione già risolta. Collegata a questa c’è l’apertura, una delle cinque grandi dimensioni della personalità, fondamentale nei contesti incerti e motore della creatività. L’apertura fine a sé stessa può portare problemi, ma come atteggiamento verso nuove idee, esperienze e differenze, è cruciale per l’innovazione. Il terzo tratto, è la propensione ad affrontare le sfide, anziché cercare scorciatoie. Scegliere percorsi impegnativi e credere che l’impegno ripaghi è spesso predittivo di successo, anche tra gli studenti. Al contrario, tutelare i giovani in nome della “sicurezza” può avere effetti negativi.
Un quarto elemento è la coscienziosità: altra dimensione della personalità tra i migliori indicatori del reddito a lungo termine. Affidabilità, organizzazione e riflessione sono indispensabili per la mobilità sociale.
Il quinto tratto riguarda la capacità di coltivare i “legami deboli”, cioè relazioni personali e professionali non intime ma estese. Conoscere le persone giuste apre porte, ma spesso non si tratta di amici stretti o familiari, bensì di una rete più ampia. Chi sa costruirla ha più possibilità di realizzare idee ambiziose. Infine, le motivazioni non legate al profitto — come il desiderio di creare qualcosa di nuovo o formare una squadra affiatata — sono comuni tra gli imprenditori, più del semplice interesse per il guadagno.

Questi tratti non sono innati, ma si possono coltivare. Pensare in modo creativo a come svilupparli è un passo essenziale per costruire un’economia vivace e ricca di opportunità.

 


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Articolo originale pubblicato su
CapX, ripreso dalla Foundation for Economic Education 

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