Il lungo declino e le ambizioni deluse della “potenza” cinese

di Antonio Graceffo per ET Usa
31 Luglio 2025 19:13 Aggiornato: 31 Luglio 2025 19:13

Le ambizioni mondiali di Pechino vacillano. Il vertice tra Unione Europea e Cina — già segnato da aspettative modeste — e l’assenza di Xi Jinping al summit dei Brics mettono in luce crescenti dubbi sulla capacità del regime comunista cinese di guidare un nuovo ordine mondiale.

Il 24 luglio, all’arrivo della delegazione europea all’aeroporto di Pechino, niente cerimonia ufficiale: solo un autobus. Un’accoglienza dimessa che ha anticipato l’esito del vertice. I colloqui con il presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non hanno portato risultati concreti: l’Ue ha chiesto a Pechino di aprire il mercato e affrontare la sovraccapacità industriale. Previsto su due giorni, l’incontro si è chiuso in anticipo. I delegati europei hanno lasciato la capitale cinese definendo il summit un fallimento. E le tensioni tra Bruxelles e Pechino sono cresciute. L’Unione europea ha escluso le imprese cinesi di dispositivi medici dalle gare d’appalto pubbliche; Pechino ha reagito con dazi sul brandy europeo e restrizioni alle importazioni. Gli analisti evidenziano contrasti strutturali, dalla sovrapproduzione cinese ai tentativi europei di difendere le proprie industrie. Sul piano geopolitico, pesa il sostegno di Pechino alla guerra russa in Ucraina. La Von der Leyen ha accusato la Cina di inondare i mercati con prodotti a basso costo e di sostenere l’economia bellica di Mosca.
In questo contesto, la Cina affronta crescenti tensioni diplomatiche, mentre la visibilità di Xi Jinping, sia interna che internazionale, sembra calare. I media statali, come il Quotidiano del Popolo, il 10 giugno hanno omesso il Pensiero di Xi Jinping — la dottrina che promuove socialismo cinese, nazionalismo e modernizzazione autoritaria — in un articolo sulle riforme del welfare. E il premier, Li Qiang, ha evitato di citare il leader durante una cerimonia costituzionale.

Anche sul fronte internazionale, i segnali di disimpegno si moltiplicano. A giugno, Xi ha incontrato in privato il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, senza alti funzionari né copertura mediatica. Ma è stata la sua assenza al summit dei Brics in Brasile a segnare una svolta: è la prima volta in oltre dieci anni che il leader cinese diserta l’appuntamento delle economie emergenti, da sempre concepito come contrappeso all’influenza statunitense. L’assenza di Xi e Putin, intervenuto solo in videoconferenza a causa del mandato d’arresto della Corte penale internazionale, ha messo in dubbio la rilevanza del vertice. Senza i due leader principali, le dichiarazioni del presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, contro gli Stati Uniti e a favore della dedollarizzazione sono apparse deboli.

I recenti sviluppi rivelano divisioni crescenti all’interno dei Brics e resistenze alle ambizioni regionali di Pechino. L’India, il membro più popoloso del blocco, si oppone apertamente alla leadership cinese nel Sud del mondo. Negli ultimi due mesi, la Cina ha ritirato oltre 300 ingegneri dallo stabilimento Foxconn per iPhone in India. Nuova Delhi ha reagito cercando il sostegno di Taiwan, Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. A maggio, dopo un breve scontro con il Pakistan, l’India ha accusato la Cina di favorire il suo rivale. A giugno ha sospeso il Trattato sulle acque dell’Indo, ha protestato contro una diga cinese in Pakistan e rifiutato di firmare la dichiarazione congiunta dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, per l’omissione dell’attacco in Kashmir.

Pechino ha giustificato l’assenza di Xi al summit con un «conflitto di agenda». Ma per molti osservatori il vero motivo va cercato nelle turbolenze politiche interne e nelle pressioni economiche che avrebbero spinto Xi a ridurre l’impegno sulla scena internazionale. I Brics restano centrali per contrastare l’influenza statunitense, specie dopo le nuove minacce di dazi lanciate da Trump. Ma Xi sembra aver dato priorità alle sfide interne. La sua assenza alimenta dubbi sulla capacità di Pechino di riformare istituzioni come il Consiglio di sicurezza dell’Onu, il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale, per indebolire il dominio americano e rafforzare regimi autoritari come il regime comunista cinese, Mosca e Teheran. Al vertice, i leader hanno ribadito l’impegno per la dedollarizzazione. Lula ha promosso l’uso di valute locali negli scambi commerciali. Ma non è stata annunciata una moneta comune. Il blocco ha rilanciato l’uso delle valute nazionali e il rafforzamento della Banca di sviluppo guidata dalla Cina come alternativa alle istituzioni occidentali.
Ma nonostante questi sforzi, il dollaro resta dominante: circa il 70% delle attività della Banca è denominato in dollari, e molte valute dei Brics sono ancorate alla moneta statunitense, penalizzate da sanzioni, controlli sui capitali o instabilità economica. Il rublo non è convertibile, lo yuan solo in parte: limiti evidenti alla loro aspirazione di diventare valute di riserva.

Fondato nel 2009 con Brasile, Russia, India e Cina, l’alleanza Brics ha accolto il Sudafrica nel 2010 e, nel 2024, Egitto, Etiopia, Indonesia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ma nel 2025 si registra un rallentamento: solo Indonesia e Vietnam si sono uniti, segnale di una crescente stanchezza diplomatica. Sebbene presentati come piattaforma per la multipolarità e la cooperazione del Sud del mondo, i Brics appaiono sempre più uno strumento dell’ambizione cinese di costruire un ordine mondiale a guida comunista. Una visione che mostra i suoi limiti, tra divisioni interne e dipendenza dal dollaro.
Anche l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai dà segni di stagnazione. Dopo l’ingresso di India e Pakistan nel 2017, solo Iran (2023) e Bielorussia (2024) si sono aggiunti, portando i membri a 10. Quasi la metà ha valute non convertibili, e tre — Russia, Iran e Bielorussia — sono soggetti a dure sanzioni internazionali. A minare l’attrattiva di un blocco economico guidato dalla Cina, le minacce di Trump: chi si mostra ostile agli interessi americani rischia nuovi dazi.

In questo scenario, l’assenza di Xi Jinping al vertice dei Brics solleva interrogativi sulla fiducia del leader nella capacità del regime comunista cinese di realizzare un “nuovo ordine mondiale”. Con i Brics in affanno, Xi sempre più defilato, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai in stallo e relazioni tese con l’Ue, l’ambizione di Pechino di guidare il mondo sembra sempre più fragile.


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