A partire dalla mezzanotte sono entrati in vigore i dazi del 50% su acciaio e alluminio annunciati da Donald Trump, raddoppiando il precedente livello del 25%.
«A mio avviso, l’aumento dei dazi contrasterà più efficacemente quei Paesi stranieri che continuano a inondare il mercato statunitense di acciaio e alluminio a basso costo, minando così la competitività delle industrie siderurgiche e dell’alluminio degli Stati Uniti», si legge nella proclamazione di Trump. «Sebbene i dazi precedentemente imposti abbiano fornito un cruciale supporto ai prezzi sul mercato americano, non hanno ancora permesso a queste industrie di raggiungere i livelli di utilizzo della capacità produttiva necessari per la loro sostenibilità e per le esigenze di difesa nazionale».
L’annuncio era stato anticipato il 30 maggio, durante un comizio nello stabilimento di U.S. Steel Corporation vicino a Pittsburgh, in occasione della celebrazione della nuova partnership con la giapponese Nippon Steel. L’annuncio aveva da subito avuto un impatto immediato sul mercato: le azioni delle aziende siderurgiche hanno registrato un’impennata: Cleveland-Cliffs in rialzo del 23%, Steel Dynamics e Nucor erano cresciute entrambe del 10%. Anche Kevin Dempsey, presidente e amministratore delegato dell’American Iron and Steel Institute, ha accolto con favore la decisione, sostenendo che contribuirà a mantenere solida l’industria siderurgica statunitense: «Guidato dalla Cina, l’eccesso di capacità produttiva mondiale di acciaio continua a crescere, nonostante il calo della domanda influenzato dalla crisi del settore edilizio cinese» ha dichiarato Dempsey, «di conseguenza, le esportazioni cinesi di acciaio sono più che raddoppiate dal 2020, raggiungendo 118 milioni di tonnellate nel 2024, un volume superiore alla produzione totale nordamericana. In questo contesto internazionale, che non mostra segni di miglioramento, l’aumento dei dazi eviterà nuove ondate di importazioni che danneggerebbero i produttori americani e i loro lavoratori».
L’Aluminum Association, che rappresenta i produttori dell’alluminio negli Stati Uniti, pur apprezzando gli sforzi del presidente per sostenere la produzione nazionale, ritiene che i dazi non incrementeranno la produzione né supporteranno le industrie a valle, soprattutto per il costo dell’energia: «Servono nuove fonti di energia elettrica affidabile e a basso costo, oltre a una politica inclusiva per raccogliere più rottami di alluminio domestici», ha dichiarato Matt Meenan, vicepresidente degli affari esterni dell’associazione. «Inoltre, è necessaria una politica commerciale e doganale coerente e prevedibile per pianificare gli investimenti attuali e futuri».
Costi a breve termine per una filiera strategica
L’aumento dei dazi probabilmente comporterà un incremento dei costi per le industrie che utilizzano acciaio e alluminio come materie prime, con possibili ripercussioni sui produttori americani più sensibili alle variazioni di prezzo. I settori più colpiti saranno quelli che dipendono fortemente dai metalli, come la produzione di elettrodomestici, l’auto e l’edilizia. L’alluminio, in particolare, è un materiale essenziale in svariati ambiti, dalla produzione di lattine per bevande a componenti per aerei, fino a fogli, utensili da cucina e cablaggi elettrici.
I future sui prezzi dei metalli pagati dai produttori americani sono già aumentati dopo l’annuncio dei dazi al 50%. I future Comex sull’alluminio sono schizzati del 52% il 2 giugno, mentre quelli sull’acciaio hanno registrato rialzi fino al 10%. Secondo Alex Durante, economista della Tax Foundation, le industrie che consumano acciaio e alluminio hanno subito un calo della produzione a causa dei dazi: «Tra il 2018 e il 2021, le industrie a valle hanno registrato una perdita annuale di 3,4 miliardi di dollari in produzione», ha scritto in un rapporto di maggio 2024.
Ma le preoccupazioni inflazionistiche nell’immediato, potrebbero essere controbilanciate da investimenti privati a medio e lungo termine: «Un effetto positivo dei dazi è che incentivano gli investimenti diretti esteri» osserva Paul Sracic, esperto di commercio e relazioni Usa-Giappone presso l’Hudson Institute, e questo fattore ha spinto Nippon Steel ad acquisire U.S. Steel per 14 miliardi di dollari con investimenti di oltre 2 miliardi per potenziare la produzione di acciaio a Pittsburgh e ulteriori 7 miliardi per modernizzare acciaierie ed espandere miniere di minerale in Alabama, Arkansas, Indiana e Minnesota.
Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno attratto migliaia di miliardi di dollari in investimenti, sia domestici che esteri, nel settore industriale.
Un recente studio, evidenzia poi come l’aumento dei dazi spingerà più aziende a riportare le proprie attività negli Stati Uniti. Secondo il sondaggio U.S. Reshoring Survey 2025, condotto da Reshoring Initiative e Regions Recruiting, i produttori di attrezzature hanno dichiarato che rilocalizzerebbero il 23% delle loro importazioni in caso di un aumento generale dei dazi del 15%. «Le strategie adottate ora modelleranno il futuro della manifattura americana per decenni», dice poi il sondaggio.
Durante il suo primo mandato, Trump aveva imposto dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio, concedendo poi esenzioni a partner commerciali come Canada, Messico e Brasile, ma non alla Cina. Sia l’amministrazione Trump che quella Biden hanno accusato la Cina di dumping (cioè di vendere l’acciaio sottocosto per fare uscire dal mercato la concorrenza). Nel maggio 2024, Biden aveva ulteriormente innalzato i dazi su acciaio e alluminio cinesi, ma le aziende cinesi hanno aggirato queste misure attraverso i trasbordi, ossia mediante delle triangolazioni con Paesi terzi, che risultavano formalmente i veri produttori della merce.
I funzionari di Bruxelles hanno espresso «profondo rammarico» per i dazi americani: «Questa decisione aggiunge incertezza all’economia mondiale e aumenta i costi per consumatori e imprese su entrambe le sponde dell’Atlantico» si è lamentata la Commissione Europea, che ha più volte minacciato dazi ritorsivi, scatenando quindi una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Ma il presidente americano finora non sembra disposto ad arretrare.