Urso: nazionalizzare l’ex Ilva? Non siamo in Unione Sovietica

di Agenzia Nova
20 Maggio 2025 14:45 Aggiornato: 20 Maggio 2025 14:46

Sull’ex Ilva il presidente della Regione Michele Emiliano propone la nazionalizzazione sul modello inglese, ma «un’azienda — pubblica o privata — nelle democrazie europee risponde alle stesse regole autorizzative in materia ambientale e sanitaria e necessita delle medesime condizioni produttive. Non siamo in ‘Unione Sovietica».

Lo afferma il ministro del Made in Italy Adolfo Urso a La Repubblica Bari, spiegando che «per realizzare il Dri (Direct reduction iron, l’impianto di purificazione dei materiali ferrosi) la parte fondamentale dell’investimento — che sarà comunque attuata da una società interamente pubblica — serve innanzitutto il gas. La Regione e il Comune di Taranto sono d’accordo sull’installazione della nave rigassificatrice nel porto? Questa è la prima domanda a cui occorre rispondere. Se sì, a quali costi? Le autorizzazioni saranno concesse in tempi congrui? Sono previsti incentivi o penalizzazioni?». Senza gas «a costi sostenibili – spiega il ministro – non c’è Dri, e dunque non è possibile alimentare, attraverso il preridotto, i forni elettrici che nel frattempo e con una programmazione pluriennale dovranno sostituire gradualmente gli altoforni».

La seconda condizione pregiudiziale per il raggiungimento dell’obiettivo è «che vi sia un’Aia, ovvero l’Autorizzazione integrata ambientale, che renda sostenibile l’investimento: rispondente alle più avanzate prescrizioni ambientali e sanitarie, ma anche sostenibile economicamente nella fase transitoria, qualunque sia il soggetto investitore, pubblico o privato, incaricato di realizzare i forni elettrici».

La terza condizione è che «nella fase transitoria lo stabilimento rimanga in attività, con un livello produttivo tale da garantire anche l’occupazione, l’indotto e l’intera filiera. In caso contrario, il blocco della produzione farebbe saltare gli impianti collaterali e comprometterebbe le prospettive di investimento nella tecnologia green».

Emiliano dice al governo che la decarbonizzazione non può essere rimandata e per mantenere la sua promessa di completarla entro quattro anni serve un accordo di programma: «Ho già inviato a Emiliano il piano per un accordo di programma che prevede la piena decarbonizzazione, su cui ci stiamo confrontando con Baku Steel e che rappresenta il fondamento del nostro piano siderurgico nazionale. Vale per Piombino, come dimostra l’accordo di sviluppo con Jindal e l’intesa che sottoscriveremo giovedì con Metinvest; vale per Terni, come dimostra il contratto di sviluppo che stiamo definendo con Ast; e lo faremo anche a Taranto, se ci sarà altrettanta collaborazione istituzionale». Il nostro obiettivo – sottolinea Urso – «è fare dell’Italia il Paese più avanzato in Europa nella produzione di acciaio pulito e, in prospettiva, l’unico a produrre esclusivamente con tecnologie green. Questo potrà essere recepito anche nell’Aia, che dovrà tenerne conto. Ma siano chiari i tempi: per realizzare un forno elettrico servono quattro o cinque anni».

In questi giorni c’è stato uno scontro con la Procura dopo l’incidente all’altoforno: «Attendo che gli organi competenti effettuino i dovuti riscontri: da quanto mi riferiscono, sembrerebbe trattarsi di un errore umano. Un incidente che non ha coinvolto i dipendenti e che sarebbe stato facilmente risolto in poche ore, se non fossero state impedite, con il sequestro probatorio inibitorio, anche le operazioni di salvaguardia dell’impianto. Faccio notare che sono passati 13 giorni e l’intervento sui fusi non è stato ancora autorizzato. Ormai l’impianto risulta compromesso».

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