Continua la battaglia Usa-Pcc sulle terre rare

di Redazione ETI/Emel Akan
1 Agosto 2025 8:07 Aggiornato: 1 Agosto 2025 8:07

Donald Trump ha ottenuto importanti successi commerciali nelle ultime settimane con gran parte dei partner economici più importanti degli Stati Uniti, ma restano in sospeso i negoziati con la Cina. Le trattative con Pechino procedono a rilento, soprattutto per quanto riguarda l’esportazione di terre rare e magneti, risorse fondamentali per l’industria della difesa e quella tecnologica statunitense. Nonostante un recente aumento delle esportazioni di terre rare, la Cina non sta ancora rispettando pienamente gli impegni presi, come confermato da Kevin Hassett, direttore del Consiglio economico nazionale della Casa Bianca: «Nell’ultimo mese si è registrato un notevole incremento, ma tutti noi speriamo in ulteriori progressi». Parole che giungono a poche settimane dalla dichiarazione di Trump che annunciava la risoluzione della disputa sulle terre rare in seguito ai negoziati di giugno a Londra, dove il regime cinese si era impegnato a riprendere le esportazioni di terre rare e magneti, dopo due mesi di restrizioni che avevano compromesso le catene di approvvigionamento statunitensi in settori strategici. I negoziatori americani, guidati dal ministro del Tesoro Scott Bessent, hanno recentemente incontrato di nuovo gli omologhi cinesi a Stoccolma; Bessent parlando con Cnbc il 31 luglio ha dichiarato: «Abbiamo risposto con fermezza e chiarito le nostre posizioni. Credo che ci siano le basi per un accordo».
Sebbene Bessent non abbia affrontato direttamente la questione delle terre rare, ha sottolineato che restano ancora alcuni dettagli tecnici da risolvere entro la scadenza del 12 agosto. In caso di mancato accordo, Washington potrebbe reintrodurre dazi elevati sui prodotti cinesi. Prima della tregua di 90 giorni, i dazi americani sulle merci cinesi avevano raggiunto il 145%; i dazi cinesi in ritorsione sui prodotti statunitensi si attestavano al 125%. In risposta ai dazi americani, la Cina ha inoltre inasprito i controlli sulle esportazioni di sette terre rare – samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio –  che sono appunto oggetto dell’attuale fase di trattative.

Da diversi anni, il regime cinese sta sfruttando il proprio dominio del mercato dei metalli per esercitare pressioni geopolitiche. I dati doganali più recenti confermano un drastico calo delle esportazioni di due minerali importanti, germanio e antimonio, utilizzati in armamenti, telecomunicazioni e celle solari. A giugno, le esportazioni cinesi di germanio e antimonio sono crollate rispettivamente del 95% e dell’88% rispetto ai livelli di gennaio, secondo l’Amministrazione generale delle dogane cinesi. Il Partito comunista cinese ha inoltre intensificato i controlli sul transhipment, limitando la capacità degli Stati Uniti di approvvigionarsi di germanio e antimonio attraverso paesi terzi come Thailandia e Messico; le esportazioni cinesi di antimonio verso la Thailandia sono diminuite del 90% da aprile, mentre le spedizioni verso il Messico si sono praticamente fermate. Shen Ming-shih, direttore della Divisione di ricerca sulla sicurezza nazionale presso l’Istituto per la difesa e la sicurezza nazionale di Taiwan, dice che, data l’importanza di germanio e antimonio per lo sviluppo di satelliti e armi ad alta tecnologia, la Cina non sembri intenzionata a revocare le restrizioni sulle esportazioni. La scarsità ha naturalmente fatto impennare i prezzi: il costo del germanio ad alta purezza è più che raddoppiato da quando la Cina ha imposto i controlli, mentre i prezzi dell’antimonio sono quasi quadruplicati a partire da maggio 2024.