Il viaggio di Trump e il nuovo ordine Mediorientale “senza” Israele

di Redazione ETI/Reuters
19 Maggio 2025 14:40 Aggiornato: 19 Maggio 2025 14:40

L’immagine del presidente Trump che stringe la mano al leader islamista siriano Ahmed al Sharaa, descritto da Israele come «un terrorista di al Qaeda in giacca e cravatta», evidenzia l’isolamento internazionale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. «Ha potenziale, è un vero leader», ha dichiarato Trump a Riad, dopo un incontro mediato dai sauditi, culminato in accordi su armamenti, affari e tecnologia.

Il viaggio di quattro giorni del presidente americano in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti — conclusosi questa settimana — è andato oltre una semplice passerella diplomatica con investimenti miliardari. Secondo fonti regionali e occidentali, ha sancito l’emergere di un nuovo ordine mediorientale guidato dai sunniti, che marginalizza l’asse sciita filo-iraniano e ridimensiona il ruolo di Israele. In un contesto di crescente frustrazione a Washington per l’intransigenza di Netanyahu sul cessate il fuoco a Gaza, la visita è apparsa come un chiaro messaggio al premier israeliano, nonostante fosse stato il primo leader straniero ricevuto alla Casa Bianca dopo il ritorno di Trump.

La diplomazia americana, ora meno ideologica e più pragmatica, ha ridefinito la posizione di Israele nella strategia statunitense. «L’amministrazione è molto frustrata con Netanyahu, e questa frustrazione si manifesta», ha osservato David Schenker, ex viceministro degli Esteri per gli Affari del Vicino Oriente. Pur restando un alleato storico con ampio sostegno bipartisan, Israele non può più dettare l’agenda americana. La Casa Bianca persegue interessi regionali senza piegarsi alle priorità di Netanyahu, irritata dal suo rifiuto di un cessate il fuoco a Gaza e dall’opposizione ai negoziati con l’Iran sul programma nucleare.

L’ufficio di Netanyahu non ha commentato il viaggio. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale statunitense, James Hewitt, ha ribadito che Trump «è un amico di Israele», confermando la cooperazione su ostaggi, Iran e sicurezza. Tuttavia, fonti interne rivelano un’irritazione crescente per l’atteggiamento del premier, specie su Gaza e la linea dura contro Teheran. Le tensioni erano evidenti già ad aprile, quando Netanyahu, in visita a Washington, ha cercato invano il sostegno di Trump per attacchi ai siti nucleari iraniani, scoprendo che gli Stati Uniti preferivano la diplomazia.

Le mosse successive della Casa Bianca hanno accentuato la distanza. Il cessate il fuoco con l’organizzazione terroristica degli Houthi in Yemen, il riavvicinamento con la nuova leadership siriana e l’esclusione di Israele dal tour nel Golfo hanno segnato un deterioramento dei rapporti. «Washington e Tel Aviv non sono più allineate come nei primi cento giorni», ha notato David Makovsky del Washington Institute.

Durante la campagna elettorale, Trump aveva promesso un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Tuttavia, Netanyahu ha respinto le pressioni internazionali, intensificando l’offensiva militare senza risolvere la questione del dopoguerra. Secondo le autorità sanitarie locali, i morti nella Striscia superano i 52.900. Il conflitto è scoppiato dopo l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023, con circa 1.200 vittime e 250 ostaggi. Le speranze di un annuncio di pace durante il viaggio si sono infrante. Netanyahu ha ribadito l’obiettivo di distruggere Hamas, nonostante le accuse di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale e i procedimenti per corruzione in patria, che respinge. Venerdì, mentre Trump concludeva il tour, Israele ha lanciato una nuova offensiva a Gaza, causando centinaia di morti palestinesi.

L’inclusione dell’Arabia Saudita negli Accordi di Abramo, obiettivo strategico di Trump, è stata ostacolata dall’intransigenza israeliana. Riad ha ribadito che non normalizzerà i rapporti con Israele senza un cessate il fuoco e un percorso verso uno Stato palestinese, opzione rifiutata da Netanyahu. «Non ha una strategia per il dopoguerra», ha commentato Schenker.

In pubblico, Trump ha negato tensioni, definendo la situazione di Netanyahu «difficile» in un’intervista a Fox News. Nei fatti, però, la Casa Bianca agisce autonomamente, privilegiando le potenze sunnite, in primis l’Arabia Saudita, con un approccio pragmatico.

Il nuovo ordine mediorientale prende forma a Riad, Doha e Abu Dhabi, dove le monarchie del Golfo cercano protezione da Teheran e accesso a tecnologie e armamenti americani, specie nell’intelligenza artificiale. Trovano in Trump un interlocutore che unisce diplomazia e interessi economici. A Doha — accolto con un Boeing 747 in dono e un banchetto reale — Trump ha elogiato il Qatar, nonostante i legami con Hamas, per il suo ruolo nella crisi degli ostaggi. Ciò ha allarmato Israele, che vede Doha come una minaccia. «Il Qatar è ormai centrale per gli Stati Uniti», ha spiegato Yoel Guzansky, esperto di sicurezza a Tel Aviv. Pur finanziando Hamas, il Qatar ospita la principale base militare americana nella regione.

Gli accordi siglati nel tour valgono, secondo la Casa Bianca, oltre 2 mila miliardi di dollari per l’economia statunitense, anche se stime di Reuters parlano di 700 miliardi. In Arabia Saudita, un contratto da 142 miliardi per armamenti ha sollevato timori israeliani sulla superiorità aerea, qualora Riad ottenesse gli F-35. Trump ha concesso ai sauditi ampio margine sul dossier israelo-palestinese e avviato negoziati per un programma nucleare civile, ulteriore fonte di preoccupazione per Israele.

Le monarchie sunnite hanno imposto la propria agenda. La revoca delle sanzioni alla Siria, su richiesta saudita, ha segnato un cambio di rotta. Fino a pochi mesi fa, gli Stati Uniti offrivano 10 milioni di dollari per Sharaa. La tregua con gli Houthi in Yemen ha chiuso una costosa campagna nel Mar Rosso, dopo che un loro missile aveva colpito l’aeroporto Ben Gurion.

«Israele appare sempre più un ostacolo», ha dichiarato Guzansky. L’obiettivo è ridisegnare la regione dopo la caduta di Assad e l’indebolimento di Hezbollah, e porre fine al conflitto a Gaza. Mentre Netanyahu tace, i media israeliani esprimono preoccupazione. L’opposizione, guidata dall’ex primo ministro Naftali Bennett, accusa il premier di isolare Israele in un momento di cambiamenti epocali. «Il Medio Oriente si trasforma, i nemici si rafforzano, e Netanyahu è paralizzato», ha scritto Bennett su X.

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