Il declassamento del debito statunitense da parte di Moody’s, che ha ridotto il rating di lungo periodo da AAA ad AA1, ha innescato l’immediata reazione nei mercati obbligazionari. Al di là del movimento tecnico, l’annuncio dell’agenzia di rating sembra più un riflesso ritardato di dinamiche già in corso che un campanello d’allarme realmente percepito dagli investitori.
Il deterioramento dei conti pubblici americani è un fenomeno analizzato e scontato dai mercati da almeno due anni. La motivazione formale fornita da Moody’s — l’aumento strutturale del debito federale e dei costi di servizio in un contesto di tassi elevati — è nota da tempo. È tuttavia una valutazione che, per certi aspetti, giunge dopo che i mercati hanno già incorporato tali elementi nelle loro aspettative, come dimostra la stabilità relativa dei principali indici azionari e la domanda ancora robusta per i titoli di Stato americani.
Non a caso, la reazione ufficiale di Washington è stata volutamente distaccata. Il ministro al Tesoro, Scott Bessent, ha liquidato il downgrade come un «indicatore in ritardo», sottolineando che le politiche fiscali degli ultimi anni, e non solo dell’amministrazione in carica, hanno contribuito alla situazione attuale. Secondo Bessent, Moody’s fotografa un passato già metabolizzato più che anticipare uno scenario futuro.
Anche la domanda estera per i Treasury rimane forte, come confermato dai dati ufficiali più recenti, che indicano livelli record di detenzioni da parte di investitori internazionali. Ciò conferma la fiducia mondiale nella solidità e nella capacità di rifugio degli asset statunitensi, nonostante le sfide di bilancio.
Anche la reazione degli operatori sembra confermare questa lettura: dopo una prima ondata di vendite, i mercati azionari hanno recuperato terreno. L’indice Dow Jones ha chiuso piatto, mentre Nasdaq e S&P 500 hanno perso solo lo 0,3 per cento. Il dollaro, pur in flessione contro le principali valute, mantiene la sua attrattiva in un contesto internazionale ancora dominato da incertezze geopolitiche e crescita disomogenea.
Il quadro complessivo suggerisce che la perdita della tripla A da parte di Moody’s, per quanto simbolica, non abbia spostato in modo significativo la fiducia degli investitori. La domanda estera per i titoli di Stato americani rimane elevata: secondo l’ultimo report del Tesoro, le detenzioni internazionali di bond statunitensi hanno toccato i 9 mila miliardi di dollari a marzo, un livello record. Anche l’asta dei trentennali, tenutasi a maggio, ha visto una partecipazione estera superiore al 70 per cento.
Semmai, il downgrade riapre il dibattito sul ruolo e l’affidabilità delle agenzie di rating. La loro capacità di anticipare le evoluzioni dei mercati è spesso messa in discussione, soprattutto in un contesto in cui le dinamiche economiche sono fortemente influenzate da fattori geopolitici, scelte di politica monetaria e flussi mondiali di capitale. Come osservato da alcuni analisti, la lettura di Moody’s appare più come una presa d’atto che come un giudizio prospettico.