I giudici condannano lo Stato a pagare per il caso Diciotti

di Redazione ETI
7 Marzo 2025 16:19 Aggiornato: 7 Marzo 2025 16:19

Una sentenza storica delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, depositata ieri 6 marzo e resa pubblica oggi, ha segnato una svolta nella lunga vicenda della nave Diciotti, il caso che nell’agosto 2018 aveva visto 190 migranti trattenuti a bordo di una nave della Guardia Costiera italiana per ordine dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.

I supremi giudici hanno accolto il ricorso presentato da un gruppo di migranti, stabilendo che il Governo italiano dovrà risarcirli per i danni non patrimoniali subiti a causa della “illegittima privazione della libertà” durata dieci giorni, dal 16 al 25 agosto 2018. La quantificazione del danno è stata rinviata a un giudice di merito.

IL FATTO

Tutto inizia il 16 agosto 2018, quando la nave Ubaldo Diciotti della Guardia Costiera italiana soccorre 190 migranti al largo di Malta, in una zona di ricerca e soccorso maltese. Ai sensi del diritto internazionale marittimo (la Convenzione SAR) in casi simili si prevede un rapido sbarco in un luogo sicuro, e Malta, essendo più vicina, dovrebbe accogliere i naufraghi. Linea sposata in pieno da Matteo Salvini.

Tuttavia, Malta rifiuta di accogliere i migranti, sostenendo che questi esprimono la volontà di raggiungere l’Italia. L’allora ministro Salvini dispone a quel punto il divieto di approdo in Italia, lasciando la nave al largo di Lampedusa per cinque giorni.

Salvini giustifica la decisione anche come un atto di pressione sull’Ue per ottenere una redistribuzione dei migranti e come contrasto a un sistema di immigrazione irregolare, accusando le Ong – pur non direttamente coinvolte in questo caso – di dirigere le navi verso l’Italia per aggirare i blocchi degli altri Paesi Ue.

Il 20 agosto, la Diciotti attracca a Catania, ma i migranti restano bloccati a bordo per altri cinque giorni, fino al 25 agosto, quando lo sbarco viene autorizzato dopo negoziati con alcuni Stati Ue e la Chiesa italiana.

La vicenda scatena un dibattito: da un lato, si denunciano violazioni dei diritti umani; dall’altro, si loda la fermezza contro un’immigrazione ritenuta fuori controllo. Parallelamente, si apre una richiesta di autorizzazione a procedere contro Salvini per sequestro di persona – respinta dal Senato – e un’azione civile dei migranti per il risarcimento danni.

LA SENTENZA

Le Sezioni Unite chiariscono che il divieto di sbarco non si configura come un “atto politico” insindacabile, ma come un’azione amministrativa soggetta a controllo giurisdizionale. Secondo i giudici, l’obbligo di soccorso in mare, sancito da convenzioni internazionali e dal diritto marittimo italiano, prevale su norme o accordi bilaterali volti a contrastare l’immigrazione irregolare. La Corte sottolinea che il trattenimento dei migranti per dieci giorni, senza un provvedimento valido, viola l’articolo 13 della Costituzione italiana, che tutela la libertà personale.

Inoltre, i giudici introducono un principio non del tutto pacifico: il danno non patrimoniale può essere provato anche attraverso «presunzioni gravi, precise e concordanti», data l’evidenza fattuale della vicenda.

La Corte rinvia alla Corte d’Appello di Roma, la quantificazione del risarcimento. Le 41 cause civili pendenti, promosse dai migranti della Diciotti, chiedono danni tra i 42mila e i 71mila euro a persona.

LE REAZIONI

Giorgia Meloni definisce la decisione frustrante sui social, criticando l’uso dei «soldi dei cittadini italiani onesti» per risarcire «persone entrate illegalmente in Italia». Il presidente del Consiglio mette poi in discussione il principio della presunzione del danno, definendolo «assai opinabile» e accusando la Corte di allontanare i cittadini dalle istituzioni.

Matteo Salvini, oggi vice-presidente del Consiglio, definisce la sentenza«vergognosa» e «un’invasione di campo indebita».

Dall’opposizione, la segretaria del Pd Elly Schlein difende la sentenza e invita Meloni a «non attaccare i giudici per coprire i fallimenti del governo».

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