Il “punto di svolta” dell’America è l’assassinio di Charlie Kirk

di Artemio Romano
12 Settembre 2025 18:49 Aggiornato: 12 Settembre 2025 18:54

Turning Point, ossia “punto di svolta”. Questo è il nome dell’associazione fondata alcuni anni fa da un giovanissimo Charlie Kirk per rilanciare i valori dei padri fondatori americani, attraverso il dialogo e la comprensione reciproca fra i due schieramenti politici degli Stati Uniti: democratici e repubblicani. L’assassinio di Charlie Kirk è un assassinio politico. Un dato di fatto del tutto evidente ma che, di questi tempi, purtroppo necessita di essere esplicitato.

L’assassinio di Charlie Kirk rappresenta l’uccisione del più noto esponente politico americano degli ultimi sessant’anni, e segna un momento cruciale per gli Stati Uniti. Il modo in cui i politici e la popolazione degli Stati Uniti reagiranno potrebbe determinare se l’ondata di violenza politica continuerà a crescere o inizierà a diminuire.
La politologa Susan MacManus ritene che l’uccisione di Charlie Kirk possa innescare cambiamenti significativi, o facendo da «catalizzatore per far sì che i due partiti trovino un terreno comune e dicano: “Basta”» oppure accentuando «la polarizzazione» degli americani. E l’ipotesi di gran lunga più probabile è, con ogni evidenza, la seconda, considerando che «al momento, le due parole più assenti nella nostra politica sono “civiltà” e “compromesso”».
Quando Kirk è stato colpito, stava rispondendo a una domanda di un partecipante sui sospetti transgender coinvolti in sparatorie di massa. Qualsiasi possibile rilevanza di quel momento rimane ignota, così come l’effettivo movente dell’attentatore appena arrestato. Kirk alcuni mesi fa aveva pubblicato sui social media la sua preoccupazione per studi che evidenziavano la glorificazione della «cultura dell’assassinio» in America. In molti, tra cui il governatore dello Utah Spencer Cox, hanno definito la morte di Kirk un «assassinio politico». Jeff Bloodworth, professore di Storia Politica Americana all’Università Gannon della Pennsylvania, pensa che gli Stati Uniti abbiano vissuto «moltissimi momenti di violenza politica», ben più dei «nostri cugini occidentali» (Italia esclusa, considerati i nostri Anni di Piombo e le varie stragi).

L’impatto di Charlie Kirk sulla politica americana è stato notevole e persino innovativo: col suo senso civico, il giovane attivista ha riavvicinato i giovani conservatori alla politica, li ha aiutati a ragionare su se stessi e sul patto sociale che unisce i cittadini di una nazione, a cercare di trovare il modo in cui convivere pacificamente con chi abbia idee diametralmente opposte alle proprie, e li ha aiutati a liberare se stessi dall’isolamento, riunendosi e discutendo. Chi ha ucciso Charlie Kirk forse è solo una persona amorale mossa dall’odio, o forse è solo un killer: un professionista pagato da qualcuno. Lo scopriranno le autorità americane. Quel che è certo è che chi lo ha ucciso ha agito (consapevolmente o meno) per fermare il suo modo di unire i giovani, affinché trovino un terreno comune di dialogo su cui costruire il futuro. Non è un caso che Charlie Kirk sia stato ucciso durante uno delle centinaia di incontri con gli universitari che aveva organizzato: ucciderlo in strada, magari davanti a casa mentre scendeva dalla macchina per tornare dalla sua famiglia, non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo (e valore simbolico). E forse, l’intento (conscio o meno) di chi lo ha ucciso è quello di far scoppiare una guerra civile negli Stati Uniti: di far sì che i repubblicani imbraccino le armi contro il sistema “incomprensibile” che attualmente governa di fatto gli Stati Uniti. Se gli americani cadranno in questa trappola, la morte di Charlie Kirk sarà un successo per chi lo ha ucciso. Se qualcun altro raccoglierà il suo testimone e i giovani conservatori americani proseguiranno nella via del dialogo tracciata da Kirk, la sua morte sarà servita a realizzare quello che era il suo sogno.

 


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