Trump: sui dazi io non cerco nessun accordo con l’Ue

di Giovanni Donato/Jack Phillips
24 Maggio 2025 9:40 Aggiornato: 24 Maggio 2025 16:41

Donald Trump ha dichiarato di non essere interessato a un accordo con l’Unione europea, durante un incontro con la stampa alla Casa Bianca ieri, venerdì 23 maggio.

«Abbiamo fissato il dazio al 50 per cento ma non lo applicheremo se le aziende costruiranno i loro stabilimenti negli Stati Uniti» ha poi precisato Trump, ribadendo: «per ora la misura è confermata dal 1° giugno».

Il ministro al Tesoro, Scott Bessent, intervistato da Fox News, ha successivamente spiegato che altri Paesi hanno avanzato proposte commerciali in buona fede, citando India e alcuni Stati asiatici come esempi di interlocutori con idee «molto interessanti», mentre le proposte europee sono state di tono diverso. Bessent ha anche osservato che alcuni Stati membri dell’Ue non sono nemmeno a conoscenza delle proposte presentate dalla Commissione, e ha auspicato che questa situazione induca l’Unione a una maggiore determinazione negoziale, evidenziando un «problema di coordinamento» tra i 27 Paesi rappresentati da un unico organismo che, evidentemente, manca di “efficienza”.

La reazione europea si è manifestata nel ministro dell’Economia tedesco, Katherina Reiche, ha detto che «nelle dispute commerciali non esistono vincitori» e ha esortato la Commissione Europea a perseguire una soluzione negoziata con gli Stati Uniti, e nel primo ministro olandese Dick Schoof , che ha invece mantenuto la linea dura confermando la volontà di Bruxelles di non cedere.

Il presidente americano ha motivato la decisione ricordando il «marcato squilibrio commerciale con l’Ue», che esporta milioni di automobili negli Stati Uniti, mentre limita l’ingresso dei veicoli americani nel mercato europeo. Trump, già durante il primo mandato aveva sottolineato che, benché gli Stati Uniti «amino» le nazioni che fanno parte dell’Ue, l’Unione europea in se stessa è stata creata per danneggiare sul piano commerciale gli Stati Uniti. Uno degli esempi più spesso portato da Trump del danno economico sostenuto dall’economia americana in Europa, è l’imposta sul valore aggiunto.

Se un’azienda americana vende beni nell’Ue e supera determinate soglie, deve riscuotere l’Iva (specialmente per vendite dirette ai consumatori) al momento della vendita, per poi versarla alle autorità fiscali europee. In alternativa, l’Iva è pagata al varco di importazione, dall’importatore appunto. Un documento della Casa Bianca del 2025 dice infatti che le aziende statunitensi pagano oltre 200 miliardi di dollari all’anno in Iva a “governi stranieri”. Considerando che l’Iva è intorno al 20% nei vari Stati europei – ed è pagata a ogni compravendita, dal grossista giù fino al consumatore finale – mentre gli Usa non applicano un’Iva federale, e le “tasse” che (unicamente) il consumatore finale paga all’acquisto raggiungono, solo in alcuni Stati, un massimo dell’11,5%, si capisce come l’Iva possa essere considerata una barriera di ingresso dagli effetti reali assimilabili a quelli di un dazio.

 

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