Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor del presidente di Confindustria Orsini su competitività e Piano Mattei, in una intervista al Foglio parte da un dato: «L’Italia ha speso finora circa 200 miliardi di incentivi per le energie rinnovabili, senza peraltro raggiungere l’obiettivo di sostituire solare e fotovoltaico all’energia da idrocarburi. Ebbene, il Paese dovrà fare uno sforzo anche per incentivare la produzione di energia nucleare che tutti gli studi scientifici ci assicurano essere ormai sicura, stabile e a emissioni zero, quindi compatibile con gli obiettivi europei di decarbonizzazione. Vuole dire scaricare i costi sulle bollette. Gli italiani lo accetteranno facilmente: «Sì, se si spiega loro che è la nostra unica possibilità. Ovviamente, si sta parlando di impianti di nuovissima generazione, noti come srm, reattori modulari di piccola taglia, più flessibili, sicuri e adatti alla cogenerazione a media-alta temperatura: offrono vantaggi in termini di costi, tempi di installazione e stabilità della rete». Quanto al numero delle centrali: «Si sta ragionando su un’ipotesi che ne prevede la costruzione di 40-50 da 200 mgw». Costo complessivo: «70-75 miliardi, molto meno dei 200 miliardi che sono stati spesi per sostenere le fonti rinnovabili attraverso un sistema di incentivazione che termina nel 2030. Da quel momento si potrebbe pensare a sostenere l’avvio del nucleare con un meccanismo analogo. Intendiamoci – continua il presidente – non ho nulla contro solare ed eolico, ma è ormai chiaro che possano svolgere un ruolo solo complementare nel mix energetico necessario al paese per mantenere il suo ruolo di grande produttore ed esportatore mondiale. Senza contare che data center e intelligenza artificiale stanno rendendo lo sviluppo economico sempre più energivoro».
Lo studio di Confindustria, infatti, stima che da qui al 2050 la domanda di energia elettrica sarà triplicata. È ipotizzabile il coinvolgimento di capitali privati nella svolta nucleare: «Assolutamente sì. Numerose società di Confindustria hanno mostrato disponibilità a espandere il loro business in questo settore. E si sta ragionando sulla possibilità che gli imprenditori diventino azionisti delle centrali stesse». Secondo il rapporto di Confindustria, lo sviluppo del nucleare potrebbe generare un ritorno economico pari al 2,5 per cento del Pil: «Ovviamente, l’attuazione di questo programma necessita di un approccio integrato che preveda una forte connessione tra industria, ricerca, istruzione e formazione. Occorrono tecnici e professionalità qualificate per supportare questo processo, ma anche un’adeguata attività di comunicazione e divulgazione per spiegare ai cittadini i vantaggi e superare paure radicate» conclude Gozzi.