24 deputati e un sindaco hanno superato il cosiddetto “voto di revoca” a Taiwan, consentendo al Kuomintang di mantenere la maggioranza in Parlamento e infliggendo un duro colpo al Partito democratico progressista del presidente della repubblica Lai Ching-te. Il voto di revoca è un referendum popolare con cui – in alcuni ordinamenti – gli elettori possono destituire un politico eletto prima della fine del mandato. Il voto ha attirato grande attenzione mediatica, dato che è in grado di alterare l’equilibrio di potere dell’isola.
I promotori di questo “voto di sfiducia” avevano definito la loro iniziativa una battaglia anticomunista per destituire i deputati del Kuomintang accusati di essere allineati al Partito comunista cinese, che ha promesso di “riunificare” l’isola anche con la forza, se necessario.
Il Pcc ha mostrato aperta ostilità verso il Partito democratico, interrompendo ogni comunicazione ufficiale con Taipei da quando il Partito è salito al potere. Il presidente del Kuomintang, Eric Chu, ha celebrato la sconfitta del Partito democratico taiwanese come «una grande vittoria per il popolo di Taiwan». Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Focus Taiwan, i cittadini taiwanesi hanno scelto la «stabilità», dice Eric Chu, e credono che il governo debba concentrarsi sul «fare, e non su lotte politiche interne».
Il Partito democratico taiwanese sperava di rimuovere i deputati del Kuomintang – descritti appunto come filocinesi, e quindi vicini alla dittatura comunista cinese – in nove città di Taiwan. Ma altri sette deputati del Kuomintang dovranno subire un ulteriore voto di revoca a fine agosto. Anche se il Partito democratico ha vinto le elezioni presidenziali l’anno scorso, il Kuomintang e il (più piccolo) Partito Popolare di Taiwan hanno abbastanza seggi per formare una maggioranza parlamentare.
Il voto arriva mentre Taiwan cerca di rafforzare le proprie difese contro una Cina sempre più aggressiva, che considera l’isola soltanto un territorio ribelle da riportare sotto il proprio controllo. Pechino vede il presidente Lai, favorevole all’indipendenza, come un «separatista» che minaccia la sovranità regionale. Ma Lai ha esortato i taiwanesi a unirsi di fronte alle pressioni del Pcc, avvertendo che le infiltrazioni e le coercizioni di Pechino mettono a rischio non solo la sovranità di Taiwan, ma anche le fondamenta della sua democrazia.