Lo scontro Usa–Cina va ben oltre i dazi

di Giovanni Donato/Andrew Moran&Terri Wu
20 Maggio 2025 15:39 Aggiornato: 20 Maggio 2025 20:45

La tregua tra Stati Uniti e Cina nella guerra dei dazi vale poco. Dopo i colloqui del 10-11 maggio in Svizzera, gli Stati Uniti hanno ridotto i dazi sulla Cina dal 145% al 30%, e Pechino dal 125% al 10%. La tregua durerà fino al 14 agosto.

William Lee, economista del Milken Institute, ritiene che in senso tecnico l’esito di questo scontro equivalga a un pareggio: «È una vittoria per entrambe le parti: nessuno ha prevalso» ma la foto della situazione, aggiunge l’esperto, è che la Cina non poteva permettersi un azzeramento prolungato del commercio, che è una componente significativa del Pil cinese, mentre gli Stati Uniti hanno ottenuto un buon risultato perché «molti mercati sono risaliti». Secondo Christopher Balding del think tank Henry Jackson Society, questo è solo l’inizio di una “maratona” tra le due maggiori economie mondiali: «Di certo non è un accordo rivoluzionario: l’unica cosa che possono dire di aver davvero concordato è come proseguire i negoziati».

XI JINPING MEZZO SUN TZU E MEZZO CUNCTATOR

Guardando avanti, secondo analisti ed esperti, l’amministrazione Trump dovrà adottare diverse strategie per gestire i colloqui commerciali con il Partito comunista cinese, perché il regime potrebbe tentare di prolungare le discussioni fino a gennaio o febbraio per poi far fallire deliberatamente la trattativa e “costringere” Trump a reintrodurre i dazi.
A quel punto – questo sarebbe il “diabolico” calcolo del regime cinese – l’economia americana verrebbe colpita da un’impennata dei prezzi e Trump verrebbe danneggiato proprio in corrispondenza delle elezioni di medio termine, che ogni due anni rinnovano parte della Camera e del Senato degli Stati Uniti. In un clima di impopolarità diffusa per l’aumento dei prezzi, Trump (sempre nei calcoli del regime cinese) dovrebbe quindi perdere l’appoggio sia della Camera che del Senato, dove le maggioranze repubblicane sono molto risicate. Il vantaggio del regime cinese rispetto all’America, qui è tanto grande quanto banale: la Cina è una dittatura, per Xi Jinping il problema del consenso elettorale non si pone. Ma per Donald Trump sì.

La Cina starebbe insomma adottando la strategia di evitare di combattere alle condizioni del nemico, come insegna il famoso stratega militare cinese del VI-V secolo a.C. Sun Tzu nel suo trattato “L’arte della guerra”: «mai combattere una guerra alle condizioni del tuo nemico». Per cui se i negoziati non porteranno risultati veri in beve tempo, l’amministrazione Trump potrebbe reintrodurre tutti i dazi. E d’altra parte, il ministro del Tesoro Usa Bessent in questo è senso è stato chiaro: nelle trattative sui dazi gli Stati Uniti non si faranno prendere in giro.

Ma Donald Trump potrebbe anche “metterci il carico” introducendo ulteriori misure punitive contro il regime cinese, come mettere in lista nera le  aziende cinesi o limitare gli investimenti statunitensi in specifiche aziende con sede in Cina. E, d’altra parte, anche se la strategia di Xi Jinping (che a ben vedere segue per metà Sun Tzu e per metà Quinto Fabio Massimo, il console romano del III secolo a.C. chiamato “il Cunctator”, ossia “il Temporeggiatore”) funzionasse fino alle elezioni di medio termine, questa potrebbe comunque ritorcersi contro il Pcc, confermando agli americani quanto la Cina non sia altro che un regime canaglia e quanto Trump faccia bene a reagire alle sue scorrettezze, commerciali e non. «Una cosa diversa, rispetto al primo mandato di Trump, è la posizione dell’opinione pubblica americana sulla Cina» osserva infatti un analista «Se il Pcc prolungasse i negoziati fino alle elezioni di metà mandato, questo potrebbe andare a beneficio di Trump, perché l’opinione pubblica americana ora vuole che gli Stati Uniti siano più duri con Pechino».

Pochi giorni dopo l’annuncio della tregua sui dazi, Xi Jinping ha ospitato a Pechino i capi di Stato di America Latina e Caraibi. In seguito all’incontro, la Colombia ha aderito formalmente alla Nuova Via della Seta, diventando l’undicesimo Paese sudamericano a prendervi parte. Secondo gli esperti, «la Cina sta ora capitalizzando la sua influenza sul Sud». La competizione di potere tra Usa e Cina, insomma, va ben oltre il mero aspetto commerciale o economico. Lo stesso giorno del summit di Xi sulla Nuova Via della Seta a Pechino, Washington ha infatti risposto intensificando i controlli sulla tecnologia, soprattutto sull’intelligenza artificiale: il ministero del Commercio ha avvertito che l’uso dei chip avanzati di Huawei, in qualsiasi parte del mondo, avviene in violazione delle restrizioni sulle esportazioni americane, perché quei chip – sospetta il Governo americano – sono stati sviluppati con tecnologia statunitense acquisita illegalmente.

In conclusione, secondo i diversi analisti interpellati dall’edizione in lingua inglese di Epoch Times, la tregua dei dazi non ha modificato i fattori fondamentali di tensione tra Stati Uniti e regime comunista cinese. E il breve tsunami che si è abbattuto sull’economia cinese, all’introduzione dei dazi ai primi di aprile, potrebbe essere solo il preludio alla sinfonia.

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