Con una mossa destinata a segnare un punto di svolta nella gestione vaccinale della pandemia, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha annunciato un nuovo quadro regolatorio che distingue tra categorie a rischio e popolazione generale. L’obiettivo dichiarato è ristabilire un equilibrio tra evidenza scientifica e decisioni di salute pubblica, dopo anni segnati da un accesso allargato e, secondo alcuni osservatori, eccessivamente permissivo ai richiami vaccinali.
Il principio guida del nuovo indirizzo è semplice quanto cruciale: i vaccini potranno essere approvati solo se supportati da dati certi che dimostrino un rapporto beneficio/rischio favorevole, in particolare per le fasce di popolazione a basso rischio. Per i soggetti più vulnerabili – over 65 e persone con patologie predisponenti – sarà sufficiente dimostrare la capacità del vaccino di stimolare una risposta immunitaria. Ma per il resto della popolazione, l’Fda chiederà prove più solide: studi clinici randomizzati e controllati che attestino l’efficacia nel prevenire l’infezione sintomatica e le sue possibili complicanze.
L’orientamento è stato delineato dai vertici dell’agenzia, i medici Marty Makary e Vinay Prasad, in un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine. La decisione arriva in un contesto di crescente riflessione internazionale: molti Paesi ad alto reddito, tra cui Germania e Australia, hanno da tempo adottato raccomandazioni vaccinali più selettive, rivolte unicamente alle fasce vulnerabili. Gli Stati Uniti, invece, hanno finora mantenuto un approccio “universale”, autorizzando la vaccinazione a partire dai sei mesi di età.
Il modello approccio “universale” che autorizza la vaccinazione a partire dai sei mesi di età, secondo i vertici della Fda, deve essere rivisto. «La nostra politica ha a volte presunto che il pubblico americano non fosse in grado di comprendere indicazioni differenziate per età e rischio. Non condividiamo questa visione», si legge nel testo. La svolta proposta sembra dunque ispirata a una maggiore fiducia nella capacità dei cittadini di seguire linee guida personalizzate, e nella necessità di fondare ogni decisione su basi scientifiche più solide.
La questione dei richiami multipli – in alcuni casi somministrati fino a sei volte – è uno dei nodi critici. L’efficacia di tale strategia, osservano Makary e Prasad, non è ancora pienamente dimostrata. Per questo motivo, l’Fda intende ora richiedere studi che non si limitino alla produzione di anticorpi, ma valutino anche l’impatto clinico nel tempo, con un follow-up di almeno sei mesi. Tra i criteri previsti: la protezione contro forme sintomatiche, ma anche contro ospedalizzazioni e decessi. Il gruppo di controllo, nelle future sperimentazioni, potrebbe ricevere un placebo salino.
La nuova linea si inserisce in un contesto di progressiva disaffezione da parte del pubblico: solo il 13% dei bambini e il 23% degli adulti hanno ricevuto le versioni più recenti dei vaccini raccomandati. Anche per questo, il ritorno a una “medicina fondata sulle prove” potrebbe contribuire a ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini, istituzioni e scienza.
Il recente via libera al vaccino di Novavax per gli over 65 – e in via condizionata per i soggetti fragili tra i 12 e i 64 anni – sembra segnare il primo passo in questa direzione. Un cambiamento di rotta, dunque, che intende garantire maggiore trasparenza e rigore, pur senza rinunciare alla protezione delle categorie più esposte.
Resta aperto, tuttavia, il nodo della comunicazione pubblica. Le autorità sanitarie saranno chiamate a spiegare con chiarezza le nuove scelte, senza alimentare confusione o sfiducia. Ma se il metodo scientifico tornerà davvero al centro delle politiche vaccinali, la svolta potrebbe rappresentare non solo un cambio tecnico, ma anche un segnale di maturità istituzionale.