La competizione per le risorse minerarie della Groenlandia si fa sempre più serrata. A rilanciarla è stata Naaja Nathanielsen, ministro groenlandese delle Risorse minerarie, che in un’intervista al Financial Times ha dichiarato che l’isola potrebbe aprire alla collaborazione con la Cina se Stati Uniti ed Europa non interverranno con la necessaria tempestività.
«Vogliamo sviluppare il nostro settore economico e diversificarlo, e questo richiede investimenti esterni», afferma il ministro. Riguardo ai potenziali partner, ha precisato che la Groenlandia intende prioritariamente collaborare con soggetti europei e statunitensi. «Ma se questi non si presenteranno, credo che dovremo guardare altrove».
La Groenlandia possiede riserve significative di zinco, oro, rame e circa 1,5 milioni di tonnellate di terre rare, risorse fondamentali per le tecnologie verdi e la difesa. È stato proprio il potenziale minerario dell’isola a spingere il presidente Trump a proporne l’acquisto nel 2019. Anche la Cina, leader mondiale nella produzione e lavorazione delle terre rare, ha tentato di rafforzare la propria presenza nell’area.
Durante l’amministrazione Biden, Washington ha esercitato pressioni su un’azienda coinvolta nel progetto Tanbreez, invitandola a non cedere quote a un soggetto legato al regime cinese. Un altro progetto vicino, che prevedeva investimenti da parte della cinese Shenghe Holdings per l’estrazione di uranio e terre rare, è stato bloccato nel 2021 con l’introduzione del divieto di estrazione dell’uranio. La decisione ha visto il coinvolgimento diretto del ministro Nathanielsen.
Nel marzo scorso, l’amministratore delegato della Banca di Groenlandia ha auspicato un impegno concreto da parte di Unione Europea e Stati Uniti nell’acquisto di materie prime strategiche provenienti dall’isola. Nello stesso mese, l’organo di propaganda del regime cinese Xinhua ha riferito dell’interesse del nuovo ministro degli Esteri groenlandese a rafforzare i rapporti con Pechino. Il mese successivo, i due Paesi hanno infatti firmato un accordo volto a facilitare le esportazioni di pesce groenlandese verso la Cina.
All’orizzonte si profila inoltre la scadenza del memorandum d’intesa siglato con Washington durante l’amministrazione Trump, che regolava la cooperazione sulle risorse minerarie. Nathanielsen ha espresso preoccupazione per la mancanza di chiarezza sul suo eventuale rinnovo. Il ministero degli Esteri americano, interpellato sull’argomento, ha preferito non confermare se l’accordo verrà prorogato, ma ha sottolineato l’importanza strategica dell’isola e l’impegno degli Stati Uniti a tutelare gli interessi comuni nell’Artico. «Sosteniamo fermamente il diritto dei groenlandesi di determinare il proprio futuro», ha precisato un portavoce della Casa Bianca.
Non sono mancate reazioni interne. Un imprenditore locale ha definito «preoccupanti» le dichiarazioni della ministra. A suo avviso, la lentezza degli investimenti è in parte riconducibile all’instabilità politica dimostrata dagli ultimi governi. Lo stesso imprenditore, rimasto anonimo per timore di ritorsioni, ha ricordato che già sotto la guida del premier Múte Egede — esponente del partito socialista Inuit Ataqatigiit — la Groenlandia aveva adottato una linea restrittiva: nel 2021 sono state sospese le nuove esplorazioni di petrolio e gas, revocata una concessione per il ferro a un’azienda cinese e vietata l’estrazione di uranio.
Sebbene l’attività mineraria sull’isola abbia radici storiche, negli ultimi anni è rimasta su scala limitata. Tuttavia, segnali di apertura non mancano. All’inizio di maggio, il governo ha concesso una licenza trentennale a un consorzio danese-francese per l’estrazione di anortosite, una roccia impiegata nella produzione di fibra di vetro e con applicazioni nell’industria dell’alluminio. Poco dopo, una delegazione del settore privato guidata da Drew Horn, esperto di minerali strategici ed ex consigliere dell’amministrazione Trump, ha visitato l’isola insieme a rappresentanti di Refracture, Critical Metals Corp, Cogency Power e American Renewable Metals.