Sono entusiasta dell’idea di riportare la manifattura in America, ma ci sono diversi ostacoli da superare prima. Tra questi, il calcolo della redditività. Ha senso ponderare il punto di vista economico? Perché altrimenti, la volontà politica e la determinazione nazionale non basteranno.
Per decenni, gli Stati Uniti hanno esternalizzato gran parte della loro potente industria manifatturiera a Cina, Messico e altri Paesi. All’epoca sembrava un affare d’oro per tutti, finché non ci siamo accorti di quanto sia strano che l’America abbia così poche industrie. Ci sono vari modi per affrontare il problema. La differenza di salari tra gli Stati Uniti e altri Paesi è abissale e difficile da colmare. Contano anche i costi di produzione e il valore del dollaro, che, come moneta di riserva internazionale, rende più conveniente importare che esportare. Ma c’è un problema più profondo: l’etica del lavoro americana, erosa da decenni di denaro facile e da una perdita di spirito imprenditoriale.
Vorrei raccontare un aneddoto di ieri. In coda al supermercato, dietro di me c’era una persona con un carrello stracolmo, ma i prodotti erano organizzati in modo strano. Mettendoli sul nastro, li divideva con separatori, non per tipo di prodotto, ma seguendo un altro criterio. Metteva dentro dei sacchetti di carta diversi prodotti, pagando separatamente per ciascun sacchetto. Solo dopo ho realizzato che faceva la spesa per Instacart, e quindi non per una persona, ma per cinque famiglie diverse. Poi ho ricostruito il suo metodo: entrata nel negozio, aveva una lista lunghissima e, percorrendo ogni corsia, selezionava i prodotti per ciascun cliente, tenendo tutto separato fino al pagamento e alla consegna. Un errore in un’operazione del genere potrebbe scatenare lamentele a non finire.
Ero sbalordito dall’abilità organizzativa che vedevo. Ho chiesto spiegazioni, e la signora ha confermato di lavorare per Instacart, senza aggiungere molto. Parlava un inglese stentato, segno che forse era una signora immigrata di recente, probabilmente senza un’istruzione avanzata, ma con capacità straordinarie. Come è diventata così brava? Con la pratica: migliorandosi volta dopo volta. Perché lo ha fatto? Per guadagnarsi il pane. La necessità crea disciplina, e la disciplina forgia la competenza. Facciamo un esempio. Compri quattro sgabelli girevoli da montare. Il primo è un disastro: viti ovunque, istruzioni confuse, magari lo rimonti due volte. Il secondo va meglio. Il quarto sgabello, lo assembli in un lampo. Potresti pensare: «Sono troppo bravo, potrei farne un mestiere». Ma in realtà è solo una competenza acquisita in poche ore intense. Così si sviluppano abilità, focus, disciplina e valore sul lavoro.
Tim Cook di Apple ha detto chiaramente: iPhone e altri prodotti non sono fatti in Cina per i salari bassi, ma per le competenze tecniche. Servono precisione, disciplina ed esperienza profonda. In Cina, milioni di lavoratori ce l’hanno; in America, quasi nessuno. Penso ai colletti bianchi che conosco: chiedere loro qualcosa di così complesso li farebbe svenire.
Fare la spesa per cinque famiglie? Impossibile. Si lamenterebbero con le risorse umane, sbaglierebbero al primo ordine e litigherebbero con clienti infuriati.
Oggi, dubito che la classe operaia americana sia pronta per questo livello di produttività. Durante i lockdown, molti hanno adorato quei quasi due anni di vita comoda e di lavoro finto. Quel periodo ha spezzato tanti, convincendo un’intera generazione che fare soldi sia facile e senza sforzo. Per 25 anni di tassi d’interesse bassissimi, soprattutto dal 2008, la Federal Reserve ha alimentato l’illusione che il sistema sia un gioco di prestigio. Ricchi o poveri? Non è una cosa che dipende dal lavoro, ma da nascita, classe, titoli di studio o fortuna.
È una percezione tragica, lontana dall’etica americana del duro lavoro. La linea politica di Trump vuole abolire norme inutili, apportare tagli fiscali e imporre dazi, basandosi sull’idea che gli americani abbiano la stoffa per tornare a produrre, protetti dalla concorrenza estera. Ma sarà davvero così? È una scommessa bella grossa, anche perché l’esternalizzazione manifatturiera americana ormai va avanti da quasi 50 anni.
Torniamo un momento alla signora di Instacart, è un esempio di capacità gestionale impressionante. Per generazioni ci hanno detto che intelligenza e competenze sono prerogativa delle alte classi . Non è proprio così, secondo me. Al contrario, chi lotta per vivere, con due o tre lavori per pagare le bollette, spesso è più avanti della maggior parte dei ricchi che non hanno mai dovuto preoccuparsi di un conto.
Se parli con un imprenditore di una azienda media, ti dirà che le leggi e le tasse sono un fastidio, ma che il vero problema sono i lavoratori. Trovare persone che facciano il loro dovere in tempo, con attenzione ai dettagli, senza bisogno di continue rassicurazioni, è una cosa impossibile. Questo declino dell’etica del lavoro viene in parte dalle scuole, ma anche dal fatto che molti giovani delle classi benestanti non hanno mai lavorato un giorno in vita loro prima di laurearsi. Non hanno idea di cosa significhi affrontare un compito duro e portarlo a termine. Vedono le gerarchie aziendali come un affronto e cercano di aggirare il sistema, come hanno fatto in tanti anni a scuola. Sviluppare competenze per sopravvivere in aula è ben diverso dal forgiare le abilità per un mondo manifatturiero. Le lezioni di tecnologia alle superiori sono quasi sparite (solo il 6% degli studenti le segue, contro il 20% negli anni ’80), e due terzi degli adolescenti non lavorano, semplicemente perché non devono. Sono generazioni che non sanno nulla della vita in fattoria, figuriamoci in fabbrica.
Trump vuole risolvere un problema vecchio di mezzo secolo in quattro anni. È una sfida enorme, e non sono per niente ottimista. Ma sicuramente ci sono opportunità per persone come la cassiera di Instacart, che lavorano sodo, con dedizione e gratitudine. Purtroppo, queste sono qualità che scarseggiano tra i laureati delle università più prestigiose d’America.
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