Gran parte delle economie mondiali cerca di ‘divorziare’ dalla Cina

Di Milton Ezrati

Una recente serie di dati mostra un discreto successo degli sforzi compiuti da Stati Uniti, Unione Europea e Giappone per diversificare gli approvvigionamenti dalla Cina. Le esportazioni cinesi con ciascuno di questi importanti mercati sono infatti diminuite sensibilmente.

A dire il vero, le cifre possono esagerare il grado di successo. Le imprese cinesi si sono riposizionate in Paesi terzi e hanno trasferito le merci attraverso altri Paesi per evitare i dazi e le altre restrizioni imposte da queste nazioni ricche, e queste operazioni non vengono conteggiate nei dati sul commercio cinese. Sebbene tali manovre possano aver confuso i dati statistici, potrebbero fare meno differenza a livello pratico, dal momento che lo scopo del divorzio economico dalla Cina – o «derisking» [eliminazione del rischio, ndt] – è quello di ridurre le vulnerabilità al bullismo di Pechino: lo spostamento delle imprese verso i Paesi terzi ha questo effetto.

Probabilmente il fatto più eclatante che emerge da questa recente serie di dati è che la Cina ha perso l’orgoglio di essere il principale esportatore verso gli Stati Uniti. Il primato spetta ora al Messico. Questo è dovuto in gran parte agli sforzi indipendenti degli acquirenti americani di allontanarsi dalla Cina. Questi sforzi hanno aumentato l’importanza relativa anche di altri Paesi. Le importazioni americane di smartphone dalla Cina sono diminuite del 10% nel 2023 fino a novembre, il periodo più recente per il quale esistono dati di questo tipo, mentre le importazioni di computer portatili sono diminuite del 30%. Le importazioni dei prodotti appena citati, dall’India e dal Vietnam, sono quadruplicate (anche se, prima di quadruplicarsi, le quantità assolute erano molto basse).

I dati europei sono meno completi, ma Berlino riferisce che le importazioni tedesche dalla Cina sono diminuite di circa il 13% nell’ultimo anno. I dati preliminari mostrano che, nonostante il lungo periodo di sviluppo delle relazioni commerciali tra Cina e Germania, gli Stati Uniti potrebbero aver superato la Cina come esportatore in Germania.

Anche il Giappone e la Corea del Sud mostrano un disimpegno nei confronti della Cina. L’evidenza statistica riflette la natura complessa delle relazioni tra queste due economie e la Cina. Gran parte del commercio tra Cina, Corea del Sud e Giappone ruota attorno alle operazioni giapponesi e sudcoreane avviate in Cina. Il Giappone e la Corea del Sud esportano parti, componenti e forniture per le loro attività in Cina e importano i prodotti finiti nei loro mercati nazionali. I dati sulle importazioni dalla Cina potrebbero non essere ancora disponibili. Tuttavia, i dati mostrano che le esportazioni giapponesi e sudcoreane verso la Cina sono diminuite, il che indica una diminuzione dell’importanza delle loro attività in Cina. È anche indicativo del fatto che, allo stesso tempo, le esportazioni giapponesi e sudcoreane verso gli Stati Uniti sono aumentate e ora superano quelle verso la Cina.

Le uniche regioni in cui il commercio con la Cina ha registrato dei progressi sono le economie che dipendono dalle esportazioni di materie prime e beni agricoli. Il commercio brasiliano con la Cina ha infatti subito un’impennata. L’anno scorso le esportazioni brasiliane in Cina sono aumentate del 60% rispetto ai livelli pre-pandemia, mentre le importazioni brasiliane dalla Cina sono aumentate del 50%, partendo entrambe da una quota bassa.

Anche l’Australia ha visto crescere il proprio commercio con la Cina. Le sue esportazioni in Cina sono aumentate del 17% nel 2023. Questa cifra potrebbe sovrastimare il potenziale futuro e potrebbe invece riflettere solo un recupero dei vecchi livelli commerciali, ora che Pechino ha rimosso le tariffe punitive imposte alle importazioni australiane nel 2020.

Anche la Russia ha registrato un’impennata negli scambi con la Cina, esportando principalmente energia e importando soprattutto beni di consumo. Il legame con la Russia continuerà probabilmente a crescere fino, a quando l’Occidente manterrà le restrizioni sul commercio russo introdotte in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

Il risultato di questi movimenti è un netto cambiamento nella composizione del commercio cinese. Secondo l’Amministrazione generale delle dogane di Pechino, tra il 2018 e il 2023 la quota degli Stati Uniti nel commercio cinese, sia per le importazioni che per le esportazioni, è diminuita di 2,5 punti percentuali. La quota del Giappone è diminuita di quasi 2 punti percentuali e quella della Corea del Sud di circa 1,5 punti percentuali. La quota dell’Europa è scesa di circa mezzo punto percentuale. Al contrario, la quota della Russia è aumentata di 2 punti percentuali, mentre il Brasile e l’Australia hanno visto crescere le loro quote di mezzo punto percentuale ciascuno. La quota dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean) è aumentata di circa 2,5 punti percentuali, ma non tanto per il cambiamento delle preferenze quanto per la crescita relativamente rapida dell’Asean. Questi possono sembrare piccoli spostamenti, ma nel panorama generale dei bilanci di questo tipo, si tratta di un’evoluzione notevole in un periodo di tempo relativamente breve.

Questo quadro, per quanto possa sembrare, indica certamente un notevole grado di separazione dalla Cina da parte di alcune delle economie più potenti del mondo. E questa separazione non sembra destinata a invertirsi presto. Il fenomeno si è anzi rafforzato per anni. Per gli Stati Uniti è iniziato nel 2018, quando l’allora presidente Donald Trump ha imposto forti dazi sulle merci cinesi in entrata nel Paese. E nel 2019 li ha aumentati.

Il presidente Joe Biden ha mantenuto in vigore tutti questi dazi e ha aggiunto i divieti di vendita alla Cina di semiconduttori avanzati e di attrezzature per la produzione di semiconduttori, nonché di investimenti americani in tecnologia cinese. Più recentemente, la sua amministrazione ha ventilato l’idea di imporre un dazio del 25% sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi.

Nel frattempo, il Giappone si è adoperato per guidare uno sforzo internazionale di fornitura di terre rare che si distacchi dalla Cina. Bruxelles ha invece preso provvedimenti per imporre sanzioni alla Cina per aver inondato i mercati europei di veicoli elettrici a basso costo.

Senza dubbio, le imprese cinesi continueranno, come hanno fatto fin dai primi dazi di Trump, a evitare queste restrizioni creando operazioni in Paesi terzi, come Messico e Vietnam, o semplicemente trasportando le merci cinesi attraverso altri Paesi. Queste azioni possono aggirare i dazi, anche se Washington sta prendendo provvedimenti per impedirlo. Queste manovre renderanno certamente più confusa l’interpretazione dei dati disponibili. Ma indeboliscono comunque il potere di Pechino di influenzare il flusso di prodotti, che, dopo tutto, è la ragione principale della separazione economica.

 

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente i punti di vista di Epoch Times.

Milton Ezrati è un redattore collaboratore di The National Interest, un affiliato del Center for the Study of Human Capital dell’Università di Buffalo (Suny), e capo economista di Vested, una società di comunicazione con sede a New York. Prima di entrare in Vested, è stato capo stratega di mercato ed economista per Lord, Abbett & Co. Scrive spesso per il City Journal sul blog di Forbes. Il suo ultimo libro è «Thirty Tomorrows: The Next Three Decades of Globalization, Demographics, and How We Will Live».

Articolo in lingua inglese: How’s the Decoupling From China Going?

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