Roma ospita oggi il quinto round di colloqui indiretti sul nucleare tra Stati Uniti e Iran. I nuovi negoziati si tengono nel momento più critico delle relazioni tra Washington e Teheran dall’inizio delle trattative, a causa soprattutto delle tensioni legate al tema dell’arricchimento dell’uranio, sul quale l’inviato speciale Usa, Steve Witkoff, e la delegazione iraniana sono completamente in disaccordo.
Prima di partire per Roma, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha pubblicato un post su X, sottolineando che «capire il percorso verso un accordo non è scienza missilistica». «Zero armi nucleari = abbiamo un accordo. Zero arricchimento = non abbiamo un accordo. È ora di decidere», ha dichiarato Araghchi. In precedenza, Witkoff aveva annunciato in un’intervista all’emittente Abc la presenza di un’unica «linea rossa» per gli Stati Uniti: «Non possiamo permetterci che Teheran abbia nemmeno l’1 per cento di capacità di arricchimento». Le parole dell’inviato, per quanto dure, ribadivano la volontà degli Usa di arrivare a una soluzione, con Witkoff che si è detto ottimista circa l’esito della proposta consegnata dalla delegazione da lui guidata agli iraniani. Witkoff aveva addirittura aggiunto che «un accordo con gli iraniani potrebbe risultare più facile rispetto al raggiungimento della pace in Ucraina o a Gaza».
Una posizione duramente contestata dagli alti ranghi del governo iraniano, con il ministro Araghchi che aveva definito le parole dell’inviato Usa «completamente irrazionali e illogiche», aggiungendo inoltre che «l’arricchimento dell’uranio non è una questione negoziabile per noi». Le dichiarazioni di Araghchi sono state ribadite dalla guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, che proprio per questo motivo aveva dichiarato di «non credere che i negoziati indiretti in corso con gli Stati Uniti produrranno alcun risultato». «Il motivo per cui gli Stati Uniti insistono così tanto sui negoziati diretti è per affermare di essere riusciti a portare l’Iran al tavolo delle trattative con minacce, incentivi e trucchi», ha proseguito il leader. Inoltre, Khamenei ha criticato il divieto posto da Washington sull’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran. «Che gli statunitensi dicano ‘non permetteremo all’Iran di arricchire l’uranio’ è una totale assurdità. Non aspettiamo il permesso di nessuno. La Repubblica islamica ha determinate politiche e le perseguirà», ha concluso.
Più sfumate, invece, le affermazioni del portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, che aveva definito i colloqui indiretti «difficili», aggiungendo che parte della complessità deriva dal fatto che Washington «non aderisce ad alcuna norma diplomatica convenzionale». Baghaei si riferiva in particolare alle ripetute sanzioni che gli Stati Uniti hanno imposto, anche nel corso delle ultime settimane, a Teheran, giudicate dal portavoce una «prova della loro mancanza di serietà e buona volontà». A accendere ulteriormente la discussione, si è aggiunto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che al suo ritorno dal viaggio in Medio Oriente aveva annunciato dapprima l’invio di una proposta formale sul nucleare all’Iran, ma poi aveva aggiunto che il governo di Teheran «deve muoversi rapidamente, o accadrà qualcosa di brutto».
In una situazione di estrema tensione, le rivelazioni di fonti statunitensi all’emittente Cnn, secondo cui Israele si starebbe preparando a colpire gli impianti nucleari iraniani, creano ulteriori problemi ai negoziati di oggi. Un eventuale attacco israeliano contro la Repubblica islamica potrebbe rappresentare una rottura con Trump, hanno avvertito le fonti e rischierebbe di allargare ulteriormente il conflitto in Medio Oriente. «La possibilità di un attacco israeliano su un impianto nucleare iraniano è aumentata in modo significativo negli ultimi mesi», ha riferito una fonte che ha familiarità con l’intelligence statunitense sulla questione, aggiungendo: «La prospettiva di un accordo Usa-Iran negoziato da Trump che non rimuova tutto l’uranio iraniano rende più probabile la possibilità di un attacco».
Le crescenti preoccupazioni derivano non solo dai messaggi pubblici e privati di alti funzionari dello Stato ebraico, ma anche dalle comunicazioni intercettate e dalle osservazioni dei movimenti militari israeliani che potrebbero suggerire un attacco imminente, secondo quanto riferito da fonti vicine all’intelligence citate da Cnn. «In fin dei conti, il processo decisionale israeliano si baserà sulle azioni politiche degli Stati Uniti e su quali accordi stipulerà o meno il presidente Trump con l’Iran», ha affermato Jonathan Panikoff, ex alto funzionario dell’intelligence specializzato nella regione, che ha aggiunto di non credere che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sia disposto a rischiare di compromettere interamente le relazioni con Washington lanciando un attacco senza almeno la tacita approvazione degli Stati Uniti. Lo stesso Netanyahu, in una conferenza stampa tenuta mercoledì, aveva però tentato di riportare la situazione alla tranquillità, annunciando di «sperare che le due parti possano raggiungere un accordo» che impedisca a Teheran «di avere armi nucleari e la capacità di arricchire l’uranio. Se questo si realizzerà, ovviamente lo accoglieremo con favore. Nonostante ciò, l’Iran rimane una grande minaccia».
Il ministro Araghchi ha risposto duramente alle indiscrezioni di Cnn, inviando una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e al direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, in cui preannunciava che, in caso di un attacco agli impianti nucleari iraniani da parte di Israele, «anche il governo degli Stati Uniti sarebbe coinvolto e ne assumerebbe la responsabilità legale». «Nel caso in cui tali minacce dovessero persistere, saremo costretti ad adottare misure speciali per proteggere i nostri impianti e materiali nucleari», ha evidenziato.
La soluzione a questo dibattito potrebbe essere lo sviluppo di un consorzio congiunto per l’arricchimento dell’uranio che coinvolga Paesi arabi della regione e investimenti statunitensi. La proposta, inizialmente riportata da fonti iraniane al quotidiano “New York Times” e poi confermata anche da funzionari statunitensi, sarebbe già stata discussa durante il quarto ciclo di colloqui dell’11 maggio in Oman. In questo caso, il problema è legato ai rapporti diplomatici, non ottimali, tra l’Iran e due suoi principali rivali regionali, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che dovrebbero essere «costretti» a partecipare al progetto. Inoltre – aggiunge New York Times – le aziende statunitensi potrebbero essere riluttanti a investire in reattori iraniani, considerando che Iran e Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche da 45 anni.