I dazi americani hanno sconvolto il commercio internazionale

di redazione eti/Sean Tseng
29 Maggio 2025 17:38 Aggiornato: 30 Maggio 2025 7:39

Quando il 12 maggio si è diffusa la notizia che Washington e Pechino avevano concordato una tregua di 90 giorni, i container si sono subito accumulati al terminal internazionale cinese di Yantian a Shenzhen, il porto che gestisce oltre un quarto delle merci dirette negli Stati Uniti.

I dazi statunitensi sono scesi dal 145% al 30% e quelli cinesi dal 125% al 10%. In un solo giorno, i container hanno congestionato i principali porti cinesi e le compagnie di navigazione hanno applicato sovrapprezzi da alta stagione per i viaggi previsti con settimane di anticipo rispetto all’estate. E i prezzi di trasporto marittimo nel Pacifico sono saliti vertiginosamente. La tregua scadrà l’11 agosto.

Gli analisti ritengono che la tregua di 90 giorni sia solo un palliativo. Questo accordo ha introdotto nuove strategie da parte della Cina, come spedizioni rapide, contratti flessibili e produzione diversificata in più Paesi. Anziché invertire la tendenza, sembra che questa tregua accelererà l’esodo delle filiere produttive in Cina. Secondo la società di trasporto merci Vizion, le prenotazioni settimanali dalla Cina agli Stati Uniti sono aumentate del 277%.
L’indice Drewry mostra che i prezzo di trasporto marittimo del 15 maggio sulla rotta Shanghai-Los Angeles sono saliti del 16%, raggiungendo i 3 mila 136 dollari per un container da 12 metri, mentre sulla Shanghai-New York sono aumentati del 19%, arrivando a 4 mila 350 dollari. «Non ci sono abbastanza navi per tutto questo carico. I prezzi schizzeranno alle stelle», ha scritto il 16 maggio Ryan Petersen, amministratore delegato della società di spedizioni Flexport, in un post su X.

«I 90 giorni di tregua hanno semplicemente rimandato l’inevitabile — ha dichiarato l’economista statunitense Davy J. Wong. — Siamo passati da un “possibile accordo” a uno scontro continuo. I dazi salati potrebbero diventare la norma, con le esenzioni sfruttate come strumento di negoziazione». Un disgelo duraturo delle tensioni commerciali tra Usa e Cina «sembra improbabile a breve» anche a Sun Kuo-hsiang, professore di affari internazionali all’Università Nanhua di Taiwan: Ogni ciclo di pausa-ripresa spinge più fabbriche all’estero e incentiva le grandi aziende che restano in Cina a introdurre l’automazione: nel settore di componenti auto stanno già sostituendo i lavoratori con bracci robotici per la saldatura.

PORTI CONGESTIONATI

La crisi nei porti sta già avendo ripercussioni sulle operazioni delle compagnie di navigazione. La compagnia tedesca Hapag-Lloyd ha riferito a Reuters che l’azienda darà priorità ai clienti con contratti a lungo termine, poiché la domanda al momento supera l’offerta. Gli spedizionieri stanno già pagando sovrapprezzi da alta stagione, solitamente applicati in estate.

Intanto, le fabbriche cinesi stanno dando priorità alla spedizione di scorte arretrate, merci ad alto profitto e prodotti natalizi, con gli ordini a lungo termine dei principali rivenditori Usa in cima alla lista.

L’economista Wong considera l’evento un capovolgimento del modello tradizionale in cui gli importatori americani accumulano scorte. Gli esportatori cinesi stanno infatti spedendo anche merci non ancora vendute attraverso il Pacifico per anticipare i tempi e se i dazi torneranno ad agosto, i prodotti potrebbero essere reindirizzati al Messico o nel Sud-est asiatico per essere riconfezionati, immessi sul mercato interno cinese, smontati per recuperarne i componenti, a patto di avere un certo margine di profitti.

LE FABBRICHE ACCELERANO

I produttori del Pacifico mostrano come la tregua di 90 giorni stia accelerando una tendenza già in atto. Limoss, un produttore tedesco di sistemi di controllo da remoto con sede a Dongguan, sta cercando di espandere le operazioni in Malesia per via degli ordini dall’America. Il produttore giapponese di macchinari Komatsu ha dichiarato che potrebbe spostare la produzione di attrezzature destinate agli Usa dalla Cina alla Thailandia se i dazi torneranno in vigore, mentre l’amministratore delegato di Volvo, Jim Rowan, ha sottolineato che l’azienda è pronta a trasferire ulteriormente la produzione nel South Carolina se i dazi sulle auto aumenteranno.

Ma il cambiamento è in corso da anni: nel 2024, il Vietnam produceva già metà delle scarpe Nike, quasi un terzo dei suoi capi d’abbigliamento, il 40% dei prodotti Lululemon e il 39% delle calzature Adidas. Lo stesso Vietnam è stato soggetto a un dazio statunitense del 46%, sceso al 10% dal 9 aprile. Anche i rivenditori Usa si stanno adattando: Target sta spostando parte della produzione dalla Cina all’America Centrale.

AUTOMAZIONE

Gli esperti inquadrano il periodo 2024-2026 come spazio per la cosiddetta “migrazione China + 1”, ovvero mantenere una base di fabbricazione in Cina ma aggiungendo almeno un altro sito di produzione altrove per diversificare i rischi. Elettronica, abbigliamento, giocattoli e produttori di elettrodomestici stanno infatti guidando la corsa verso Vietnam, Messico e Indonesia. Le aziende ad alta tecnologia stanno dividendo i nuovi investimenti tra Cina e siti alternativi.

Ma la contromisura fondamentale del regime cinese è quella di implementare immediatamente l’automazione: se i robot e sistemi di controllo intelligenti possono ridurre abbastanza i costi, alcune grandi fabbriche potrebbero restare nonostante i dazi. Ma la maggior parte delle aziende non riesce a far quadrare i conti quando i dazi Usa si avvicinano al 40-50%. In ogni caso, il compromesso è una riduzione dei posti di lavoro in patria.

Con il piano Made in China 2025, Pechino vuole che i produttori nazionali di robot conquistino il 70% del mercato interno entro il 2025. Gli esperti prevedono che l’automazione si diffonda prima nei segmenti ad alto margine, come la lavorazione di componenti auto, l’assemblaggio di grandi elettrodomestici e la produzione di computer. La seconda ondata della strategia “China + 1” potrebbe raggiungere il picco a fine 2025, con le industrie più importanti che punteranno sull’automazione per rimanere a galla.

I RISCHI PER LA CINA

Questa corsa comporta rischi oltre i tassi di trasporto. La Cina domina ancora i prodotti chimici specializzati, i principi attivi farmaceutici, i componenti di precisione per macchinari e i magneti di terre rare. Anche dei ritardi minimi possono fermare le fabbriche americane per mesi.

Allo stesso tempo, il capitale che sostiene questo commercio è altrettanto esposto a un grosso impatto. Gran parte della corsa è finanziata da banche, con prestiti a breve scadenza che coprono le scorte, e se la domanda crolla, le merci invendute diventano un “buco nero” per gli esportatori di piccole e medie dimensioni. Secondo S&P Global, le banche cinesi hanno già ristretto il credito alle micro e piccole imprese, rafforzato i controlli sui rischi e aumentato le riserve per le perdite, ma questa strategia non può andare avanti all’infinito.

Gli esperti credono che un’ondata di crediti inesigibili possa abbattersi sulle banche cinesi. S&P Global prevede che il tasso di crediti concessi a medie e piccole imprese cinesi da passare a perdita salirà al 10% tra il 2025 e il 2027. Se i dazi aumenteranno ad agosto, si prevedono licenziamenti localizzati e specifici per settore nei centri esportatori cinesi come Guangdong e Jiangsu già a settembre. Fabbriche ad alta intensità di manodopera in giocattoli, abbigliamento ed elettrodomestici stanno già riducendo i turni.

COMPAGNIE DI NAVIGAZIONE IN CRISI

Per le compagnie di navigazione marittima, se la domanda crolla dopo agosto, le navi resteranno in porto nonostante i prezzi bassi del carburante. I nuovi contratti penalizzano gli spedizionieri che non rispettano gli impegni minimi di carico.  L’amministrazione Trump avverte che dazi più alti torneranno se Pechino non farà ulteriori concessioni. Per ora, le navi corrono contro il tempo.

Le aziende su entrambe le sponde si stanno comportando come se l’era dei dazi bassi e prevedibili fosse finita. Stanno aumentando le scorte, riscrivendo i contratti e sradicando le filiere, non per una crisi temporanea, ma per un futuro in cui la pace commerciale sarà solo una tregua che dura fino al prossimo conto alla rovescia di 90 giorni.

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