«Il 12 agosto, il ministro Urso ha chiamato tutte le parti a sottoscrivere l’accordo di programma per la decarbonizzazione dello stabilimento di Taranto di Acciaierie d’Italia (Adi), ex Ilva. Si tratta di un passaggio che non possiamo permetterci di perdere: l’accordo deve essere firmato. Ma deve essere accompagnato da garanzie precise, trasparenza sulle risorse e assunzione di responsabilità da parte di tutti». Lo ha detto Giuseppe Gravela, membro della segreteria, con delega energia, ambiente e infrastrutture, del Partito liberaldemocratico (Pld), il cui segretario è il deputato Luigi Marattin, in una nota. «La storia recente – prosegue Gravela – parla chiaro. Dopo l’acquisizione del 100% di Ilva da parte di ArcelorMittal, con un piano industriale e ambientale da 2,4 miliardi di euro, il Governo Conte II ha cancellato lo “scudo penale”, generando contenziosi e portando lo Stato a entrare nella gestione con il 38 per cento delle quote. Da lì in poi, il rimpallo tra pubblico e privato ha prodotto calo della produzione, perdita di competitività e rallentamento del risanamento ambientale. Il risultato? Il peggiore: né crescita industriale né tutela ambientale».
«Oggi l’accordo di programma – spiega Gravela – indica un percorso chiaro: trasformare il vecchio ciclo integrale in un moderno ciclo elettrico con preridotto (Dri). È un progetto ambizioso, con investimenti stimati tra 6 e quasi 10 miliardi di euro, ma privo di un elemento essenziale: la certezza sulle risorse. Pubbliche? Private? Miste? Al momento, sembra che sia disponibile un miliardo dal PNRR, sufficiente appena per uno dei quattro Dri previsti”. “Come Partito Liberaldemocratico, siamo convinti che la firma dell’accordo sia necessaria, ma con risposte puntuali e vincolanti a tre domande chiave: Le quote di ADI saranno interamente cedute al vincitore della gara o lo Stato resterà socio? Gli investimenti saranno totalmente a carico dell’acquirente? Se la gara andrà deserta, qual è il piano operativo del Governo?», si chiede nella nota. «Inoltre, lo Stato deve creare le condizioni affinché l’investitore possa essere competitivo sui mercati internazionali: certezza del diritto, stabilità normativa, costi energetici sostenibili, infrastrutture efficienti e accesso rapido alle autorizzazioni. Senza queste condizioni, nessun capitale privato sarà disposto a scommettere sul rilancio di Taranto, e ogni piano resterà lettera morta.
Firmare l’accordo significa fissare un impegno politico e industriale che vincoli tutte le parti, a partire dal Governo, passando per Regione, Provincia e Comune, a: Individuare un investitore solido e, se non possibile, presentare un piano alternativo credibile. Snellire le procedure locali, con pareri e autorizzazioni entro 60 giorni e applicazione del silenzio-assenso. Garantire un quadro normativo stabile per attrarre capitali e tutelare l’occupazione. Assicurare la tutela della salute dei cittadini, attraverso il rispetto rigoroso dei limiti di emissione degli inquinanti stabiliti dalla legge e il monitoraggio costante, trasparente ed efficiente da parte degli enti pubblici competenti», prosegue Gravela. «Taranto non può restare per altri 12 anni intrappolata nel ciclo integrale, come consentirebbe l’AIA appena rilasciata. Per noi liberaldemocratici la via è chiara: firmare subito l’accordo di programma, trasformarlo in un impegno concreto e assicurare che lo Stato faccia il suo mestiere di arbitro e garante, non di gestore inefficiente», conclude Gravela.