Che fine ha fatto il tesoro miliardario di Gheddafi?

di Redazione ETI/Darren Taylor
27 Maggio 2025 15:07 Aggiornato: 27 Maggio 2025 19:38
Secondo fonti dell’intelligence e investigatori finanziari, miliardi di dollari sottratti dal defunto dittatore libico Muammar Gheddafi sono nascosti in alcuni conti bancari clandestini e caveau segreti negli Stati Uniti e in due Paesi dell’Africa meridionale. La notizia è stata riportata per la prima volta il 9 maggio dalla rivista online Africa Confidential. L’Ufficio per il recupero dei beni e la gestione patrimoniale della Libia ha rivelato che almeno 50 miliardi di dollari, derivanti dai proventi petroliferi depredati dal “Colonnello” Gheddafi tra il 1994 e la sua uccisione nel 2011, sarebbero stati investiti in strumenti di debito quali buoni del tesoro attraverso società di facciata, prestanome e banche, che avrebbero fatto transitare il denaro attraverso l’Europa fino agli Stati Uniti.

Alcuni agenti dell’intelligence e un ex alto funzionario del governo di Pretoria hanno riferito a The Epoch Times Usa che 20 miliardi di dollari sottratti da Gheddafi sono distribuiti in diverse banche sudafricane. E altri 30 milioni di dollari in contanti, trasferiti da Gheddafi in Sudafrica nei mesi precedenti la sua esecuzione da parte dei ribelli, sarebbero ora nascosti in Eswatini, il piccolo regno confinante con il Sudafrica (l’ex Swaziland), ultima monarchia assoluta del continente.

A capo della ricerca dei fondi pubblici libici scomparsi c’è Mohammed al-Mensli, direttore generale dell’Ufficio per il recupero dei beni e la gestione patrimoniale, che ha confermato che centinaia di miliardi di dollari sono stati rubati durante il regime militare di Gheddafi, che aveva preso il potere in Libia con un colpo di Stato nel 1969, prendendo la carica di  presidente del Consiglio del comando rivoluzionario e “Fratello Guida” della Grande Jamahiriya araba libica popolare socialista. Gheddafi veniva venerato da nazionalisti di sinistra africani come un rivoluzionario anti-occidentale, anti-colonialista e anti-israeliano. Il regime di Gheddafi imprigionava, torturava e assassinava gli oppositori politici, instaurando stretti legami con organizzazioni terroristiche. Nel 2003, aveva persino riconosciuto  la responsabilità per l’attentato al volo Pan Am 103 nei cieli di Lockerbie, in Scozia, nel 1988 (che aveva ucciso 259 persone) versando quasi 3 miliardi di dollari in risarcimenti alle famiglie delle vittime. Le informazioni raccolte nel corso della recente indagine saranno utilizzate dal governo di Tripoli, ora guidato dal primo ministro Abdel Hamid Dubaiba, per recuperare i fondi pubblici rubati e depositati in conti fruttiferi da Gheddafi; fondi che dovrebbero essere impiegati nella ricostruzione della Libia, precipitata in una guerra civile nel 2014 fino al cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite nell’ottobre 2020.

LE REAZIONI COL SUDAFRICA

Le notizie sull’indagine di al-Mensli hanno suscitato grande interesse in Sudafrica, dove Gheddafi finanziava segretamente l’African National Congress, il partito salito al potere con Nelson Mandela nel 1994, dopo decenni di regime di apartheid. Uno dei più ferventi ammiratori di Gheddafi era l’ex leader dell’Anc e presidente sudafricano Jacob Zuma, attualmente sotto processo per corruzione e accusato di aver sottratto centinaia di milioni di rand durante il suo mandato. Nel 2022, una commissione d’inchiesta ha accusato Zuma e alcuni collaboratori dell’Anc di aver rubato fino a 500 milioni di rand (circa 30 milioni di dollari odierni) da istituzioni pubbliche tra il 2009 e il 2018. Zuma, ex capo dell’intelligence dell’ala armata dell’African National Congress, Umkhonto we Sizwe (addestrato dal Partito comunista cinese e prima dai sovietici) nega ogni addebito.

Nei mesi precedenti la destituzione e l’uccisione di Gheddafi, Zuma e il leader libico si sono incontrati più volte. Inizialmente, secondo Mathews Phosa, ex consigliere di Zuma e tesoriere dell’Anc, l’obiettivo del presidente sudafricano era convincere Gheddafi a cedere volontariamente il potere per «facilitare una transizione democratica pacifica» in Libia. Ma dopo un incontro con Gheddafi nell’aprile 2011, sei mesi prima della sua morte per mano dei ribelli, Zuma «cambiò inspiegabilmente approccio» ha raccontato Phosa a Et Usa: «improvvisamente iniziò a insistere che il Colonnello Gheddafi rimanesse al potere». Dettagli simili sono riportati nell’autobiografia di Phosa, “Testimone del potere”, pubblicata nel novembre 2024. E Mathews Phosa è una specie di miniera d’oro di informazioni sulla fine del dittatore libico: «A partire dal 2009, quando Gheddafi iniziò a temere di essere deposto, accompagnai il presidente Zuma a numerosi incontri in una tenda di lusso vicino a Tripoli – ha detto Phosa – il colonnello promise di donare ingenti somme di denaro all’Anc e di firmare contratti militari con gli associati di Zuma». Gli incontri si tenevano coperti dal pretesto della presidenza di Gheddafi dell’Unione Africana, tra il 2009 e il 2010. Dopo lo scoppio della guerra civile in Libia nel febbraio 2011, Phosa e Zuma avevano incontrato anche i leader ribelli per tentare di mediare la pace ma, dice Phosa: «quei leader mi dissero che non avrebbero più collaborato con Zuma perché li aveva traditi schierandosi con Gheddafi».

Due agenti sudafricani in servizio e uno in pensione, hanno riferito a Et Usa che Zuma aveva incontrato Gheddafi pochi mesi prima dell’esecuzione del dittatore a Sirte, il 20 ottobre 2011: «Il presidente Zuma si offrì di portare il colonnello Gheddafi in salvo in Sudafrica, perché le truppe ribelli incalzavano» ma «Gheddafi rifiutò», dicendo che voleva morire nel proprio Paese e chiedendo di dare i soldi ai suoi familiari. Ma nei mesi successivi, sempre secondo le fonti, «numerosi voli» trasportarono «casse di dollari, oro e diamanti» in diverse località del Sudafrica, inclusa una base militare vicino a Pretoria: «da lì il bottino era stato poi trasferito nella residenza di Zuma e nascosto in un luogo sotterraneo […] In seguito, quando la situazione si era fatta complicata per Zuma, ho sentito che il denaro e altri beni erano stati spostati in Swaziland, sotto la custodia del re Mswati». I portavoce di Zuma e Mswati hanno negato di essere a conoscenza di denaro o beni libici.

Il giornalista investigativo sudafricano Jovial Rantao aveva già pubblicato informazioni simili: nel 2014, sul Sunday Independent, scriveva di aver avuto accesso a documenti governativi riservati che descrivono in dettaglio i «miliardi» scomparsi dalla Libia e, secondo tali documenti, circa 30 milioni di dollari in contanti, centinaia di tonnellate d’oro e circa 6 milioni di carati di diamanti sarebbero stati trasportati da Tripoli al Sudafrica con più di 60 voli: «Quello che potrebbe essere il più grande accumulo di contanti al mondo, è immagazzinato in vari bancali in sette depositi e bunker pesantemente sorvegliati in diverse località segrete tra Johannesburg e Pretoria» aveva scritto il giornalista sudafricano, aggiungendo che il tesoro di Gheddafi era protetto da ex militari delle forze speciali dell’era dell’apartheid. Oltre a questo tesoro, 260 miliardi di rand (circa 14 miliardi e mezzo di dollari) sarebbero stati depositati in quattro banche commerciali sudafricane.

Nell’aprile 2019, il Sunday Times sudafricano riportava che il re Mswati aveva confermato al presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, che Zuma aveva trasportato 30 milioni di dollari nel suo Paese. Il portavoce del presidente non ha rilasciato commenti su incontri tra Ramaphosa stesso e Mswati.

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