I “demoni” della rete si chiamano cyberbullismo e body shaming

di Francesca Rotondi
17 Giugno 2025 18:17 Aggiornato: 17 Giugno 2025 18:18

È l’epoca della cultura dell’immagine. Un’epoca in cui si vive di immagine, dove l’identità individuale viene rapidamente soffocata sulla rete, per apparire diversi ma accattivanti su un profilo social, su una foto filtrata, o per cercare di ottenere una serie di like. Il fine è sempre ottenere visibilità ed essere riconosciuti, apprezzati. Ma il confine tra mondo reale e virtuale diventa sempre più sottile. E pericoloso. E in questa superficie patinata del web si nascondono due fenomeni che bersagliano i ragazzi: il cyberbullismo e il body shaming. Non sono casi isolati, non sono “ragazzate”, non sono “scherzi”. Sono violenze. E come tali vanno trattate.

Un tempo, nel bullismo tradizionale, la violenza era circoscritta ad un’aula, un cortile, una compagnia. Oggi, con il cyberbullismo, una forma di bullismo esercitata su strumenti digitali, non esiste più alcun confine e le vittime vengono colpite nell’anonimato del bullo, a distanza, o in pubblico. E l’insulto non è solo virale, ma permane nella mente di chi lo subisce.

A differenza del bullismo “tradizionale”, quello online è inesauribile, perché i contenuti offensivi restano accessibili nel tempo e possono raggiungere un pubblico illimitato, e per la vittima diventa difficile riuscire a difendersi.

Parallelamente esiste anche un altro fenomeno moderno della rete, che insidia e ridicolizza chiunque non risponda a determinati canoni estetici, sottoponendo la vittima alla pressione di giudizio sociale devastante: il body shaming. Il corpo – femminile, maschile, adolescente, adulto – diventa il bersaglio di derisione. Non si tratta solo di commenti fuori luogo ma di un sistema che legittima il disprezzo sotto la maschera dell’ironia o della “libertà di parola”.

In un’epoca dove regna la cultura dell’immagine che schiaccia l’identità, si usano i social non solo come forma di intrattenimento ma anche come strumento di una estrema crudeltà. Basta guardare le sfide virali, i commenti sotto le foto di adolescenti, i gruppi privati in cui si condividono insulti come se fosse tutto nella normalità. E a pagarne il prezzo sono le vittime: giovani che smettono di guardarsi allo specchio, che si isolano, che iniziano a odiare se stessi. E a volte, come abbiamo purtroppo assistito in questi ultimi tempi, questi ragazzi lasciati soli ad affrontare un mostro più grande di loro, arrivano a compiere gesti estremi.

Ma come si contrasta davvero tutto questo? La prima risposta è umana, non tecnologica: prima di dare in mano ai ragazzi uno smartphone e insegnargli come funziona, occorre introdurre un argomento più importante. L’empatia, la vera competenza digitale del XXI secolo.

Prima ancora di lasciare ai ragazzi la libertà di gestirsi in rete, occorre insegnare loro l’importanza di mettersi nei panni degli altri e saper ascoltare l’altro, partendo dall’esempio. Gli adulti, spesso distratti dalla vita frenetica colma di impegni lavorativi e familiari, inconsapevolmente iniziano a dare per scontato l’importanza fondamentale del dialogo con i propri figli. Non basta più voltare lo sguardo dall’altra parte. Il cyberbullismo e il body shaming non sono problemi “dei giovani”, ma specchi della società che stiamo costruendo.

Molti adulti non conoscono le dinamiche della rete, ignorano i segnali, e sottovalutano i rischi. Quando poi i genitori si trovano improvvisamente di fronte a questi fenomeni virali ormai sempre più aggressivi, si sentono disorientati. Ma, per i propri figli, il solo fatto di esserci è già una prima forma di intervento.

Un figlio che subisce una violenza digitale ha bisogno di sapere che non è solo. Un genitore o un’insegnante che osserva con attenzione, può accorgersi dei diversi segnali – anche silenziosi – che spesso si manifestano indirettamente: isolamento, rifiuto di andare a scuola o frequentare gli amici. Anche ansia, insonnia e irritabilità seguite da un calo dell’autostima o ossessioni legate all’aspetto fisico. In ultimo ma non meno importante un uso compulsivo o un rifiuto improvviso dei social network. Sintomi spesso accompagnati anche da risposte psicosomatiche (mal di pancia, mal di testa, ecc.).

Il primo passo fondamentale è parlare con il proprio figlio, in modo calmo, senza giudicare né fargli subire un interrogatorio. Parlargli. Aprire un dialogo autentico per fargli capire che non è solo, che è può succedere di stare male e che ha il diritto di sentirsi protetto. Domande semplici come: «Ho notato che sei più silenzioso del solito… ti va di raccontarmi cosa succede online o a scuola?» oppure «ti sei sentito giudicato o preso in giro?» o anche «c’è qualcosa o qualcuno che ti fa stare male quando usi il telefono?» possono trasmettere ai ragazzi la volontà sincera di aiutarli incondizionatamente e di essere lì per loro.

I passi successivi comprendono una rielaborazione del vissuto del minore, e al contempo iniziare a raccogliere le prove: screenshot, messaggi, post, commenti, tag. Non conviene rispondere direttamente ai bulli ma segnalare e bloccare gli account offensivi sulle piattaforme coinvolte, valutando se disattivare temporaneamente i profili, solo se il ragazzo è d’accordo e lo vive come una protezione, non come una punizione.

E’ importante precisare che i fenomeni virali possono essere collegati all’ambiente scolastico o altri ambienti sociali, quindi si può chiedere un confronto con gli insegnanti, o con gli istruttori della palestra dove si va ad allenare ad esempio, e chiedere con discrezione se si sono verificati episodi analoghi.

Il cyberbullismo e il body shaming colpiscono duramente l’identità. Per questo è essenziale non focalizzarsi solo sul trauma, ma aiutare il proprio figlio a ricostruire un’immagine positiva di sé, a riconoscere i suoi talenti, e offrirgli spazi per esprimersi al meglio (arte, sport, scrittura, associazionismo).

Se il disagio persiste o si aggrava, è opportuno chiedere aiuto a uno psicologo o a un servizio specializzato in età evolutiva e cyberbullismo, per aiutare il ragazzo a rielaborare l’esperienza e a rafforzare le sue risorse interiori. Se necessario, si può agire per vie legali perché in Italia il cyberbullismo è riconosciuto e sanzionabile dalla legge (L. 71/2017), presentando una segnalazione alla Polizia Postale e chiedendo la rimozione dei contenuti offensivi dalle piattaforme social.

Un genitore non può eliminare il dolore, ma può accompagnare il proprio figlio, essere dentro il dolore insieme a lui, trasformandolo in un’occasione di crescita, consapevolezza e autodeterminazione. E irrobustire il legame che vi unisce per diventare una famiglia ancora più forte e unita.


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