Si torna a parlare di euro come alternativa al dollaro statunitense quale di valuta di riserva internazionale, ma l’Unione europea dovrebbe rafforzare la propria architettura finanziaria e di sicurezza. Questo secondo il presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, nel suo intervento del 26 maggio alla Hertie School di Berlino. Le politiche commerciali dell’amministrazione Trump, secondo l’analisi della Lagarde, starebbero mettendo in discussione le fondamenta dell’ordine economico mondiale fondato sul dollaro. Le trasformazioni in atto aprirebbero così uno spazio per un «momento euro» in grado di sfidare l’attuale predominio della valuta statunitense nella finanza internazionale.
Secondo il presidente della Bce, l’indebolimento del multilateralismo rappresenta una minaccia per l’assetto di regole che ha sostenuto il commercio internazionale per decenni. «L’apertura sta cedendo il passo al protezionismo», dice. Ogni evoluzione dell’ordine economico che comporti una riduzione degli scambi o una frammentazione in blocchi sarebbe, a suo avviso, dannosa per la crescita europea.
Pur riconoscendo quanto il dollaro mantenga una posizione dominante, la Lagarde ha sottolineato come il suo ruolo centrale venga sempre più messo in discussione da instabilità geopolitiche e da decisioni unilaterali adottate da Washington. Il contesto attuale, ha spiegato, potrebbe favorire un’espansione del ruolo internazionale dell’euro, ma l’Unione europea è ancora ben lontana dal poter tentare di cogliere questa opportunità. Per competere realmente con il dollaro, ammette la Lagarde, l’euro necessita di un’Unione più integrata: un mercato dei capitali unificato, un maggiore coordinamento giuridico e istituzionale e una minore dipendenza dalla protezione militare statunitense (insomma una nazione unica europea, guidata dalla Commissione Europea e dalla Bce, viene da immaginare) .
Queste esternazioni del governatore della Bce confermano quelle del vicepresidente sempre della Bce, Luis de Guindos, secondo cui l’Europa deve compiere scelte basate su interessi comuni, e non nazionali, se vuole rafforzare il ruolo dell’euro come valuta di riserva. Secondo de Guindos, l’Unione si trova nella posizione ideale per raggiungere questo obiettivo «nel giro di alcuni anni», a patto che si compiano ulteriori passi verso l’integrazione.
Le richieste di “maggiore coesione” (ossia di un ulteriore indebolimento del ruolo degli Stati nazionali europei) da parte dei vertici economici europei si inseriscono nelle tensioni commerciali tra Bruxelles e Washington.
La base del ragionamento della Lagarde però – ossia l’ipotesi di un declino lento e inesorabile del dollaro, di cui in determinati ambienti si parla da (almeno) 23 anni – continua però a non trovare riscontro nei dati più recenti. Secondo il Fondo monetario internazionale, la valuta statunitense rappresenta ancora circa il 58 per cento delle riserve valutarie mondiali, contro una quota inferiore al 20 per cento detenuta dalla moneta unica europea (che esiste dal 2002).
Una visione nettamente più cauta rispetto alle prospettive della moneta unica è stata espressa dal governatore della Federal Reserve, Christopher Waller. Intervenendo lo scorso febbraio a una conferenza sulle banche centrali alle Bahamas, Waller ha evidenziato come il dollaro continui a dominare nei tre ruoli fondamentali: riserva di valore, mezzo di scambio e unità di conto. E nonostante l’euro sia la seconda valuta più utilizzata al mondo, la distanza con il dollaro rimane enorme in ciascuna di queste tre funzioni. Secondo Waller, la forza del dollaro si fonda sulle dimensioni, sulla liquidità e sulla fiducia che caratterizzano il mercato dei titoli del Tesoro statunitensi.
E neppure i notevoli sforzi del regime cinese per diversificare le proprie riserve, hanno modificato in modo sostanziale questa situazione: l’euro non ha registrato progressi significativi né negli scambi mondiali, né nel sistema bancario internazionale, né nel mercato valutario. La maggior parte delle transazioni internazionali, tra cui quelle legate alle attività digitali, continua infatti a essere denominata in dollari. «Nei momenti di turbolenza finanziaria, investitori e governi cercano un porto sicuro per proteggere il valore dei capitali e stabilizzare i mercati», e il “porto sicuro” è il dollaro statunitense: «in queste situazioni, si assiste quasi sempre a una corsa al dollaro e a un aumento della domanda di attività denominate in valuta statunitense. È successo nel 2008, e nel 2020. È la conferma definitiva che il dollaro resta la valuta di riserva mondiale – perché, spiega il governatore della Fed – nelle fasi di crisi, il mondo si rifugia nel dollaro, non lo abbandona».