Il regime cinese continua insabbiare la verità sul Covid

di Redazione Eti/Sean Tseng
19 Maggio 2025 14:31 Aggiornato: 19 Maggio 2025 20:37

Il regime cinese ha di recente pubblicato un nuovo “libro bianco” sul Covid-19, ribadendo (le ormai poco difendibili) posizioni ufficiali del Partito comunista cinese sull’origine e la gestione della pandemia. La pubblicazione tenta anche di respingere responsabilità e le accuse della comunità internazionale.

L’analisi di 23 pagine propone una ricostruzione che individua negli Stati Uniti l’origine del virus SARS-CoV-2. Tra i passaggi più significativi, il documento contesta la legittimità della sentenza con cui un tribunale statunitense ha condannato il regime cinese a risarcire oltre 24 miliardi di dollari allo Stato del Missouri per cattiva gestione iniziale dell’emergenza sanitaria. Non mancano allusioni critiche all’amministrazione Trump e riferimenti a «falle» nella sicurezza biologica dei laboratori americani.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Secondo alcuni analisti, il libro bianco rappresenta una strategia difensiva che mira a deviare l’attenzione da Wuhan e dalle responsabilità del Pcc. Per il commentatore Tang Jingyuan, esperto di Cina con formazione in medicina clinica, se dovesse finalmente emergere una prova concreta dell’origine del virus da un laboratorio cinese, il regime cinese sarebbe costretto a rispondere su sperimentazioni ad alto rischio, sugli insabbiamenti e sulle scelte che hanno favorito la diffusione mondiale dell’agente patogeno, il che «equivarrebbe a ammettere un crimine contro l’Umanità».

Anche Sean Lin, ex microbiologo dell’esercito americano ed ex direttore di laboratorio presso il Walter Reed Army Institute of Research, definisce il libro bianco come un esempio tipico della “guerra cognitiva” del Pcc (ancora non spiega perché i dati grezzi dei pazienti e i campioni virali siano tuttora inaccessibili a ricercatori indipendenti) finalizzata a offuscare la verità mediante la propaganda e a scaricare le responsabilità su Washington. Da parte sua, il governo cinese sostiene di aver agito in modo trasparente e tempestivo adottando misure scientifiche ed efficaci per contenere l’epidemia, in contraddizione con i diversi episodi, ormai universalmente noti, di repressione dei medici cinesi che per primi hanno lanciato l’allarme, tra cui Li Wenliang e Ai Fen.

Il libro bianco rilancia inoltre una teoria già diffusa in passato: quella secondo cui il virus si sarebbe originato a Fort Detrick, un laboratorio militare statunitense nel Maryland, chiuso temporaneamente nel 2019. Questa teoria si basa su coincidenze temporali e su uno studio statunitense che rilevava anticorpi anti-SARS-CoV-2 in campioni di sangue prelevati prima del dicembre 2019; studio che però, hanno chiarito gli autori, mostra risultati che non dimostrano necessariamente un contagio precoce da Covid-19 negli Stati Uniti, né possono indicare l’origine della pandemia. 

Più in generale, questo “libro bianco” per gli analisti è emblematico di una strategia manipolatoria tipica del Pcc sintetizzabile coi banali principi che “la miglior difesa è l’attacco” e che “più grave è la colpa, più forte è la negazione”. Quando governi stranieri sollevano dubbi sulla trasparenza cinese, gli organi di propaganda del regime tendono infatti a rilanciare versioni alternative sull’origine del virus, calibrate sul contesto nazionale dei Paesi interlocutori.

È accaduto, ad esempio, con l’Italia: dopo le richieste di chiarimento da parte delle autorità sanitarie italiane, gli organi di propaganda cinesi hanno stravolto le dichiarazioni di un medico italiano per far sembrare che la pandemia fosse iniziata appunto nel nostro Paese già nel novembre 2019. Altre versioni rilanciate dalla propaganda di Pechino, collocano l’origine del virus nei Paesi Bassi, in Francia, Australia, India, Spagna; insomma: ovunque, tranne che a Wuhan».

IL COVID È INIZIATO A WUHAN

Documenti interni del Pcc, ottenuti dalla redazione della Testata in lingua cinese di The Epoch Times, indicano che i primi casi risalgono a mesi prima di quanto ufficialmente ammesso da Pechino. Una circolare riservata del 19 febbraio 2020 invitava gli ospedali di Wuhan a esaminare cartelle cliniche tra l’ottobre e il dicembre 2019 per identificare casi sospetti di febbre, polmoniti anomale e decessi inspiegabili.

Sul piano diplomatico, il Pcc sembra voler anticipare eventuali strategie statunitensi sull’origine del virus come leva nei negoziati commerciali. Non è un caso che la pubblicazione del rapporto sia avvenuta pochi giorni dopo il rilancio del sito ufficiale Covid.gov da parte della Casa Bianca, che include valutazioni dell’intelligence sulla fuoriuscita accidentale dal laboratorio di Wuhan.

La battaglia si gioca anche sul piano giuridico. Oltre alla causa intentata dal Missouri – sfociata in una condanna senza contraddittorio, dato che i convenuti cinesi non si sono presentati in tribunale – si profila la possibilità che altri Stati o governi intraprendano azioni simili. Il regime cinese ha respinto con fermezza qualsiasi richiesta di risarcimento, definendo tali iniziative «politicamente motivate» e promettendo contromisure se i propri interessi saranno lesi.

A cinque anni dall’inizio della pandemia, la comunità internazionale continua a fare i conti con l’enorme impatto umano ed economico del Covid. L’incertezza sull’origine del virus rimane dunque una questione irrisolta. Il rapporto della sottocommissione del Parlamento statunitense pubblicato nel dicembre 2024 evidenzia la mancanza di prove a sostegno dell’origine naturale, mettendo invece in luce anomalie genetiche e problemi di sicurezza nei laboratori di Wuhan. Parallelamente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità continua a sollecitare il Pcc a fornire dati grezzi e accesso diretto ai campioni.

L’origine del Sars-CoV-2 da questione sanitaria si è trasformata in politica, e continua a influenzare un equilibrio internazionale già segnato da tensioni e vulnerabilità.

 

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