Il 16 giugno il direttore dell’Fbi, Kash Patel, ha annunciato la desecretazione di documenti riguardanti le presunte interferenze da parte del regime cinese nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2020. L’Fbi ha trasmesso al senatore repubblicano Chuck Grassley, presidente della Commissione Giustizia del Senato, materiale contenente informazioni su un coinvolgimento del Partito comunista cinese nel processo elettorale. «L’Fbi ha rinvenuto documenti che riportano gravi accuse relative alle elezioni del 2020, tra cui presunte interferenze da parte del Pcc», ha scritto Patel su X. «Il materiale è stato immediatamente desecretato e consegnato al senatore Grassley per ulteriori approfondimenti».
In precedenza, il senatore aveva sollecitato l’Fbi a rendere noti i documenti relativi agli affari economici esteri della famiglia dell’ex presidente Joe Biden, compresi i legami con aziende riconducibili al Pcc. In una lettera del 2022, Grassley aveva affermato che l’Fbi fosse in possesso di «prove rilevanti» e «voluminose» su illeciti riguardanti Hunter, figlio dell’ex presidente, e il fratello James. Secondo la stessa lettera, anche Joe Biden sarebbe a conoscenza degli affari del figlio e potrebbe avervi preso parte.
Nel 2021, l’allora direttore dell’intelligence nazionale, John Ratcliffe, attualmente a capo della Cia, ha inviato al Parlamento una lettera in cui segnalava i tentativi di ingerenza da parte del regime cinese nelle presidenziali del 2020, su cui gravano ancora seri dubbi di brogli elettorali a favore di Joe Biden. Brogli che Donald Trump continua a denunciare ancora oggi, dopo aver vinto di nuovo le elezioni presidenziali.
In quel documento, Ratcliffe a suo tempo scriveva che «sulla base di tutte le fonti di intelligence disponibili e secondo criteri uniformi e valutazioni formulate in modo indipendente da pressioni politiche, il Pcc ha cercato di influenzare le elezioni statunitensi». Ratcliffe denunciava inoltre che le informazioni sull’ingerenza cinese fossero state insabbiate dai vertici della Cia e fossero state esercitate pressioni sugli analisti affinché ritrattassero la proria valutazione. Ratcliffe evidenziava infatti come alcuni analisti fossero riluttanti a definire le azioni del regime cinese “interferenze elettorali” in quanto avversari politici di Donald Trump.