Perché bisogna imparare e non affidarsi alle macchine?

di Jeffrey A. Tucker per ET USA
8 Maggio 2025 9:14 Aggiornato: 8 Maggio 2025 9:14

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale per rispondere a qualsiasi tipo di domanda solleva interrogativi complessi e, per certi versi, inquietanti. Tralasciando le possibili imprecisioni, che possono emergere in qualsiasi contesto, immaginiamo per un momento che l’Ia sia perfetta: un’innovazione a costo zero o quasi, accessibile tramite un’applicazione su dispositivi che quasi tutti possiedono. È come se l’intera conoscenza umana, in ogni disciplina, fosse immediatamente disponibile, al punto che basta una richiesta vocale per ottenere una risposta istantanea.

Per chi appartiene a una generazione già formata, consapevole del valore della conoscenza acquisita senza l’ausilio di strumenti tecnologici, l’Ia rappresenta un’innovazione affascinante: è un valido alleato, utile come promemoria, per verificare informazioni, colmare lacune o approfondire temi complessi, come accade, ad esempio, nella scrittura o nella verifica dei fatti. Personalmente, la utilizzo spesso per esplorare argomenti in profondità o per accertarmi dell’accuratezza di quanto scrivo. È, senza dubbio, un grande aiuto.

Tuttavia, non mancano le preoccupazioni. Come percepiranno questa tecnologia gli studenti delle scuole superiori o universitari di oggi? La vedranno come un valido supporto o come una comoda scorciatoia per evitare di apprendere? Questo è il mio timore. Già l’avvento di Internet aveva sollevato questioni simili, ma richiedeva almeno un certo sforzo per cercare e trovare le informazioni desiderate. Ci siamo adattati.

L’intelligenza artificiale, però, è diversa: crea l’illusione di una conoscenza istantanea e onnicomprensiva, accessibile con un semplice clic. Provo a immaginare me stesso a sedici anni e a riflettere su cosa avrei pensato di questa tecnologia. Sarebbe stato fin troppo facile trovare pretesti per non leggere, non studiare, non scrivere, non fare ricerche, non imparare.

L’Ia offre innumerevoli ragioni per evitare queste attività. Perché impegnarsi quando una macchina può pensare al posto tuo?! Questa riflessione mi ha spinto a interrogarmi su una questione fondamentale: qual è, esattamente, il valore del sapere? La risposta sta nella capacità di portare con sé, nella propria mente, gli strumenti per comprendere il mondo circostante in un quadro più ampio rispetto a quello che percepiamo con i sensi. La conoscenza, unita alla saggezza dell’esperienza, consente un’interpretazione più profonda e articolata di ciò che, altrimenti, sarebbe solo un insieme di dati.

UN VIAGGIO PERSONALE NELLA CONOSCENZA

Parlare di sé non è mai semplice, ma mi permetto di farlo richiamando la teoria di Edmund Husserl (1859-1938), fondatore della fenomenologia, secondo cui la comprensione di qualsiasi fenomeno passa inevitabilmente attraverso la coscienza personale. È il nostro filtro per conoscere il mondo, l’unico strumento a nostra disposizione. Anche tentando di superare i limiti della nostra soggettività, restiamo ancorati alla nostra mente. Per Husserl, dobbiamo accettare che la nostra coscienza individuale è l’unica lente attraverso cui osserviamo la realtà esterna.

Partendo da questa premessa, e considerando le sfide poste dall’Ia, ho deciso di fare un bilancio del mio modo di pensare per rispondere alla domanda: perché vale la pena imparare? Non ho alcuna intenzione di vantarmi delle mie capacità, che sono ben lungi dall’essere complete. Tuttavia, sono profondamente grato per ciò che so.

Posso affermare di avere una conoscenza operativa di circa tre secoli di storia americana, pur con molte lacune, di cui sono consapevole e che cerco costantemente di colmare. Per quanto riguarda la storia europea, ho una visione solida di cinquecento anni e una comprensione più generale di altri duemilatrecento anni. In questo quadro, riesco a collocare diversi aspetti del mondo: musica, arte, economia, tecnologia, religione, diritto, architettura, filosofia, oltre a esperienze pratiche in ambiti come il commercio, la gestione domestica e vari settori professionali in cui ho lavorato.

In materie come le scienze e le lingue, invece, le mie conoscenze sono più limitate, e me ne rammarico, anche se possiedo una discreta padronanza del latino e delle lingue derivate. Rispetto a molte persone che ho conosciuto, mi considero poco istruito, ma sono grato per ciò che ho appreso grazie a libri, insegnanti e al tempo dedicato a costruire il mio sapere. Continuo a farlo ogni giorno, aggiungendo tasselli al grande mosaico della conoscenza, esplorando nuove stanze nel castello del sapere e raccogliendo frammenti che arricchiscono la mia comprensione di ogni ambito.

E tutto questo senza ricorrere all’intelligenza artificiale.

IL VALORE DELLA CONOSCENZA

Quali benefici traggo da questo bagaglio? Sono costanti e si manifestano in ogni aspetto della vita. Per fare un esempio, entrando nel piccolo atrio di un condominio, ho notato subito, grazie ai dettagli architettonici e alle infrastrutture, che l’edificio risaliva agli anni Venti del Novecento o era stato almeno ristrutturato in quel periodo, con un evidente stile Art Déco. Tuttavia, la carta da parati mi è sembrata fuori luogo, probabilmente installata negli anni Cinquanta, e le lampadine erano palesemente nuove e di scarsa qualità.

Ho osservato che le ringhiere delle scale erano state verniciate in modo approssimativo, senza rifinire il legno, e che i gradini conservavano il legno originale, visibilmente consumato. Le piastrelle del pavimento e gli apparecchi di illuminazione erano d’epoca. In un istante, ho immaginato come si potesse restaurare l’ambiente con una spesa inferiore a 10 mila dollari.

Non ho competenze specifiche in design d’interni: la mia valutazione si è basata sulla conoscenza del contesto storico, del sistema dei prezzi e della disponibilità di prodotti. Ho potuto immaginare la musica che avrebbe potuto risuonare in quegli spazi all’epoca, gli abiti indossati, le tecnologie presenti, come l’ascensore ancora funzionante e l’uso dell’edificio. Conosco le innovazioni di quel periodo: l’ascesa del fonografo, che portò la musica registrata nelle case, le prime macchine fotografiche che catturavano immagini statiche, destinate a diventare film muti, e i telefoni, che iniziavano a diffondersi come prodotto commerciale.

In altre parole, entrando in quell’atrio, ho ricostruito mentalmente l’epoca, con una discreta accuratezza, senza che nessuno mi dicesse nulla. E, parlando del 1923, so chi era presidente degli Stati Uniti, quali fossero le questioni dominanti – dal proibizionismo all’alienazione culturale dei soldati reduci dalla guerra, fino ai conflitti irrisolti in Europa. Warren Harding era presidente durante una crisi economica e scelse di non intervenire, una decisione saggia perché la crisi si risolse da sola.

So cosa accadeva in Germania (la grande inflazione) e in Russia (la fine del comunismo bellico e l’avvio della liberalizzazione di Lenin). Conosco gli eventi che preannunciarono la Prima guerra mondiale, la demoralizzazione culturale che ne seguì, le difficoltà dell’urbanizzazione, il graduale sgretolamento delle strutture familiari tradizionali e dei rituali matrimoniali. Posso elencare i conflitti religiosi, la nuova moda del progressismo e il tumulto tra il desiderio di tornare al passato e l’abbraccio del nuovo, e come questo conflitto si sia risolto nel tempo.

IL SAPERE COME BUSSOLA

Questo bagaglio di conoscenze lo porto con me non come motivo di orgoglio, ma come uno strumento che mi aiuta a orientarmi. Grazie a esso, il mondo non appare caotico, ma spiegabile, almeno in parte. Inoltre, alimenta la mia curiosità per ciò che non conosco e mi spinge a esplorare più a fondo la storia e il significato degli spazi che incontro.

L’intelligenza artificiale può fare tutto questo? Forse, ma come sapere cosa cercare o da dove cominciare? Per utilizzare l’Ia in modo efficace, bisogna già sapere quali domande porre. Anche se esistesse una tecnologia magica capace di narrare tutto quello che ci circonda, come potremmo filtrare il rumore di fondo e trovare il significato essenziale? Come potremmo scoprire il senso del caos che ci avvolge?

La mia tesi è che sia preferibile custodire queste conoscenze nella nostra mente, piuttosto che delegarle a strumenti esterni. Una conoscenza generata e sostenuta solo dall’Ia è come una cena tra amici su Zoom: può sembrare simile, ma manca dell’autenticità che dà senso all’esperienza. Affidare tutta la nostra comprensione alla tecnologia non è solo rischioso: implica una qualità della vita nettamente inferiore. Imparare, scoprire, sapere, costruire un proprio apparato mentale di comprensione in modo cumulativo è il cuore stesso della vita. Non esiste un sostituto tecnologico per questo.

Può sembrare strano porsi una domanda così fondamentale: perché dovremmo imparare e sapere? Eppure, è il punto in cui ci troviamo. Siamo circondati da tecnologie che ci invitano a credere che il sapere non conti più. Questo è un errore enorme. E potenzialmente fatale.

Copyright Epoch Times

Consigliati