Nel 1999, due ufficiali dell’Esercito cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui, pubblicarono un libro intitolato Unrestricted Warfare (Guerra senza restrizioni), in cui proponevano un nuovo modo di combattere: non più solo con armi e soldati, ma anche con strumenti economici, culturali e tecnologici. Secondo la loro visione, per indebolire una potenza nemica più forte non serve uno scontro diretto. È più efficace logorarla dall’interno.
Questa strategia, chiamata “guerra asimmetrica” o “guerra senza limiti”, prevede l’uso di mezzi non militari come manipolazione dei mass media, attacchi finanziari, pressione psicologica, dipendenza da tecnologie straniere e influenza culturale per destabilizzare l’avversario. Nel corso degli anni il regime cinese si è evoluto nell’utilizzare strumenti propagandistici e “armi” di narcotizzazione di massa, come ad esempio i social media. Per alcuni analisti strategici, attaccare ad esempio indirettamente la gioventù, fa parte di questa nuova forma bellica, con l’obiettivo di minare il futuro produttivo, demografico e militare di un Paese. In questo schema, le piattaforme come TikTok e il controllo dei vari canali informativi diventano armi non convenzionali.
La guerra è combattuta sul piano dell’attenzione, dell’identità, dell’autonomia cognitiva. Non serve invadere un Paese se si può distrarre i suoi giovani con infinite ore di contenuti insulsi, diffondere modelli di comportamento autolesionisti, indebolire la salute mentale collettiva, promuovere l’individualismo estremo e saturare le menti di stimoli, lasciando meno spazio al pensiero critico. È la forma più efficace di colonizzazione cognitiva: invisibile, attraente, e (apparentemente) volontaria.
Con giovani sempre più dipendenti dai social come TikTok e, in casi estremi come negli Stati Uniti, esposti a droghe come il fentanyl, proveniente sempre dalla Cina, per alcuni analisti la “guerra senza restrizioni” non è più solo una teoria astratta ma una strategia concreta già in atto, che punta a indebolire dall’interno le società avversarie. TikTok stesso è tra i primi social a livello mondiale: nato in Cina ma rivolto principalmente agli utenti internazionali.
In Italia, come in altri Paesi nel mondo, si può facilmente constatare l’influenza crescente dei social sui giovani. Secondo stime aggiornate, circa il 75 % dei giovani italiani tra i 13 e i 17 anni utilizza quotidianamente lo smartphone, spesso con TikTok come piattaforma preferita. La sua popolarità è cresciuta in maniera esponenziale anche nel Bel Paese, dove milioni di utenti lo usano quotidianamente per condividere video, seguire trend, informarsi o semplicemente intrattenersi.
Si pensa, il più delle volte erroneamente, che non ci sia niente di male se un giovane usa spesso i social: la tecnologia si sta evolvendo e per gli adulti è come se tutto questo rientrasse nella normalità. Ma stanno anche cambiando (in peggio) le abitudini di comunicazione interpersonale dei ragazzi. Le relazioni tra pari sono ormai prevalentemente digitalizzate, superficializzate, appiattite, non c’è più spazio per le relazioni autentiche. Il tutto orientato ad un progressivo isolamento. Tra le manifestazioni più estreme di questo disagio sociale emerge l’Hikikomori, oggi riconosciuto anche in Italia come un fenomeno in espansione: una condizione in cui i ragazzi – soprattutto di sesso maschile – si ritirano completamente dalla vita sociale, evitando ogni forma di interazione e confinandosi per mesi, se non anni, nella propria abitazione, spesso in una sola stanza.
L’adolescenza è un periodo in cui i ragazzi sentono il bisogno di appartenere a un gruppo, di essere accettati dagli altri e scoprire chi sono. In questo senso, le piattaforme offrono spazi per esprimersi e condividere in modo creativo. Ma l’uso eccessivo e ripetuto, riduce notevolmente la capacità di concentrazione, influenza significativamente l’equilibrio emotivo e sociale, spinge i giovani ad adeguarsi a modelli di omologazione culturale che appiattiscono la loro identità proprio in una fase evolutiva delicata e ancora in formazione. L’architettura delle app, in questo caso di Tik Tok, favorisce forme di dipendenza comportamentale.
Come evidenziano diverse ricerche internazionali, la piattaforma ha lo scopo di influenzare gusti, prospettive e perfino opinioni politiche tra i giovani. In Italia, come nel resto del mondo, TikTok non è quindi solo una piattaforma di intrattenimento, ma uno strumento complesso di influenza culturale e politica. Negli ultimi anni l’app si è affermata come una delle piattaforme digitali più utilizzate al mondo, e rappresenta per milioni di adolescenti italiani un importante spazio di socializzazione e di costruzione dell’identità. Uno studio universitario condotto in Italia su TikTok e l’identità LGBTQ+ ha evidenziato come la Generazione Z trovi nella piattaforma una fonte di feedback positivi e conferme sociali, elementi cruciali nei processi di costruzione dell’identità personale. Ma parallelamente, diverse ricerche sperimentali mostrano che l’uso intensivo di video brevi accresce meccanismi di gratificazione immediata, e compromette progressivamente memoria e capacità di concentrazione. E questo porta velocemente alla dipendenza digitale e a una riduzione significativa del pensiero critico.
Studi italiani, come quelli condotti dall’Università di Milano e dal Centro Studi Mediatori Digitali (2023), hanno evidenziato come gli utenti giovanissimi ricevano prevalentemente contenuti leggeri e di intrattenimento, mentre le tematiche politiche o sociali più complesse vengano filtrate o rese meno visibili. TikTok utilizza un algoritmo sofisticatissimo che studia in tempo reale le preferenze di ogni utente per offrirgli contenuti con alto potenziale di coinvolgimento (engagement). L’algoritmo sceglie e amplifica contenuti culturali o emotivi, anche senza un esplicito messaggio politico, creando una bolla informativa mirata e difficile da percepire come manipolazione.
Per fare un esempio concreto, attraverso contenuti apparentemente neutri (musica, balli, lifestyle), la piattaforma favorisce valori e storie che, subdolamente, valorizzano visioni favorevoli al regime comunista cinese senza apparire come propaganda diretta. TikTok non deve necessariamente “imporre” messaggi politici espliciti per influenzare i giovani: anche i trend culturali, i meme, le challenge e le storie personali spesso veicolano messaggi simbolici o identitari coerenti con un patriottismo e una propaganda soft, come per esempio una presunta “superiorità” tecnologica cinese.
Altri veicoli utilizzati in queste piattaforme sono i creator, creatori di contenuti, che diventano portavoce di messaggi e stili di vita in linea con certe strategie culturali o politiche, ampliando il raggio d’azione e la persuasione indiretta. Senza contare l’enorme mole di contenuti brevi e di rapida fruizione degli influencer che trasmettono una cultura basata su sensazioni, immagini forti e viralità, contribuendo a ridurre la capacità critica e riflessiva, rendendo più facile plasmare subdolamente opinioni e atteggiamenti.
Un ecosistema digitale sofisticato che, nella “guerra senza restrizioni”, agisce in modo sottile ma costante, modellando progressivamente gusti, preferenze e visioni dei più giovani, e contribuendo a orientare nel tempo l’opinione pubblica ad agire in accordo con una precisa prospettiva geopolitica mondiale.
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