I dazi americani sono il colpo di grazia all’economia cinese

di redazione eti/Terri Wu
5 Maggio 2025 17:23 Aggiornato: 5 Maggio 2025 17:24
La maggior parte degli esportatori cinesi stanno subendo un colpo durissimo a causa dei dazi degli Stati Uniti, che erano il mercato che fino a poche settimane fa rappresentava la maggior parte dei loro profitti.  Le esportazioni erano uno dei pochi punti di forza durante la difficile ripresa economica della Cina dalla fine del lockdown. I (discutibili) dati economici ufficiali di Pechino mostravano una crescita economica, anche se a rilento. Ma diversi analisti sostengono da tempo che l’economia cinese sia in recessione, per cui dazi di Trump stanno solo aggravando una situazione già compromessa. Quindi, se il regime non porrà fine alla guerra commerciale con gli Stati Uniti, il regime comunista potrà tenere a galla gli esportatori per sei mesi o al massimo un anno. Poi dovranno dichiarare fallimento.

PROSPETTIVE NON OTTIMISTE

Da quando, nel 2022, il regime cinese ha revocato i lockdown (che in Cina erano durati mesi e mesi) l’economia cinese era entrata in una lunga fase di lenta ripresa. Ma nel 2023, le esportazioni sono diminuite del 5% rispetto all’anno precedente, a causa dei dazi e altre contromisure adottate da altri Paesi, guidati da Washington, per arginare l’eccesso di produzione e il dumping. L’anno scorso, le esportazioni cinesi sono cresciute del 6%, in parte perché gli importatori hanno anticipato le spedizioni in previsione di dazi più alti. Ma dal 2 aprile, con l’arrivo di questi nuovi dazi-mazzata, le prenotazioni per le navi container dalla Cina agli Stati Uniti sono crollate del 60%. Ad aprile, l’attività manifatturiera cinese si è contratta al ritmo più rapido degli ultimi due anni, con un calo del 3% rispetto al mese precedente, secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica cinese. L’indice “Pmi” manifatturiero è sceso a 49, il valore più basso da dicembre 2023.
Nelle loro discussioni online, gli esportatori lamentano come vendere in Cina sia diventato un gioco «spietato», dato che i loro prodotti di qualità superiore costano di più, per cui eguagliare o scendere sotto i prezzi dei venditori locali significa vendere in perdita; e la pressione deflazionistica sul mercato interno cinese, che necessita di stimoli al consumo, non aiuta.

Un modo per evitare i dazi sarebbe il cosiddetto transhipment, ovvero la spedizione di prodotti cinesi a un Paese terzo, esente dai dazi imposti a Pechino. Tuttavia, anche questo “sotterfugio” è diventato complicato da attuare. Se si vuole aprire una fabbrica in Vietnam, bisogna tenere conto che nel Paese la capacità produttiva è limitata rispetto alla Cina. Inoltre, gli Stati Uniti hanno applicato un dazio universale del 10% anche a Paesi come Vietnam e Cambogia.

DALLA RECESSIONE ALLA DEPRESSIONE

Il ministro del Tesoro americano, Scott Bessent, ha dichiarato che la Cina potrebbe «perdere 10 milioni di posti di lavoro in pochissimo tempo» se i dazi resteranno in vigore. A inizio aprile, Goldman Sachs ha stimato che la Cina potrebbe perdere tra 10 e 20 milioni di posti di lavoro.

Una recessione è tale quando oltre due trimestri del Pil sono in calo. Tuttavia, gli esperti ritengono che i dati ufficiali cinesi non rifletteranno una recessione. Mentre Pechino ha dichiarato una crescita del Pil del 5% nel 2024, in linea con l’obiettivo, molte banche hanno stimato invece un tasso del 3,5% o inferiore. Secondo la società di consulenza globale Rhodium Group, l’economia cinese è cresciuta tra il 2,4% e il 2,8% l’anno scorso.

Le stime indipendenti indicano una crescita economica cinese ancora più debole,. L’anno scorso, la Cina ha attuato una serie di agevolazioni economiche per un totale di 10 mila miliardi di yuan, pari a circa mille miliardi e 330 milioni di euro. A ottobre, Daniel Rosen, socio fondatore di Rhodium Group, ha dichiarato: «Se la Cina avesse bisogno di uno stimolo da 6 mila miliardi di yuan, significherebbe crescita zero per quest’anno». Di conseguenza, uno stimolo da 10 mila miliardi di yuan suggerirebbe una forte crisi economica.

«La struttura economica della Cina si basa sulla globalizzazione», spiega Yeh Yao-Yuan, professore di studi internazionali all’Università di St. Thomas a Houston. «Ma dopo che la sovrapproduzione cinese ha distorto i mercati internazionali per così tanto tempo, e i mercati internazionali hanno iniziato a dire “no”, il mercato interno non ha modo di assorbire la sovrapproduzione. È solo questione di tempo prima che l’economia cinese entri in una fase di depressione». E Frank Xie, professore di economia aziendale all’Università della Carolina del Sud ad Aiken, ritiene che la Cina possa già trovarsi in depressione, ovvero una recessione economica prolungata per più trimestri. Il Paese, ha detto, sta vivendo una grave recessione da tempo, segnata da alta disoccupazione e salari bassi. «Tutto ciò è stato aggravato da politiche governative sbagliate», ha dichiarato.

E la situazione peggiorerà ulteriormente quando una nuova ondata di laureati entrerà nel mercato del lavoro quest’estate. A giugno, oltre 12 milioni di studenti universitari si laureerano. Di questi, circa 7 milioni entreranno nel mercato del lavoro, mentre il resto prenderà le specialistiche. Il tasso di disoccupazione giovanile ufficiale della Cina era al 16,5% a marzo. Il regime ha sospeso la pubblicazione di questi dati a giugno 2023, quando ha toccato il record del 21,3%. La pubblicazione è ripresa a gennaio scorso, tuttavia, stranamente, “esclude” gli studenti dai dati.

I SEGNALI DA NON TRASCURARE

Se i dati ufficiali offrono un quadro non molto accurato (per non dire falso) dell’economia cinese, quali segnali allora possono indicare un peggioramento? Secondo gli esperti, i dati sulle esportazioni sono difficili da falsificare, perché le esportazioni di un Paese devono corrispondere alle importazioni di altri. E un altro segnale di una depressione sarà l’aumento dei disordini sociali dovuti alla mancanza di posti di lavoro.

Le esportazioni hanno sostenuto un terzo della crescita economica cinese l’anno scorso, il livello più alto dal 2017, secondo l’Istituto Mercator per gli Studi sulla Cina. Il regime comunista cinese al momento non ha un motore di crescita alternativo per sostituire le esportazioni. Il ministero del Commercio cinese, il 2 maggio, ha adottato un tono più morbido, segnalando apertura a negoziati commerciali.

Per molti esportatori cinesi, tentare di vendere sul mercato interno sembra l’unica via praticabile per smaltire le scorte e non fallire. Un grossista di calzature nella provincia di Guangdong ha pubblicato vari video promozionali che mostrano le difficoltà di mantenere oltre mille dipendenti posti di lavoro e l’alta qualità dei suoi prodotti, pensati per l’esportazione in Occidente; e il responsabile vendite specifica che le scarpe sono prodotte per i più noti marchi occidentali, ma sul mercato cinese vengono vendute «senza il logo».

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