Il tracollo al rallentatore dell’economia cinese

di Emiliano Serra
16 Settembre 2025 13:58 Aggiornato: 16 Settembre 2025 14:20

L’economia cinese ha proseguito a rallentare anche in agosto, mostrando una serie di indicatori chiave al di sotto delle aspettative. L’economia cinese va così male che anche i dati ufficiali pubblicati dalla dittatura comunista sono costretti ad ammettere (almeno in parte) quello che da quattro anni a questa parte è un tracollo al rallentatore.

Secondo i dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica cinese il 15 settembre, infatti, la crescita della produzione industriale ha subito un netto calo nel mese, con un incremento del 5,2 per cento rispetto all’anno precedente, contro il 6,8 per cento di luglio, mancando le previsioni del 5,7 per cento formulate dagli economisti e segnando la performance peggiore degli ultimi dodici mesi. Le vendite al dettaglio, che misurano la spesa dei consumatori – e di riflesso la loro fiducia nell’economia – sono aumentate del 3,4 per cento ad agosto su base annua, in diminuzione rispetto al 3,7 per cento di luglio e toccando il livello più basso da novembre 2024; in questo caso, l’aspettativa minima era del 4 per cento, grazie ai sussidi pubblici erogati dal regime ai consumatori. Ma evidentemente, nemmeno i sussidi sono bastati a convincere i cinesi a spendere i propri soldi.

Gli investimenti delle imprese in macchinari, edifici e altre immobilizzazioni sono cresciuti dello 0,5 per cento tra gennaio e agosto rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, in rallentamento rispetto all’1,6 per cento registrato nei primi sette mesi del 2025.

Ma il dato tragico è sempre quello dell’immobiliare, quello che un tempo era il motore dell’economia cinese. Gli investimenti immobiliari sono ulteriormente crollati, dell’11,9 per cento nel periodo gennaio-agosto rispetto agli otto mesi analoghi dell’anno prima; è il dato peggiore dal 2020. L’immobiliare cinese è ormai da anni in picchiata, e non dà il benché minimo segnale di ripresa. Nuovi dati dell’Ufficio nazionale di statistica rivelano, infatti, come i prezzi delle nuove abitazioni in 70 grandi città siano calati del 2,5 per cento ad agosto, rispetto all’anno precedente. Su base mensile, i prezzi sono diminuiti dello 0,3 per cento. Fu Linghui, portavoce dell’Ufficio nazionale di statistica, ha dichiarato in conferenza stampa il 15 settembre che il settore immobiliare si sta ancora “stabilizzando”, nonostante alcune “fluttuazioni”, e che servono maggiori sforzi per sostenere la domanda. Ma il regime cinese ha già fatto l’impossibile per “sostenere” la domanda di immobili. E invano, perché il problema fondamentale è che i cinesi non comprano casa perché hanno paura per il proprio futuro, e quindi risparmiano, e/o perché milioni di loro hanno in passato comprato “sulla carta” appartamenti mai costruiti, e a volte perfino crollati prima di essere consegnati.

Semmai, il problema in Cina non è la domanda, ma l’eccesso di offerta, che scoraggia ulteriormente gli eventuali acquirenti. In Cina ci sono milioni di case vuote invendute, un fenomeno di tali proporzioni che i cinesi hanno coniato il termine “città fantasma”; questa sovrabbondanza è il risultato di anni di costruzione sfrenata, spinta solo dalla speculazione e dalla volontà di dare l’illusione di un crescita economica infinita. La logica dell’immobiliare cinese è la stessa delle “fabbriche zombie” (stabilimenti costruiti dal regime per non produrre nulla), o dei magazzini straripanti di merci invendute oppure dei piazzali pieni di auto, che restano a marcire per anni sotto le intemperie: l’obiettivo del Partito comunista cinese è quello di gonfiare il Pil, di dare l’illusione della “crescita”, di far credere all’Occidente che l’economia cinese stia producendo una ricchezza che, nella realtà, non esiste. Non stupisce quindi che il “sentiment”, come dicono gli esperti, dei consumatori cinesi sia sotto zero e che li invogli, più che a spendere, a tenersi ben stretti i propri soldi.


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