Il Pcc ha appena portato a casa una vittoria di enorme rilievo, e uno degli alleati più stretti degli Stati Uniti gliel’ha consegnata su un piatto d’argento.
A marzo, il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato una serie di riforme per migliorare l’efficienza dei porti israeliani. Tra le misure annunciate si cela, tuttavia, una decisione dalle implicazioni preoccupanti per la sicurezza nazionale: il porto di Haifa, gestito da un’azienda cinese, potrà raddoppiare la propria capacità operativa.
Non si tratta di un semplice intervento infrastrutturale, ma di una scelta con conseguenze internazionali, che rafforza la posizione del Pcc in un’area strategica. Il porto di Haifa, infatti, ospita alcune delle operazioni navali statunitensi e israeliane più strategiche della regione. Consentire un’espansione del controllo cinese in questo sito equivale a offrire a Pechino un’opportunità senza precedenti per le sue attività di sorveglianza.
Durante il mio mandato alla Knesset, il Parlamento israeliano, ho constatato come gli interessi economici e le convenienze politiche spesso prevalgano sulle preoccupazioni per la sicurezza nazionale. Accordi che avrebbero dovuto suscitare allarme sono stati approvati senza un’adeguata valutazione, liquidati come «investimenti innocui» o «decisioni tecniche».
L’espansione del controllo cinese sul porto di Haifa non fa eccezione: è il risultato di una visione a breve termine e di una mancata riflessione sul costo strategico di un avvicinamento a Pechino, specialmente in un momento in cui Israele, impegnato in un conflitto, dipende più che mai dal sostegno statunitense. Alcuni funzionari presentano questa mossa come un segnale di efficienza e un’apertura agli investimenti esteri, ma sia chiaro: si tratta di una scelta politica, non di una misura amministrativa, e le conseguenze potrebbero essere gravissime.
Il porto di Haifa è gestito dalla Shanghai International Port Group, un’azienda statale cinese strettamente legata al Pcc. È ormai noto che il regime cinese utilizza le infrastrutture commerciali per raccogliere informazioni. Un’inchiesta del Wall Street Journal, pubblicata nel 2022, ha rivelato che le gru ad alta tecnologia impiegate nei porti gestiti dalla Cina, tra cui quello di Haifa, sono dotate di sensori e software in grado di trasmettere a Pechino enormi quantità di dati, compresi dettagli sensibili sulle navi della Marina statunitense, sui carichi e sugli spostamenti.
Quando ero membro della Knesset, i vertici militari israeliani avevano già lanciato avvertimenti in tal senso. L’ammiraglio Shaul Chorev aveva dichiarato senza mezzi termini: «La Cina non è dalla nostra parte». Anche l’ammiraglio Oded Gour-Lavie aveva definito l’accordo un «grave problema di sicurezza». All’epoca, i loro moniti vennero ignorati. Oggi, si sta addirittura procedendo in senso opposto.
A Washington, esiste un consenso bipartisan sul fatto che le infrastrutture di sorveglianza cinesi non abbiano posto nei porti americani. Mentre gli Stati Uniti lavorano per escludere la Cina dalle proprie catene di approvvigionamento e dai propri porti, Israele sembra intraprendere una strada diametralmente opposta. Questa decisione arriva in un momento in cui Pechino rafforza i legami con i nemici degli Stati Uniti: esercitazioni navali congiunte con l’Iran, trasferimenti di armi agli Houthi e un crescente coinvolgimento nei punti nevralgici del trasporto marittimo in Medio Oriente, come il Canale di Suez e lo stretto di Bab el-Mandeb. Il Pcc non è neutrale: sostiene forze che prendono di mira navi, militari e alleati strategici degli Stati Uniti.
Gli alleati devono comportarsi come tali, specialmente in tempo di guerra. Gli Stati Uniti forniscono a Israele un sostegno vitale in termini di aiuti militari, copertura diplomatica e supporto morale, nella convinzione che la partnership strategica si fondi sulla fiducia reciproca. Tuttavia, quando Israele consente al Pcc di costruire infrastrutture di sorveglianza accanto alle operazioni navali americane, questa fiducia vacilla.
Non si tratta di una questione interna israeliana, ma di un segnale d’allarme per tutto il mondo libero. E solleva un interrogativo scomodo: se anche i nostri alleati più stretti non tracciano una linea netta con la Cina, chi lo farà?
Lo affermo non come un critico esterno, ma come qualcuno che ha vissuto queste dinamiche dall’interno e che tiene profondamente al futuro di Israele e alla sua alleanza con gli Stati Uniti. Tuttavia, una cosa è certa: non si può giocare su due fronti quando uno di questi è il Partito comunista cinese. L’obiettivo evidente del Pcc è rendere non redditizio il vicino porto gestito dall’India, al fine di sabotare il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa, che rappresenta una sfida alla Nuova Via della Seta promossa da Pechino.
Israele deve fermare questa espansione, riconsiderare l’accordo su Haifa e riallinearsi ai valori e agli interessi che dichiara di condividere con gli Stati Uniti. Qualsiasi altra scelta rappresenterebbe un tradimento della sicurezza comune e della fiducia americana dalla quale dipende.
Copyright Epoch Times