Xi Jinping ha accumulato una maggiore concentrazione di potere rispetto a Mao Zedong ed è in grado di sopprimere gli oppositori nazionali e stranieri più di qualsiasi altro leader cinese nella storia. Eppure la minaccia alla sua leadership e alla capacità del Partito Comunista Cinese (Pcc) di mantenere il potere risulta di un’enormità e imminenza che Mao non ha mai conosciuto.
Queste minacce per ironia della sorte, ricordano gli elementi dirompenti che hanno assicurato il crollo del potere della dinastia imperiale cinese Qing nel 1911-12, ponendo fine a più di 2.100 anni di governo imperiale della Cina. Non che i successivi governi repubblicani non siano stati imperiali – cioè hanno governato un impero di società componenti o tributarie – ma erano, e sono, presumibilmente non dinastici.
In primo luogo, l’isolamento dei governanti manciù della corte Qing aveva seguito gli stessi passi della crescente separazione che oggi il Pcc vive rispetto alla società della Cina continentale.
In secondo luogo, la tecnologia moderna, spesso straniera, dal XVIII secolo aveva reso l’urbanizzazione attraente per la popolazione rurale cinese, inducendo un senso di aspirazione individuale, che non poteva essere soddisfatta dal governo, trasformando la speranza in rabbia e senso di diritto. Era un periodo di grande sconvolgimento e movimento della popolazione. Ciò assomiglia alla situazione nella Cina continentale del 21° secolo. Sia la corte Qing, che Mao e Xi hanno tentato di sopprimere le influenze straniere che apparentemente avevano innescato i disordini.
La Cina nel 1918 ha visto meno dell’8 per cento dei suoi 395 milioni di abitanti urbanizzati; nel 2022, invece, il 64,7% delle sue 1,3 miliardi di persone vivevano in città. La Cina ha storicamente visto fluttuazioni nei livelli e nei movimenti della popolazione, alcune gestite meglio di altre. Ma i disordini urbani non gestiti, in particolare da parte dei lavoratori migranti nelle città, furono un fattore chiave nel periodo rivoluzionario del 1908-1912.
Oggi, Xi e il Pcc dispongono di tecnologie e forze di controllo della popolazione senza precedenti, compreso l’uso di mezzi indiretti di controllo (come i decreti sanitari «Zero Covid»). Eppure la portata dei disordini popolari sta travolgendo anche le multiformi tecnologie progettate per identificare elementi anti-Pcc e privarli del loro accesso alle comunicazioni, al denaro, al cibo e al riparo.
Di particolare interesse per il Pcc è il tasso di disoccupazione giovanile tra i laureati, dove i livelli di rabbia sono più alti. Il tasso ufficiale di disoccupazione urbana giovanile (dai 16 ai 24 anni) risultava essere del 19,6% a marzo, ma si ritiene che il tasso reale sia molto più alto. Ciò che è così drammatico nella situazione attuale è che il sogno di prosperità basato su un titolo universitario è ormai di fatto evaporato, aggravando il senso di alienazione.
A questo si aggiunge la brusca perdita di risparmi e opportunità avvertita anche dai cinesi di mezza età e più anziani con il crollo dell’economia immobiliare interna, che era stata il luogo principale (spesso unico) in cui investire i risparmi per la pensione.
Inoltre, la produzione agricola è realmente in calo e il mercato globale dei manufatti prodotti in Cina sta diminuendo a un ritmo non completamente mostrato nelle statistiche ufficiali. Quindi le opportunità di lavoro per tutti i livelli della società stanno scomparendo. L’auspicato «urto post-Covid» – la ripresa economica dopo la fine delle misure Covid – nella prima metà del 2023 è stata una vera delusione sia per il pubblico che per il Pcc.
Il tentativo di Xi di costruire misure di controllo della popolazione non può eguagliare i crescenti disordini, anche se i budget per la sicurezza interna superano i finanziamenti dell’esercito cinese per la «difesa nazionale».
Deviare la colpa dell’angoscia della popolazione nazionale attraverso misure come la soppressione artificiale sanitaria «Zero Covid» non è riuscito ad arginare la marea. Anche i tentativi di Xi di mostrare il successo sulla scena mondiale, pur essendo stati significativi, non hanno compensato i problemi interni.
In breve, tutti i guadagni positivi – compreso il crescente potenziale dello yuan come valuta commerciale globale e la capacità della Cina di acquisire energia e cibo dalla Russia a seguito delle sanzioni occidentali contro Mosca – non compensano ancora la crescente situazione economica interna, sebbene possano aver rallentato il tasso di declino.
C’era la preoccupazione che Xi potesse, come misura distraente, tentare di sostituire il cibo sulle tavole cinesi mantenendo in cambio la sua promessa di porre fine alla guerra civile cinese e distruggere la Repubblica di Cina (Roc, il nome ufficiale di Taiwan): ‘Riempi il cuore se non la pancia’.
La minaccia delle potenze esterne alla sicurezza della Cina, o la capacità degli Stati Uniti di negare i mercati alla Cina, sono effettivamente utili – nella misura in cui esistono – per creare un senso unificante di identità tra il popolo cinese continentale. Ma in questa fase, «sconfiggere» gli Stati Uniti e l’Occidente potrebbe essere lontano dalla mente di Xi, anche se non può ammetterlo pubblicamente.
Ha in effetti preoccupazioni più importanti.
E poi la minaccia dell’Occidente sta scomparendo a causa del suo stesso declino. Come sarà il mondo post-cinese e post-occidentale? E quando lo vedremo? Forse stiamo iniziando a vederlo proprio ora.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.
Articolo in inglese: Xi Jinping: With Unlimited Power Comes Unlimited Challenge