Gli adolescenti non riescono a trovare lavoro “grazie” a Marx

di Jeffrey A. Tucker per et usa
7 Agosto 2025 21:49 Aggiornato: 7 Agosto 2025 21:49

Quando avevo 12 anni, ho iniziato a lavorare per un’azienda specializzata nella riparazione di organi a canne, quelli che si trovano nelle antiche chiese. Non si trattava di organi biologici, ma di strumenti musicali. Venivo pagato in contanti e, devo ammetterlo, adoravo quel lavoro. Mi arrampicavo nei sottotetti, calpestando ossi di piccioni ormai secchi, per raggiungere la canna da riparare. Il mio compito consisteva principalmente nel rimuovere polvere e sporcizia. Individuavo la canna giusta ascoltando il suono prodotto dal mio capo, che suonava una nota sulla tastiera al piano inferiore. Una volta trovata, la estraevo, la riparavo e la rimettevo al suo posto. Lavoravo soprattutto sulle note più acute, con canne d’acciaio che, in pratica, erano flauti. Il mio capo mi aveva avvertito di rilassare la gola durante la giornata, perché istintivamente si tende a imitare l’intonazione delle note, causando irritazione. Il primo giorno tornai a casa con la gola infiammata, ma seguendo il suo consiglio il problema svanì.

Non avevo esperienza pregressa, quindi perché fui scelto? Solo anni dopo ci ho riflettuto: ero piccolo e magro, perfetto per muovermi nei minuscoli spazi del sottotetto, inaccessibili agli adulti. Sì, la mia giovane età e la mia corporatura furono sfruttate. Nonostante gli avvertimenti contro il “lavoro minorile”, per me fu un’esperienza straordinaria: durante le pause, assistevamo alle funzioni religiose e vidi la mia prima messa cattolica, un rito che trovai magico e misterioso. Senza quel lavoro, non l’avrei mai scoperta. Terminato un restauro, ci spostavamo in un’altra chiesa. Passai così tutta l’estate, formando alcuni dei ricordi più belli della mia infanzia. Fui scelto per la mia giovane età e corporatura, proprio come i bambini spazzacamini nell’Inghilterra vittoriana. Le vecchie immagini di bimbi con cilindro e frac sono autentiche: amavano vestirsi da aristocratici, sporcarsi arrampicandosi nei camini ed essere pagati per farlo. Certo, c’erano problemi e tragedie, ma la soluzione fu draconiana: ozio forzato e scuola obbligatoria a tempo pieno.

Nel 1936, Franklin Delano Roosevelt, allora presidente degli Stati Uniti, firmò una legge che vietava il cosiddetto lavoro minorile, meglio definito come lavoro giovanile. Poco dopo scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, e i giovani furono arruolati e mandati all’estero, mentre i più piccoli contribuivano allo sforzo bellico come potevano. Ma l’applicazione della nuova norma era incostante, e fu solo negli anni Cinquanta che la legge iniziò a influenzare davvero i giovani, e le conseguenze si videro quando quella generazione crebbe: nacque la cosiddetta “crisi generazionale”, cioè un senso di alienazione sociale. E non a caso: fu la prima generazione a non conoscere il lavoro. Quando ero giovane, trovare un impiego da ragazzo era ancora possibile. Oggi è quasi impossibile, a meno che non si lavori in un’azienda di famiglia, in una fattoria o come attore bambino, eccezioni ancora previste dalla legge. Tecnicamente, si può lavorare dai 14 anni, ma le restrizioni per i datori di lavoro sono rigide: servono autorizzazioni da scuole e genitori, oltre a limitazioni su cosa i ragazzi possano fare. Con la scuola obbligatoria, comunque, pochi datori prendono in considerazione le candidature. In pratica, i giovani non possono lavorare fino ai 16 anni, e anche allora con vincoli. Nel frattempo, riempiono il tempo libero con altro. Questo spiega il declino del lavoro giovanile.

Oggi, molti giovani arrivano all’università e si laureano senza aver mai avuto un lavoro. Entrano nel mondo del lavoro brandendo una laurea che non li prepara a nulla. Si irritano per i compiti, provano risentimento verso i capi e cercano ogni modo per evitare le responsabilità. Sono stati plasmati da un sistema universitario che li ha coccolati in classe per diciotto anni senza vere sfide. Non sono pronti per il lavoro.
Per quanto riguarda i ragazzi delle scuole medie e superiori, uno su tre assume farmaci psicotropi per essere sedato e restare seduto in classe tutto il giorno per dodici anni. Abbiamo un’epidemia di disturbi mentali con nomi che un secolo fa non esistevano. Ritengo che Franklin Delano Roosevelt abbia una parte di responsabilità. Abbiamo pagato un enorme prezzo culturale. E ora assistiamo al crollo del tasso di natalità, in parte perché i figli rappresentano un costo enorme per le famiglie, senza alcun beneficio.

Nessuno vuole che i bambini siano “mercificati”, ma un sistema economico che li rende solo una spesa da milioni di dollari è persino peggiore. Non sorprende che le nascite siano in calo. È semplice economia. Eppure, ogni volta che tocco questo argomento, le persone cercano di zittirmi, scandalizzate che io abbia anche solo considerato l’idea. Dopotutto, l’abolizione del “lavoro minorile” è vista come una delle grandi conquiste della modernità. Così dicono.
Personalmente, io non ho mai capito questa mentalità né il tabù che impedisce una discussione razionale. Recentemente, qualcuno mi ha indicato quello che è considerato l’argomento più convincente a favore del divieto di lavoro minorile, tratto dal primo volume de Il Capitale di Karl Marx. Ho deciso di leggerlo. Marx elogia il Parlamento britannico per il Factory Act del 1844, che vietava il lavoro minorile, descrivendo gli orrori di quella pratica. Non sono in grado di contestare i fatti riportati. Sono certo che fosse un lavoro duro, spesso terribile per i bambini.
Tuttavia, quei ragazzi cercavano di guadagnare e coglievano opportunità, specialmente gli orfani. C’era sfruttamento? Certo. Aveva senso l’intervento dei politici? Probabilmente. Tuttavia, Marx propone una teoria affascinante sull’infanzia, e io ho dovuto rileggerla più volte per comprenderla. Scrive: «La desolazione intellettuale, prodotta artificialmente trasformando esseri umani immaturi in semplici macchine per la creazione di plusvalore, uno stato mentale chiaramente distinguibile da quell’ignoranza naturale che mantiene la mente incolta senza distruggerne la capacità di sviluppo, la sua fertilità naturale, ha infine costretto persino il Parlamento inglese a rendere l’istruzione elementare una condizione obbligatoria per l’impiego ‘produttivo’ dei bambini sotto i 14 anni in ogni industria soggetta al Factory Act». Chiaro? Marx offre qui una teoria generale dell’infanzia: sostiene che l’«ignoranza naturale» di un adolescente mantenga la mente «incolta» senza distruggerne la «capacità di sviluppo» e la «fertilità naturale». Usa il termine «incolta» come si parla di un terreno agricolo lasciato riposare per recuperare fertilità. Quindi, per Marx, la mente di un bambino è come un campo che deve restare inutilizzato. Io vi chiedo: secondo voi è vero? È davvero meglio che un giovane non abbia compiti, responsabilità o aspettative? Un bambino di dieci anni non passerà il tempo a correre nei prati o a giocare con un cerchio.
Secondo Marx, anche faccende domestiche o richieste di comportarsi bene in chiesa rovinerebbero questa «fertilità naturale». Non si tratta solo di lavoro retribuito: Marx sembra condannare qualsiasi aspettativa o compito per i bambini. È una visione che ricorda Il signore delle mosche, che rischia di creare una classe di delinquenti. Lo dico chiaramente: è un errore colossale. La cosa peggiore per le giovani menti è l’ozio forzato, come abbiamo visto durante i lockdown, quando i ragazzi non potevano andare a scuola e passavano il tempo a scorrere i social media. Questa è la strada verso la catastrofe, altro che preservare la fertilità mentale! È una ricetta per una vita sprecata. Quello che voglio dire, è che la critica di Marx al lavoro minorile retribuito va oltre: è una teoria estrema dell’infanzia, simile a quella di Rousseau e altri utopisti che vedono la società come intrinsecamente corrotta.

Immaginiamo di liberalizzare queste leggi: i ragazzi potrebbero lavorare a un’età più giovane, entrando in un mondo adulto fatto di responsabilità e aspettative. Scoprirebbero cosa significhi essere pagati, imparerebbero a relazionarsi con adulti, capi e clienti, comprendendo il funzionamento del mondo reale. Si potrebbero immaginare soluzioni ibride: scuola al mattino, lavoro al pomeriggio e studio la sera. Oppure tre giorni di scuola e tre di lavoro. O ancora, scuola stagionale e lavoro nei periodi di pausa, senza schemi rigidi. Perché tutto deve essere deciso dalle autorità federali? Non si parla di miniere di sale, camini o sottotetti con organi. Potrebbero essere fast food, hotel, ristoranti, giardinaggio o caddie nei campi da golf. Qualsiasi attività utile. I genitori potrebbero supervisionare e trovare il percorso migliore. Non vedo alcuna catastrofe in questo. La vera catastrofe è nell’ozio e nella pigrizia forzati, che non hanno funzionato.

Mi scuso per aver infranto un tabù, ma io ho amato il mio lavoro a dodici anni e, ripensandoci, sono felice di aver avuto responsabilità reali e che almeno un imprenditore abbia visto il mio valore. E mi dispiace che i ragazzi di oggi non possano vivere la stessa esperienza. Marx si sbagliava sui giovani e sui loro bisogni.


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