Postumi del Covid, dati fuorvianti e rischi esagerati

Una nuova ricerca suggerisce che la ricerca epidemiologica ha distorto i dati sul long Covid (cioè i ‘postumi’ a lungo termine del Covid), sollevando un’eccessiva preoccupazione su sintomi e condizioni che, secondo i ricercatori, sono comuni ad altri virus respiratori.

In un articolo pubblicato su BMJ Evidence-Based Medicine, il 25 settembre, i ricercatori affermano che le riviste accademiche continuano a riportare tassi elevati di long Covid, ma queste pubblicazioni scientifiche sovrastimano la prevalenza della condizione a causa di definizioni troppo ampie, mancanza di gruppi di controllo adeguati e altri difetti metodologici.

Secondo il documento, la ricerca epidemiologica riguardo il long Covid «è stata fuorviante» e ha «creato un diffuso malinteso». Le revisioni sistematiche e le meta-analisi condotte in modo inadeguato, che sopravvalutano i rischi del long Covid, vengono «date in pasto al pubblico» dai media e dai social media.

Secondo gli autori, le conseguenze indesiderate della distorsione dei dati sul long Covid possono contribuire ad aumentare l’ansia della società e la spesa per l’assistenza sanitaria, a non diagnosticare condizioni curabili che vengono erroneamente definite «long Covid» e a distogliere i fondi e la consapevolezza da coloro che effettivamente soffrono di condizioni croniche causate dal Covid-19.

I Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), ad esempio, ha recentemente dichiarato sul suo sito web che «quasi un americano adulto su cinque che ha avuto il Covid-19 ha ancora il long Covid». Secondo un’indagine pubblicata di recente, che utilizza i dati del 2022 del National Center for Health Statistics, il long Covid potrebbe aver colpito ben 962 mila bambini e 17 milioni 900 mila adulti. Questo dato è coerente con altre indagini dei Cdc, ma è in conflitto con i dati che dimostrano che il long Covid nei bambini è estremamente raro, lieve e di breve durata, e si risolve in genere entro uno o cinque mesi. Secondo uno studio pubblicato sull’European Journal of Pediatrics, solo lo 0,8% dei bambini risultati positivi al test da Covid-19 ha riportato sintomi di durata superiore alle quattro settimane – condizione necessaria per soddisfare la definizione di long Covid data dai Cdc – rispetto al gruppo di controllo.

La coautrice, la dottoressa Tracy Høeg, ha dichiarato in un post sui social media che ciò che il Cdc intende in realtà è che un quinto ha riportato un nuovo sintomo che non aveva prima di contrarre il Covid e che è durato mesi. Nel suo recente articolo su Substack, la dott.ssa Høeg ha precisato che: «Gli adulti hanno sempre nuovi problemi di salute cronici. Perché dovremmo attribuirli automaticamente al Covid?».

«Høeg e gli altri autori confermano ciò che era evidente dalla fine del 2020, e certamente dall’inizio della metà del 2021: A parte l’anosmia transitoria (perdita dell’olfatto) che può essere persistita per mesi in alcune persone con SARS-CoV-2 da lieve a moderata non ospedalizzate, la cosiddetta ‘long-covid’ in questi individui è più giustamente descritta come ‘sindrome pandemica lunga’», ha spiegato l’epidemiologo Andrew Bostom a Epoch Times in una e-mail.

«Questa afflizione psicosomatica, che non deve essere scartata, né tanto meno ridicolizzata, sembra essere stata generata dalla tristemente isterica risposta alla pandemia, non dall’infezione da SARS-CoV-2», ha aggiunto.

Il dottor Bostom sostiene che il coinvolgimento del tratto respiratorio in caso di infezione grave da Covid-19, che comporta casi di ricovero ospedaliero, rispecchia quanto accade con altre infezioni gravi delle basse vie respiratorie e con altri virus, batteri, funghi o parassiti, e non è un fenomeno unico della SARS-CoV-2.

Definizione chiara di ‘long Covid’ inesistente

Uno dei problemi che affliggono gli studi sul long Covid è che non esiste una definizione chiara o coerente per la condizione tra le organizzazioni sanitarie internazionali e nessuna richiede un legame causale tra l’infezione da Covid-19 e i nuovi sintomi, secondo la pubblicazione.

Tra le organizzazioni con definizioni incoerenti di long Covid, vi sono: il Cdc, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il National Institute for Health and Care Excellence, la Scottish Intercollegiate Guidelines Network e il Royal College of General Practitioners.

Uno studio del 2021 pubblicato su Plos Medicine, ad esempio, ha rilevato che il 40% dei pazienti con long Covid non ha riportato alcun sintomo fino a più di 90 giorni dopo l’infezione.

Il Cdc definisce il long Covid come «problemi di salute nuovi, ricorrenti o in corso che si verificano quattro o più settimane dopo l’infezione da SARS-CoV-2», ma i ricercatori affermano che questa definizione potrebbe creare un «errore di classificazione», aumentando la probabilità che un sintomo o una condizione temporalmente non correlati, presentatisi dopo l’infezione da Covid-19, vengano impropriamente etichettati come «long Covid».

Ai fini della loro ricerca, gli autori definiscono il long Covid come una «sindrome o singoli sintomi che sono sequele dirette del virus SARS-CoV-2 e durano almeno 12 settimane». Gli autori affermano che la definizione dovrebbe includere sintomi persistenti o contigui confermati dopo l’infezione da Covid-19 e includere gli attributi individuali del paziente che possono contribuire all’esperienza post-Covid di una persona.

La maggior parte degli studi è priva di gruppi di controllo adeguati

Secondo la pubblicazione, studi adeguati sul long Covid richiedono, come minimo, un confronto tra i soggetti che riferiscono sintomi attribuiti al long Covid e un gruppo di controllo con caratteristiche simili.

Tuttavia, una revisione sistematica pubblicata su Lancet nel 2023 ha mostrato gruppi di controllo adeguati solo in 22 dei 194 studi sul long Covid. Circa il 45% dei soggetti affetti da Covid-19 presentava un sintomo non risolto quattro mesi dopo la diagnosi, ma la percentuale di presenza di questi sintomi tra i gruppi di controllo nei 22 studi non è stata determinata. Un’altra revisione ha trovato una prevalenza di long Covid del 25% nei bambini, ma non ha considerato la prevalenza dei sintomi tra il gruppo di controllo.

«Non solo non hanno confrontato i casi con i controlli, ma hanno anche incluso studi con una breve media di monitoraggio, di solo un solo mese; studi che non specificavano la durata del monitoraggio e studi che includevano risultati di laboratorio anormali come ‘sintomi’», hanno scritto i ricercatori del Bmj.

Un rapporto del Cdc sulla morbilità e la mortalità del maggio 2022 ha rilevato che tra tutti i pazienti di età superiore ai 18 anni, il 38% ha avuto una patologia ulteriore entro un anno dalla diagnosi da Covid-19, rispetto al 16% dei controlli. Tuttavia, l’agenzia non ha riconosciuto che le persone a cui è stata diagnosticato il Covid-19 in ambito sanitario sono di solito meno sane di quelle che non si sottopongono al test da Covid-19, il che potrebbe aver causato casi più gravi nel gruppo post-Covid rispetto al gruppo di controllo.

Lo studio, inoltre, non ha fornito informazioni sullo stato di salute dei partecipanti, né ha messo in relazione la tempistica dei sintomi con l’infezione, né ha rivelato la precedente storia di infezione nel gruppo di controllo.

«Definizioni inadeguate e metodi errati non servono a coloro che la medicina cerca di aiutare», concludono gli autori. «Migliorare gli standard di generazione delle prove è il metodo ideale per prendere sul serio il long Covid, migliorare i risultati ed evitare i rischi di diagnosi errate e trattamenti inappropriati».

 

Articolo inglese: Long COVID Risks Have Been Exaggerated by Misleading Data: New Analysis

 
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