Escalation a Gaza 

di Redazione Eti/Chris Summers
21 Maggio 2025 8:42 Aggiornato: 21 Maggio 2025 9:28
L’inasprirsi del conflitto nella Striscia di Gaza, con l’avvio dell’operazione militare israeliana “I Carri di Gedeone”, ha riacceso i riflettori su una crisi umanitaria e politica che sembra lontana da una soluzione. I recenti sviluppi, segnati da attacchi aerei e da una nuova offensiva di terra volta a consolidare il controllo israeliano su parti del territorio, hanno suscitato una ferma reazione internazionale.
I vertici di Canada, Regno Unito e Francia, in una dichiarazione congiunta, hanno esortato Israele a sospendere le operazioni militari e a rimuovere le restrizioni agli aiuti umanitari, minacciando azioni concrete in caso contrario. Al contempo, hanno condannato Hamas, chiedendo la liberazione immediata degli ostaggi detenuti dal 7 ottobre 2023.
La posizione dei tre Paesi appare come un tentativo di trovare un equilibrio tra il riconoscimento del diritto di Israele a difendersi, dopo l’attacco subito due anni fa, e la crescente preoccupazione per le conseguenze umanitarie del conflitto. La dichiarazione sottolinea l’inaccettabilità della sofferenza a Gaza, dove la fame, soprattutto per i bambini, rappresenta una tragedia quotidiana. L’annuncio di Israele di consentire un ingresso minimo di cibo è stato giudicato insufficiente, mentre le Nazioni Unite avvertono che migliaia di vite, in particolare di minori, sono a rischio senza un intervento immediato.
Sul fronte interno, il primo ministro israeliano Netanyahu difende la linea dura, sostenendo che le critiche internazionali premiano indirettamente il terrorismo di Hamas. Tuttavia, voci come quella di Yair Golan, leader dell’opposizione di sinistra, invitano a riconsiderare un approccio che rischia di alienare ulteriormente la popolazione civile palestinese. Parallelamente, le pressioni degli Stati Uniti, il cui presidente Trump invita a “guardare entrambe le parti”, evidenziano la complessità di un conflitto in cui gli interessi strategici si intrecciano con imperativi umanitari.
La questione degli insediamenti in Cisgiordania aggiunge un ulteriore elemento di tensione. I tre leader europei hanno ribadito la loro opposizione a qualsiasi espansione, definendola illegale e dannosa per la prospettiva di uno Stato palestinese, che insieme alla necessità di garantire aiuti adeguati a Gaza, rappresenta un nodo cruciale per il futuro della regione.
In questo contesto, il dialogo appare l’unica via percorribile. I negoziati indiretti in corso in Qatar, pur fragili, offrono uno spiraglio per affrontare le questioni più urgenti: la liberazione degli ostaggi, la cessazione delle ostilità e la creazione di corridoi umanitari efficaci. La comunità internazionale, pur divisa, ha il dovere di promuovere un approccio che coniughi sicurezza e giustizia, evitando che le logiche di confronto prevalgano sulle esigenze delle popolazioni coinvolte. La strada è ardua, ma l’urgenza di agire non ammette ulteriori rinvii.

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