Zoom cede alle pressioni della censura cinese

Il software per videoconferenze Zoom ha ammesso di aver ceduto alle pressioni del regime di Pechino, quando ha interrotto una commemorazione online per ricordare le vittime del massacro di Piazza Tienanmen e chiuso l’account dell’attivista per i diritti umani Zhou Fengsuo.

L’11 giugno, in seguito alle lamentele degli attivisti per i diritti umani, Zoom ha ammesso di aver effettivamente bloccato gli account di alcuni utenti statunitensi e di aver chiuso l’evento commemorativo del 4 giugno «su richiesta del governo cinese».

La piattaforma aveva già ricevuto numerose critiche per l’improvvisa irruzione di persone sconosciute durante alcune conferenze online e per aver trasmesso dati sensibili ai server cinesi, determinando gravi problemi di sicurezza per i suoi utenti.

Pochi giorni dopo l’evento sospeso del 4 giugno, Zhou Fengsuo, presidente della Chinese Democracy Education Foundation e cofondatore dell’organizzazione americana per i diritti umani Humanitarian China, ha scoperto che il suo account Zoom è stato chiuso.
Anche l’account di un altro importante responsabile dell’organizzazione degli eventi del 4 giugno di Hong Kong, Li Zhuoren, era stato bloccato in precedenza il 22 maggio; così come quello di Lee Cheuk-yan, politico di Hong Kong e attivista, e quello di Wang Dan, uno dei maggiori esponenti del Movimento democratico cinese, e fra i leader studenteschi più in vista durante la Protesta di Piazza Tienanmen.

Gli account bloccati da Zoom, di Zhou Fengsuo e Wang Dan, sono entrambi registrati negli Stati Uniti, mentre gli account di Li Zhuoren e di Lee Cheuk-yan erano registrati a Hong Kong, dove una volta era in vigore il sistema ‘un Paese, due sistemi’, finché Pechino non ha forzatamente messo in vigore la legge speciale sulla sicurezza nazionale.

Secondo la risposta di un portavoce di Zoom alle richieste del sito d’informazione americano Axios, la piattaforma deve rispettare le leggi applicate nella giurisdizione in cui opera. Quando i partecipanti a una riunione appartengono a diversi Paesi, essi devono attenersi alle rispettive leggi locali.

Gli attivisti per i diritti umani hanno espresso la loro rabbia e la Humanitarian China ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma: «Se questo è il caso, Zoom sta lavorando con il governo centralizzato [di Pechino, ndr] per cospirare e per cancellare la memoria del massacro di Tienanmen».

In un’intervista con un reporter di The Central News Agency di Taiwan, Wang Dan ha anche affermato: «Riteniamo che questa azione sia totalmente insostenibile. Le compagnie americane devono prima rispettare le leggi degli Stati Uniti. Come possono obbedire alle leggi di altri luoghi?».

Sotto la pressione dell’opinione pubblica, l’11 giugno Zoom ha ammesso di aver chiuso gli account e le relative conferenze di commemorazione di Lee Cheuk-Yan, Wang Dan e Zhou Fengsuo perché violavano la legge cinese e ha promesso che «non permetterà ai requisiti del governo del Pcc di influenzare gli utenti non cinesi registrati in futuro». Zoom ha sostenuto che i tre account e gli eventi a essi legati sono stati chiusi in base alle «istruzioni ricevute dal governo comunista cinese».

Sebbene Zoom abbia sottolineato che la società non ha fornito informazioni sugli utenti o contenuti degli eventi al regime comunista cinese, né acconsentirebbe alle richieste del Pcc di influenzare gli utenti registrati all’estero, una studentessa cinese in Australia ha dichiarato sul suo Twitter, che dopo aver espresso pubblicamente il suo sostegno al movimento democratico cinese, suo padre in Cina continentale è stato intimidito e messo sotto indagine dalla polizia cinese.

Wang Dan ha riferito a Radio Free Asia che non avrebbe mai più usato Zoom. Ha anche affermato che Zoom dovrà rispondere attraverso i canali legali.

Libertà di parola o censura globale

Zoom, con sede nella Silicon Valley, è stata fondata nel 2011 dal sino-americano Eric Yuan (Zheng Yuan), ex vicepresidente dell’ingegneria Cisco e originario della provincia di Shandong, in Cina. Si è laureato presso la Shandong University of Science and Technology nel 1987, e ha conseguito un Mba presso la Stanford University nel 2006. Il 26 febbraio 2020, Yuan si è classificato 555esimo nell’ ‘Elenco globale dei ricchi di Hurun 2020’, con un patrimonio di 32 miliardi di yuan. Secondo le informazioni pubbliche, Zoom è stato ufficialmente registrato in Cina nel 2019, con tre filiali e almeno 700 dipendenti in Cina.

In passato, in un’intervista con Forbes, il Ceo di Zoom Eric Yuan aveva rivelato che la maggior parte del team di ricerca e sviluppo è cinese.

In un’intervista di aprile al Wall Street Journal, Yuan ha affermato che il governo cinese è preoccupato solo per le riunioni locali, e non ha mai chiesto a Zoom di fornire informazioni sul traffico degli utenti stranieri. Evidentemente non ha detto la verità.

Infatti, le azioni compiute nelle ultime settimane da Zoom hanno messo in serio dubbio tali affermazioni; così, il senatore repubblicano Josh Hawley, l’11 giugno ha inviato una lettera al Ceo di Zoom.

Nella missiva, il senatore statunitense chiede a Yuan di scegliere da che parte stare: con i principi statunitensi e la libertà di parola, o col sistema di censura globale e di interessi a breve termine. Hawley ha scritto: «State cercando di ottenere il favore del Partito Comunista Cinese? I rapporti sono sconcertanti in quanto, nelle ultime settimane, avete censurato molti resoconti diversi solo perché discutevano delle proteste di Piazza Tienanmen e del successivo massacro».

«Altrettanto inquietante è la vostra difesa, secondo la quale avreste censurato queste conversazioni e sospeso gli account per far “rispettare la legge locale”. Come sono certo, saprete che la “legge locale” in Cina è straordinariamente opprimente».

«Queste “leggi locali” oppressive sono le stesse che i funzionari del Partito usano per opprimere più di un miliardo di persone, tra cui più di un milione di Uiguri che sono stati costretti alla schiavitù. Queste “leggi locali” sono quelle che la Cina sta usando per reprimere i manifestanti di Hong Kong, che vogliono solo le libertà fondamentali promesse dal trattato internazionale».

«La vostra non è la prima azienda a scambiare i valori americani per potenziali profitti in Cina. Google, in particolare, è diventato famoso per la sua censura: dalla progettazione di due diversi motori di ricerca per la censura e il blocco dei termini critici del Partito Comunista Cinese, ai suoi “errori” di traduzione dei termini per trasformare le critiche a Pechino in elogi per Pechino».

E conclude: «Una settimana fa, ho inviato una lettera ad aziende americane come la tua, chiedendo loro di mettere al primo posto i principi americani e le nazioni libere in tutto il mondo. Apparentemente, non hai letto quella lettera perché hai censurato le discussioni su Piazza Tienanmen lo stesso giorno. Ribadisco oggi che è tempo che tu scelga una parte: principi americani e libertà di parola, o censura globali e i profitti a breve termine».

 
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