Traffico d’organi in Cina, se ne discute al Congresso nazionale dei trapianti

Quest’anno L’Aquila ha ospitato il Congresso Nazionale della Società Italiana dei Trapianti d’Organo (Sito), dal 24 al 26 settembre. Il simposio ha trattato i temi più rilevanti e attuali del settore, mettendo a confronto le esperienze di molti medici e in un’ottica di rafforzamento con altre realtà scientifiche.

Per sensibilizzare la comunità medica sugli abusi dei trapianti, al congresso è stato invitato il dottor Huige Li, professore di Farmacologia all’Università di Mainz in Germania e membro della Dafoh, un gruppo in difesa dell’etica medica. Il dottor Li ha discusso del fenomeno del traffico illegale d’organi in Cina, facendo riferimento allo status attuale, allo sviluppo storico e ai differenti tipi di prigionieri come fonti d’organi. L’invitato si è detto soddisfatto per l’interesse dei dottori che hanno ascoltato con preoccupazione, dimostrando la loro intenzione di aiutare a fermare questo fenomeno illegale.

La Cina è un Paese che da circa 30 anni utilizza come fonte d’organi i prigionieri giustiziati, una pratica in contrasto con gli standard internazionali e che ha già sollevato lo sdegno di altre Nazioni. Per cercare di ottenere il riconoscimento della comunità internazionale, di recente il governo cinese ha comunicato che i condannati a morte sono liberi di donare i loro organi. «La Cina ha fatto solo un annuncio che diceva di aver risolto la situazione, ma senza nessuna prova che potrebbe dimostrare che le cose sono davvero cambiate. Dicono che incoraggiano i detenuti a donare i loro organi, ma questa cosa è contro lo standard internazionale etico», ha dichiarato il dottor Li. I condannati a morte, infatti, non dovrebbero donare i loro organi, dal momento che si trovano in condizioni tali da non poter effettuare una scelta veramente libera e pensata. Inoltre, non tutti i prigionieri sono uguali. Nella categoria dei ‘condannati a morte’ figurano anche i prigionieri di coscienza, che vengono rinchiusi per la loro fede senza aver ricevuto una sentenza. Queste persone includono i cristiani, i tibetani, gli uiguri e soprattutto i praticanti del Falun Gong, una disciplina meditativa che in Cina viene perseguitata dal 1999.

Il dottor Li ha spiegato che per fermare questa pratica illegale, le persone possono agire su due fronti. Da una parte le «organizzazioni mediche a livello mondiale dovrebbero imporre un embargo alla Cina, per impedire ai dottori cinesi di essere presenti ai congressi internazionali, oppure di essere presenti nelle riviste come relatori, o anche di far parte della Tts (Trasplantation Society). La Tts ha un embargo accademico contro la pratica della raccolta d’organi in Cina da prigionieri giustiziati che impedisce ai medici cinesi di partecipare ai congressi internazionali, di pubblicare articoli in letteratura medica e di essere membri della Tts. Ritengo che questo embargo dovrebbe essere mantenuto».

Dall’altra esiste anche una petizione, su iniziativa dei praticanti Falun Gong, che denuncia Jiang Zemin per genocidio e crimini contro l’umanità. «Dato che la persecuzione contro il Falun Gong ha generato il prelievo di organi, allora è la persecuzione che dovrebbe essere fermata in Cina. E la persona che ha iniziato la persecuzione è Jiang Zemin», ha chiarito il dottor Huige. La persecuzione del Falun Gong trova infatti le sue origini nella figura dittatoriale di Jiang Zemin, leader del PCC dal 1992 al 2002. Jiang, molto attaccato al suo potere, temeva che l’alto numero di praticanti di questa disciplina spirituale costituisse una minaccia alla sua sopravvivenza politica. Decise quindi di iniziare una campagna persecutoria di arresti, licenziamenti dal lavoro, torture, lavaggio di cervello, fino ad arrivare alla rimozione forzata dei loro organi a scopo di lucro.

Nel corso degli anni, sono state mosse numerose iniziative per fermare questa pratica, come convegni, lettere aperte, petizioni e risoluzioni agli organi di governo, tra cui una petizione che la Dafoh ha inviato all’Alto Commissariato per i Diritti umani dell’Onu. «Abbiamo inviato una petizione firmata da tre milioni di persone, ma fino a questo momento le Nazioni Unite non hanno dato nessuna risposta. Tutte queste firme dimostrano che la gente è preoccupata per quello che accade in Cina, ma le Nazioni Unite non hanno ancora dato una risposta. Voglio dire che la gente è preoccupata. Tutti quelli che vogliono fare qualcosa in questo senso, possono firmare la petizione online che si trova sul sito della Dafoh – che richiede all’Onu di avviare un’indagine indipendente in Cina», ha concluso il dottor Li.

       Per saperne di più:

Intervista di Dana Betlevy

 
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