Altre pessime notizie per Xi Jinping. I massimi dirigenti del Partito comunista cinese stanno proponendo nuove norme per “regolamentare” le potenti commissioni a suo tempo volute dal segretario generale del Partito stesso per accentrare il potere.
Secondo la stampa di regime cinese, le proposte sarebbero state esaminate il 30 giugno durante una riunione a porte chiuse del Politburo, il secondo organo decisionale del regime. I dettagli restano scarsi, ma secondo un comunicato dell’agenzia di stampa Xinhua l’obiettivo è quello di “disciplinare” l’istituzione, le responsabilità e le attività di queste commissioni, definite «istituzioni decisionali, deliberative e di coordinamento», che orientano le politiche in settori come finanza, affari esteri, tecnologia ed educazione.
Molte di queste strutture sono state istituite – o hanno ricevuto maggiore potere – nel 2018, quando Xi Jinping ha introdotto una serie di direttive mirate a imporre il dominio assoluto del regime sulle agenzie statali. Durante l’incontro, i funzionari avrebbero ora ordinato di limitare l’influenza di queste commissioni, sottolineando la necessità di evitare sovrapposizioni di funzioni o invasioni di competenze. Una retromarcia, insomma, rispetto ai diktat di Xi Jinping. E una nuova conferma di come il segretario generale del Pcc stia perdendo sempre più peso all’interno del suo Partito.
La direttiva ha colto di sorpresa gli osservatori esterni, che la considerano un segnale inviato all’esterno (fatto più unico che raro) di dissenso interno rispetto alla linea di Xi Jinping. Il Politburo ha criticato aspramente queste commissioni, accusandole di concentrarsi su questioni marginali e di abuso di potere. E poiché l’operato di questi organismi è definito dal segretario generale del Partito in persona, queste critiche sono evidentemente un attacco (e nemmeno tanto indiretto) a Xi Jinping stesso.
Gli osservatori contestualizzano questi ultimi sviluppi nel quadro delle crescenti tensioni tra i vertici del Partito comunista cinese, ritenendo plausibile (come minimo) un futuro ridimensionamento del potere di Xi. Le nuove regole sembrano favorire il ritorno delle vecchie élite del regime nei ruoli chiave. Quindi, il tentativo di instaurare il culto di Xi Jinping (novello Mao Zedong della Cina del XXI secolo) sarebbe già fallito miseramente, nel giro di pochi anni.
Negli ultimi tempi, fra l’altro, si sono moltiplicate le speculazioni sulla salute (politica o fisica, ammesso che vi sia differenza in una dittatura) di Xi Jinping. Speculazioni alimentate da sue assenze e dalla sistematica caduta di numerosi suoi fedelissimi, a cui si assiste da circa un anno a questa parte. Tra questi spicca l’ammiraglio Miao Hua, legato a Xi dai tempi della provincia del Fujian oltre 20 anni fa: responsabile dal 2017 della lealtà politica delle forze armate, Miao è stato sospeso a novembre 2024 e posto sotto indagine per corruzione; il 27 giugno, il Partito lo ha espulso dall’organo di vertice militare senza spiegazioni.
Parallelamente, si intensificano i dubbi sul generale He Weidong, altro fedelissimo di Xi, assente dalla scena pubblica da metà marzo: vicepresidente della Commissione militare centrale, che comanda l’esercito, He ha mancato almeno tre eventi politici rilevanti; il ministero della Difesa ha dichiarato inizialmente di non essere a conoscenza di indagini a suo carico, eludendo poi ulteriori domande durante una conferenza stampa il 24 aprile.
Secondo analisti vicini al Partito, Xi avrebbe visto indebolire il proprio controllo a causa dei contrasti con la sua stessa vecchia guardia. In questo clima dominato dall’incertezza (per usare un eufemismo), le riunioni del Politburo del Partito attualmente vengono osservate con estrema attenzione, per individuare eventuali segnali di una qualche transizione di potere. Ancora non è stato reso noto quando si terrà il quarto plenum, ossia il “conclave” da tutti atteso per definire cambiamenti al vertice del Partito comunista cinese.