Le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale, e sono comprese tra +0,4 (Fondo monetario internazionale) e +0,6 per cento (Banca d’Italia e ministero dell’Economia).
È quanto riferisce l’Istat nel suo rapporto annuale 2025. Le prospettive per l’anno in corso sono tuttavia condizionate dalle possibili evoluzioni delle tensioni geopolitiche internazionali che rendono ogni previsione soggetta ad ampi margini di incertezza. Nel 2024 l’economia italiana ha continuato a crescere a un ritmo moderato, inferiore rispetto alla Francia e soprattutto alla Spagna, mentre la Germania è in recessione per il secondo anno di seguito.
L’occupazione ha continuato a espandersi ed è stato conseguito un parziale recupero nel potere d’acquisto dei salari. D’altra parte, l’aumento dell’occupazione, anche per la sua composizione settoriale, si è tradotto in una riduzione della produttività del lavoro. È proseguito il rientro dall’inflazione, riflettendo il forte calo nelle quotazioni dell’energia, la cui crescita ne era stata all’origine. L’inflazione al consumo si è mantenuta più bassa che nelle altre maggiori economie europee, tornando però a salire nei primi mesi del 2025.
Nel 2024 sono migliorati in misura consistente i saldi del bilancio pubblico, soprattutto grazie alla riduzione degli oneri del superbonus. Il debito pubblico è cresciuto lievemente, per effetto della ridotta crescita del Pil nominale e dell’aumento della spesa per interessi. Nell’ultimo decennio la crescita dell’economia ha risentito sia di condizioni macroeconomiche in prevalenza sfavorevoli, sia di caratteristiche del sistema produttivo associate all’efficienza e all’incremento della produttività che ne hanno frenato l’espansione, quali le ridotte dimensioni d’impresa, la specializzazione, il contenuto innovativo relativamente modesto delle produzioni.
Negli anni più recenti lo sviluppo delle attività ad alta tecnologia ha contribuito a mitigare questi effetti. Tuttavia, l’Italia continua a scontare un ritardo nella dotazione di capitale umano qualificato, che si riflette anche in una minor capacità di adozione delle tecnologie digitali che richiedono competenze specializzate. Le previsioni demografiche indicano che l’Italia continuerà ad affrontare un calo delle nascite e un aumento della mortalità, con un saldo naturale sempre più negativo. L’incertezza sulle dinamiche migratorie, che potrebbero contribuire a contrastare la crisi demografica, rimane alta, legata a fattori economici e geopolitici. La popolazione residente in Italia, secondo lo scenario mediano, è destinata a diminuire, passando da circa 59 milioni al primo gennaio 2023 a 58,6 milioni nel 2030 e a 54,8 milioni nel 2050.
Le famiglie diventano sempre più piccole: cresce il numero di persone che vivono da sole, aumentano le libere unioni, le famiglie monogenitore e quelle ricostituite, mentre si riduce la presenza dei nuclei familiari con figli. Nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2 per cento delle “famiglie”, mentre le coppie con figli scendono al 28,2 per cento. L’aumento delle persone sole interessa tutte le età, ma soprattutto gli anziani. Quasi il 40 per cento delle persone di almeno 75 anni vive da solo, in prevalenza donne. Famiglie ricostituite, coppie non coniugate, genitori soli non vedovi e persone sole non vedove rappresentano oggi il 41,1 per cento delle famiglie, segnando una trasformazione strutturale nella geografia familiare del Paese. Il 63,3 per cento dei giovani tra 18 e 34 anni vive con i genitori, un valore tornato al livello del 2019 ma in crescita rispetto al 2010. Sul fronte dell’istruzione si registra un miglioramento dei livelli medi, ma persistono ampi divari rispetto alla media dell’Ue27.
Nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale: il 23,1 per cento, un dato sostanzialmente stabile rispetto al 2023. Le condizioni economiche delle famiglie restano quindi fragili. La povertà assoluta è stabile rispetto all’anno precedente ma in aumento nel confronto con il 2014. Anche tra chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica con l’aumento delle persone i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato.
Nel mercato del lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto il massimo storico, l’Italia presenta ancora tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità. Nel 2024 il reddito reale da lavoro per occupato è più elevato rispetto al 2014, l’anno di minimo dopo la Grande recessione degli anni precedenti, ma più basso del 7,3 per cento rispetto al 2004, per la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, con riduzioni in tutte le classi d’età. Nello stesso periodo, l’aumento della partecipazione al lavoro, la riduzione della dimensione delle famiglie e la maggiore diffusione della proprietà della casa d’abitazione hanno più che compensato tale riduzione in termini di reddito familiare equivalente.
Le disuguaglianze territoriali restano forti, con incrementi ampi di occupazione nelle grandi città metropolitane del Centro-nord, dove anche la popolazione ha continuato ad aumentare, e minori o negativi in parte del Mezzogiorno e alcune aree del Centro-nord in declino industriale. Nel 2024 circa una persona su dieci (9,9 per cento) ha rinunciato a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa (6,8 per cento) e per le difficoltà nel pagare le prestazioni sanitarie (5,3 per cento).
La rinuncia alle prestazioni sanitarie è in crescita sia rispetto al 2023 (7,5 per cento), sia rispetto al periodo pre-pandemico (6,3 per cento nel 2019), soprattutto per l’aggravarsi delle difficoltà di prenotazione. Le condizioni di salute mostrano segnali contrastanti: la speranza di vita alla nascita ha superato i livelli pre-pandemici, ma gli anni vissuti in buona salute si riducono, soprattutto tra le donne e nel Mezzogiorno. Il disagio psicologico cresce e le condizioni di salute soggettive dichiarate dalle persone con disabilità restano critiche. Per loro la prevalenza di malattie croniche è molto elevata, colpendo in particolare gli anziani, con un impatto più marcato sulle donne.
L’uscita dalla famiglia avviene sempre più spesso per andare a convivere; il matrimonio e la genitorialità sono posticipati, o talvolta evitati del tutto; crescono le unioni libere e le famiglie ricostituite. La crescente instabilità coniugale completa il quadro di una transizione demografica in cui i legami familiari si ridefiniscono nel tempo.
«Nell’ultimo biennio, le retribuzioni contrattuali hanno iniziato a recuperare in termini reali ma in misura insufficiente a coprire il ritardo maturato negli anni precedenti: rispetto a gennaio 2019, la perdita di potere d’acquisto per dipendente era superiore al 15 per cento a fine 2022 ed è ancora pari al 10,0 per cento a marzo 2025», ha detto il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, in occasione della presentazione del rapporto annuale 2025, alla Camera dei deputati. «Nel confronto europeo, tra il 2019 e il 2024, le retribuzioni lorde di fatto per dipendente in termini reali sono diminuite del 4,4 per cento in Italia, del 2,6 in Francia e dell’1,3 in Germania, mentre in Spagna si è registrato un aumento del 3,9», ha aggiunto. «Preoccupante è l’aumento dell’espatrio tra i giovani 25-34enni con una laurea: 21 mila nel 2023, un record storico; il risultato è una perdita netta di 97 mila giovani laureati in dieci anni», ha sottolineato Chelli, che ha proseguito: «Al primo gennaio 2025, la popolazione residente in Italia è ormai sotto i 59 milioni. Come più volte ricordato, la diminuzione – in atto dal 2014 – è dovuta a una dinamica naturale fortemente negativa; la natalità continua a calare – nel 2024 si sono registrate solo 370 mila nascite – e la fecondità ha toccato il minimo storico di 1,18 figli per donna, sfavorita dalla riduzione del numero di donne in età fertile e dal crescente rinvio della genitorialità».
«Resta elevata la quota di 18-34enni che continuano a vivere nella famiglia di origine, circa due terzi, contro una media europea del 49,6 per cento. La difficoltà di raggiungere l’indipendenza economica ostacola l’autonomia e ritarda tutte le tappe dei giovani verso l’età adulta, genitorialità compresa», ha evidenziato il presidente Istat, che ha concluso: «Nel passaggio dalla generazione delle madri a quella delle attuali quarantenni, raddoppia la quota di donne senza figli – dal 13 al 26 per cento –, con un picco di circa tre donne su dieci nel Mezzogiorno. Parallelamente, si riscontra un’accentuata posticipazione dell’età alla nascita del primo figlio, che aumenta la probabilità di avere un numero di figli inferiore alle attese o di non averne affatto. L’età media alla nascita del primo figlio è salita da 25,9 anni per le nate del 1960 a 29,1 per quelle del 1970, con un rinvio ancora maggiore nelle generazioni più recenti».