Il futuro di Xi Jinping è sempre più incerto

di Redazione ETI/Leo Timm
29 Aprile 2025 17:00 Aggiornato: 29 Aprile 2025 17:00

Parallelamente al consolidamento di un potere sempre più dittatoriale, Xi Jinping ha affrontato ostacoli sempre più grandi all’interno del regime comunista cinese. Negli ultimi anni, diversi alti ufficiali delle forze armate sono stati indagati per corruzione, rimossi dagli incarichi o letteralmente scomparsi nel nulla. Nonostante la cosiddetta campagna “anticorruzione” iniziata nel 2013, le recenti misure disciplinari prese dal dittatore cinese hanno fatto scalpore, dato che i diretti interessati dell’epurazione politica di Xi non erano rivali di fazioni opposte ma i suoi stessi collaboratori.

Ad esempio, l’ex ministro della Difesa Li Shangfu, destituito nel 2023, è stato espulso dal Pcc a giugno, e l’ammiraglio Miao Hua è indagato da novembre. Anche le sorti del generale He Weidong sono incerte: il terzo ufficiale militare più potente del regime, si sarebbe “ritirato” dalla scena pubblica da metà marzo.
Questa non è una cosa di poco conto: in un clima di intrighi e di una crisi sempre più profonda intera al Partito comunista cinese, si preannunciano ulteriori turbolenze alla supremazia politica di Xi Jinping.

LA «RIVOLUZIONE INTERNA»

He Weidong, vice presidente della Commissione Militare del regime e secondo solo al generale Zhang Youxia, e ovviamente, a Xi Jinping stesso, è stato visto l’ultima volta alla cerimonia del Congresso Nazionale del Popolo, l’11 marzo. Secondo quanto riportato dal giornalista indipendente cinese Zhao Lanjian, e dal The Washington Times, sono circolate diverse voci sul presunto arresto di He da parte dello stesso regime. Il generale non ha presenziato, inoltre, a una importante conferenza del Pcc l’8 e il 9 aprile, e prima ancora a una cerimonia annuale dell’esercito cinese a Pechino, il 2 aprile.

La “scomparsa” di He Weidong, diventato terzo ufficiale nel 2022, quando Xi ha ottenuto il terzo mandato “rompendo” le consuetudini del Partito, non è stata di certo un buon presagio. Inoltre, la retorica del Pcc di «osare la rivoluzione interna» ha fatto eco degli sforzi attuati da Xi in un clima di corruzione e lotte intestine del regime, che potrebbero portare «all’autodistruzione» del Partito comunista.

L’esercito cinese, che non ha più combattuto una guerra dall’invasione del Vietnam nel ’79, è da tempo afflitto dalla corruzione. Nondimeno, per “risolvere” il problema, dal 2016, Xi ha implementato una vera e propria ristrutturazione dell’esercito, andando a colpire le cosiddette «grandi tigri», termine usato per indicare funzionari potenti e corrotti, tra cui i generali Xu Caihou e Guo Boxiong. I due erano legati all’ex leader Jiang Zemin, noto per il suo «governo corrotto» negli anni ’90 e 2000. La corruzione militare quindi non è mai stata di certo una novità in Cina, e ha continuato a sopravvivere sotto il potere di Xi, compromettendo la capacità dell’esercito cinese di condurre importanti operazioni, come un’eventuale invasione di Taiwan.

Kung Shan-Son, esperto di politica cinese presso l’Istituto per la Ricerca sulla Difesa e la Sicurezza Nazionale di Taiwan, ci ha spiegato che Xi, epurando i suoi più stretti collaboratori, ha sfruttato la campagna anticorruzione come «strumento per consolidare il controllo» sull’esercito cinese.

Il 27 marzo, un portavoce del ministero della Difesa cinese, interrogato sulla sorte di He Weidong, ha detto di non essere «a conoscenza» di alcuna indagine sull’ufficiale, senza però smentire l’ipotesi. Una risposta ben diversa da quella di novembre sull’ammiraglio Dong Jun, quando il dicastero ha bollato le voci di un’indagine sul suo conto come «pure invenzioni con intenti malevoli».

XI HA PERSO IL CONTROLLO?

Oltre alle recenti epurazioni che hanno colpito i più stretti collaboratori di Xi, legate a presunte attività corrotte o altre «gravi violazioni», come le definisce il Pcc, le feroci lotte intestine tra i nomi più importanti del Partito potrebbero aver compromesso l’autorità del leader cinese, trasformando, di fatto, il regime in un’arma a doppio taglio.

Secondo Wang Youqun, docente di legge presso l’Università Renmin della Cina, le epurazioni di Li Shangfu, Miao Hua e probabilmente He Weidong per corruzione hanno causato una vera e propria crepa nel potere di Xi sull’esercito. Wang sostiene che il leader cinese abbia infranto le norme interne del Partito per accelerare la promozione di He Weidong ai vertici dell’esercito, suggerendo che la sua possibile caduta, se confermata, potrebbe non essere stata voluta, in realtà, da Xi Jinping stesso.

Li Shangfu, ex ministro della Difesa cinese, è rimasto in carica appena cinque mesi prima di essere rimosso. La stessa sorte è toccata a Qin Gang, ex ministro degli Esteri, in carica da meno di un anno. Già ambasciatore a Washington, Qin è sparito dalla scena pubblica per settimane prima della destituzione ufficiale. Il ministro avrebbe irritato le autorità del Pcc per un figlio illegittimo avuto con una giornalista di Hong Kong negli Stati Uniti. Pur non essendo stato accusato formalmente di alcun reato, la sua rimozione e il trasferimento a un ruolo di facciata hanno rappresentato un duro colpo al prestigio di Xi , che lo ha rapidamente promosso dopo la sua ascesa al potere.

IL «FALLIMENTO INEVITABILE»

Secondo il commentatore indipendente Cao Shenkun e il dissidente e giurista Yuan Hongbing, l’incessante «auto rettifica» da parte di Xi ha fatto saltare i nervi di molti ufficiali dell’esercito cinese. Secondo fonti vicine ai vertici del Pcc, Yuan ha dichiarato che l’ammiraglio Miao Hua, sotto custodia, avrebbe stilato a mano, in preda al panico, una lunga lista di ufficiali militari, dettagliandone le presunte violazioni.

Oltre dieci anni di campagne anticorruzione incessanti, controlli autoritari sempre più stringenti sulla società, l’indottrinamento ideologico comunista e tre anni di lockdown per la politica «zero-Covid» sembrano pesare non solo sui cittadini comuni, ma anche sui funzionari del Pcc stesso, che vedono minacciati i loro interessi e la loro sicurezza.

A febbraio, un articolo è circolato su siti web cinesi d’oltremare, descrivendo l’esistenza di una «vasta burocrazia» che si è opposta al potere di Xi. Pur non criticando il Partito Comunista o la sua ideologia, l’articolo, intitolato «Il fallimento inevitabile di Xi Jinping», ha spiegato che il regime si trova ormai sull’orlo del collasso a causa delle disastrose politiche economiche di Xi e che possa essere salvato solo con la sua rimozione.

Secondo l’articolo, presumibilmente scritto da un alto funzionario del regime, i funzionari, esasperati, hanno lavorato per sabotare le politiche di Xi, talvolta stravolgendo le sue stesse dottrine per andargli contro, «usando le parole di Xi contro Xi».
Questo fenomeno «attraversa ogni ambito della politica, dall’economia alla propaganda, fino alla giustizia in Cina», si legge, e i «tecnocratici» sono così radicati che Xi non riuscirà mai a eliminarli del tutto. Di conseguenza, il suo governo è «destinato a un inevitabile fallimento».

Zhang Tianliang, professore presso la Fei Tian Academy of the Arts di New York, osserva che l’articolo parla dell’esistenza di un «deep state» del Partito comunista cinese, che Xi Jinping non avrebbe mai osato attaccare seriamente, per timore di scatenare una guerra che potrebbe provocare il crollo dell’intero regime comunista cinese.

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