Gli Stati Uniti lasciano l’Unesco

di Redazione ETI
23 Luglio 2025 7:33 Aggiornato: 23 Luglio 2025 7:33

Gli Stati Uniti usciranno dall’Unesco entro la fine del 2026. Lo ha confermato il ministero degli Esteri Usa il 22 luglio, motivando la decisione con divergenze ideologiche che variano dalle posizioni politiche anti-israeliane al globalismo. «Proseguire la partecipazione all’Unesco non è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti» ha dichiarato il portavoce Tammy Bruce in una nota ufficiale, spiegando che l’Unesco promuove «cause sociali e culturali divisive» e dà priorità agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, un programma politico «globalista».

Il 22 luglio, gli Stati Uniti hanno notificato formalmente il ritiro al direttore generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, come previsto dall’articolo II(6) della costituzione dell’organizzazione. La decisione entrerà in vigore il 31 dicembre 2026; fino ad allora gli Stati Uniti continueranno a partecipare come membri a pieno titolo.
Si tratta della terza volta che gli Stati Uniti abbandonano l’Unesco. La precedente uscita risale al 2017, durante il primo mandato di Trump, con motivazioni analoghe. Gli Stati Uniti erano rientrati nell’Unesco nel 2023: Biden aveva giustificato la decisione come necessaria per contrastare la crescente influenza della Cina nell’organizzazione. Un rapporto del 2023 dell’organizzazione per i diritti umani Uyghur Human Rights Project aveva accusato l’Unesco di essere «complice» delle atrocità commesse dal Partito comunista cinese contro gli uiguri.

Anna Kelly, vice portavoce della Casa Bianca, ha sottolineato che l’attuale decisione di uscire di nuovo dall’Unesco, riflette la volontà del presidente di riesaminare la presenza degli Stati Uniti d’America negli organismi internazionali alla luce degli interessi nazionali: «il presidente mette sempre l’America al primo posto. La nostra appartenenza a tutte le organizzazioni internazionali deve essere in linea con i nostri interessi nazionali».
Nella sua dichiarazione, la Bruce ha ribadito l’opposizione degli Stati Uniti alla decisione dell’Unesco del 2011 di ammettere la Palestina in qualità di Stato membro, definendola «altamente problematica» e un fattore che ha contribuito alla «proliferazione di propaganda anti-israeliana all’interno dell’organizzazione».
In passato, l’amministrazione Reagan aveva ritirato gli Stati Uniti dall’Unesco nel 1984, denunciando mala gestione e un’eccessiva vicinanza al regime sovietico. Gli Stati Uniti erano rientrati nel 2003 con George W. Bush, salvo poi sospendere i finanziamenti nel 2011, in seguito all’ammissione della Palestina.

Alex Newman, giornalista investigativo di Epoch Times Usa, aveva riportato nel 2020 le preoccupazioni di diversi alti funzionari e analisti americani per quella che descrivevano una «presa di controllo» delle Nazioni Unite e delle sue agenzie, inclusa l’Unesco, da parte del Partito comunista cinese: «Non credo che l’Unesco sia riformabile», aveva dichiarato all’epoca Kevin Moley, ex sottosegretario di Stato americano per gli affari delle organizzazioni internazionali, aggiungendo che la definizione delle politiche dell’agenzia era «in gran parte controllata dal Pcc e dai suoi alleati».


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