100 Miliardi di dollari. Questo il nuovo investimento di Apple negli Stati Uniti. La notizia, diffusa il 6 agosto alla Casa Bianca dal presidente Trump affiancato dall’amministratore delegato di Apple Tim Cook, rappresenta un tassello rilevante nella strategia di riavvicinamento delle grandi multinazionali al suolo nazionale, incoraggiata dall’amministrazione Trump.
Il piano, che si aggiunge agli oltre 500 miliardi già previsti nei mesi scorsi, prevede la creazione di oltre 20 mila nuovi posti di lavoro diretti e il coinvolgimento di una rete estesa di fornitori — tra cui Corning, Broadcom, Texas Instruments e Samsung — con ricadute occupazionali significative. Oltre a potenziare la spesa nella propria filiera statunitense, Apple realizzerà a Harrodsburg, nel Kentucky, un impianto per la produzione di vetri intelligenti definito il più avanzato al mondo. È inoltre in programma la costruzione di un centro per server a Houston e l’espansione della rete di data center in Carolina del Nord, Iowa e Oregon, oltre all’apertura di un’accademia per la formazione manifatturiera a Detroit.
Donald Trump ha definito l’iniziativa «un passo significativo» verso l’obiettivo di rilocalizzare la produzione di iPhone nel territorio statunitense. L’annuncio del 6 agosto si inserisce in una più ampia strategia volta a riportare negli Stati Uniti una parte significativa della filiera produttiva e delle attività aziendali. «Stiamo lanciando il Programma di produzione americana di Apple», ha spiegato Tim Cook durante l’evento alla Casa Bianca, sottolineando che l’iniziativa stimolerà la produzione interna di componenti fondamentali utilizzati nei dispositivi dell’azienda a livello mondiale.
La questione della produzione negli Stati Uniti si intreccia con i rapporti sempre più complessi tra Apple e la Cina. Nel libro Apple in China, il giornalista Patrick McGee ha ricostruito il ruolo chiave dell’azienda nello sviluppo della base manifatturiera cinese: l’azienda inviò migliaia di ingegneri oltreoceano, formò milioni di lavoratori e investì centinaia di miliardi di dollari nella creazione di una delle filiere produttive più avanzate al mondo. Nonostante gli sforzi più recenti di diversificazione, Apple dipende ancora in larga misura dalla produzione in Cina, anche se negli ultimi anni ha spostato parte della produzione in India e Vietnam. L’India ha infatti assunto un ruolo sempre più strategico per Apple, ma i nuovi dazi statunitensi del 25% sulle importazioni dal Paese potrebbero ostacolare questa strategia. E il recente aumento al 50% dei dazi sulle importazioni indiane, deciso in risposta agli acquisti di petrolio russo da parte del governo indiano, ha aggravato ulteriormente il quadro.
Il caso Apple si inserisce in un contesto più ampio, segnato da un forte ritorno degli investimenti privati negli Stati Uniti. Secondo la Casa Bianca, dall’inizio del secondo mandato di Trump sono stati annunciati impegni per oltre 17 mila miliardi di dollari, con la partecipazione di colossi come Nvidia, Ibm, Kraft Heinz e Johnson & Johnson. Tra i progetti più rilevanti spicca il Progetto Stargate, promosso dal gruppo giapponese Softbank insieme a OpenAI e Oracle, che prevede un investimento di 500 miliardi di dollari in infrastrutture per l’intelligenza artificiale. A questo si aggiunge l’impegno di Nvidia per altri 500 miliardi nel settore dell’Ia e l’annuncio di Micron Technology, che investirà 200 miliardi nella produzione interna di chip di memoria avanzati.