La conquista dell’Africa, una parte fondamentale dei piani segreti di Pechino

Di Darren Taylor

JOHANNESBURG, Sud Africa – L’influenza della Cina nella vita di 1,5 miliardi di persone in Africa è ormai così ampia da estendersi a quasi tutti gli aspetti delle società africane.

L’impronta del regime comunista è impressa in tutto il continente in quasi tutti i settori economici, tra cui l’agricoltura, le risorse naturali, il commercio e la logistica. Le aziende cinesi investono profondamente nel settore manifatturiero, nei servizi e nel settore immobiliare.

La Cina ora controlla circa il 12% della produzione industriale africana, circa 500 miliardi di dollari all’anno. Secondo una ricerca del Policy Center for the New South, le aziende cinesi hanno conquistato quasi il 50% del mercato edilizio africano.

Il Partito Comunista Cinese (Pcc) iniziò a consolidare i legami con l’Africa negli anni ’50, fornendo ai movimenti di liberazione del continente armi, denaro ed «educazione politica» e militare.

Sfruttando questa narrazione, la Cina ha potuto poi lanciarsi nelle economie dell’Africa moderna. Molti dei leader africani di oggi si sono formati in Cina, oppure lo hanno fatto i loro padri.

Il desiderio della Cina di estrarre minerali spesso la costringe a consolidare i legami con i regimi autoritari africani. Nello Zimbabwe, dove il governo Zanu-Pf è accusato di corruzione e di uccisione dei suoi oppositori, la Cina possiede molte delle miniere di metalli preziosi e minerali.

Il Pcc si sta inoltre affermando come una presenza militare significativa in Africa, tenendo regolari esercitazioni di addestramento con gli eserciti e le marine continentali.

Nell’agosto 2023, in quasi tutte le nazioni africane è stato celebrato il 96° anniversario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese (Pla).

La Cina ha fondato 61 Istituti Confucio in 46 Paesi africani, centri educativi progettati per contrastare gli ideali occidentali di democrazia e promuovere la cultura e la lingua cinese in Africa.

Pechino ha costruito una «Scuola di Leadership» in Tanzania, dove i funzionari del partito istruiscono i leader africani su modalità di governo antidemocratiche.

«La Cina considera l’istruzione e la formazione del personale militare straniero come un’opportunità per promuovere il modello di governance cinese per sviluppare relazioni più strette con eserciti e governi stranieri e per costruire una comprensione condivisa della sicurezza», ha spiegato a Epoch Times, Paul Nantulya, ricercatore associato presso l’Africa Center for Strategic Studies.

«Molti ex-alunni di questi programmi ricoprono ruoli di primo piano negli eserciti e nei governi dei loro Paesi. Ogni anno migliaia di ufficiali africani partecipano a tali corsi di formazione».

Il regime di Xi Jinping sta incoraggiando alcune delle principali economie africane, tra cui Sudafrica, Nigeria ed Etiopia, a de-dollarizzarsi, cioè liberarsi dal dollaro degli Stati Uniti come valuta commerciale e iniziare a utilizzare la valuta cinese.

I massicci progetti infrastrutturali della Cina in Africa negli ultimi due decenni, mediante la sua Belt-and-Road Initiative (Bri), hanno aiutato il Paese ad accedere ai minerali delle terre rare che hanno guidato la sua crescita economica.

La Cina ha iniziato a investire in Africa nel 2013, quando Xi ha presentato la Bri

Il leader del Pcc l’ha presentata come un programma volto allo sviluppo dei Paesi poveri, principalmente attraverso la costruzione di strade, ferrovie, porti e altre importanti infrastrutture.

Tuttavia, molti analisti di politica estera vedono la Bri come il tentativo della Cina di ottenere influenza politica ed economica su 150 nazioni in via di sviluppo, molte in Africa, e l’accesso alla ricchezza e alle risorse.

La Cina ha fatto grandi investimenti nelle industrie minerarie e di estrazione mineraria africane, soprattutto in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), Ghana, Namibia, Nigeria, Sud Africa e Zambia.

Chris Maroleng, analista di affari internazionali presso Good Governance Africa, un’organizzazione no-profit di Johannesburg, ha affermato che il più grande successo ottenuto finora dalla Cina in Africa è stato quello di affermarsi come un «gigante minerario» nel continente e di garantire l’accesso a metalli e minerali critici che saranno sempre più necessari e meno disponibili in futuro: «Non importa quello che dici sulla Cina, su tutte le sue violazioni dei diritti umani e sui modi repressivi del Pcc: lei [la Cina, ndr] e solo lei ha avuto la visione di riconoscere, molto prima di chiunque altro, quanto importante sarà l’Africa per il mondo in futuro».

Maroleng spiega che il lavoro degli Stati Uniti in Africa si è in gran parte concentrato sulla lotta all’Aids e sull’antiterrorismo. Sebbene gli africani fossero grati per questo, erano «più grati per il rispetto» mostrato loro dai cinesi. «Pechino vedeva i Paesi africani e, naturalmente, le élite dominanti di quei Paesi, come veri partner per lo sviluppo. Mentre gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali predicavano la democrazia e i diritti umani, Pechino diceva: ‘Vogliamo collaborare con voi e vogliamo che ci vendiate i vostri minerali e non ci interessa come gestite i vostri Paesi; non sono affari nostri’».

La ricerca di minerali

A differenza delle aziende occidentali, la Cina ha investito nelle industrie africane dei metalli e dei minerali nonostante l’instabilità politica, i conflitti e la corruzione che si diffondono in gran parte del continente.

Dalla metà degli anni 2000 fino a circa cinque anni fa, molte multinazionali minerarie hanno venduto i loro interessi in Africa alla Cina.

Nel 2016, diverse aziende americane non sono riuscite a mantenere le loro miniere di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). La Cina si è mossa rapidamente per accaparrarseli, per aumentare ulteriormente la sua presenza in una delle regioni più ricche di minerali del mondo.

La palla ha cominciato a girare quando la società statunitense Freeport-McMoRan ha accettato 2,65 miliardi di dollari dalla China Molybdenum per una partecipazione di controllo in Tenke Fungurume, un’enorme miniera di rame e cobalto vicino a Kolwezi, nel sud della Rdc.

China Molybdenum ha acquistato un’altra quota per 1,14 miliardi di dollari nel 2019.

Ciò significa che il più grande nemico geopolitico degli Stati Uniti ha esercitato il controllo quasi totale di uno dei minerali strategici più importanti del mondo.

L’analisi scientifica ha stabilito che la Rdc è il Paese più ricco del mondo in termini di risorse naturali, con depositi non sfruttati di minerali grezzi stimati per un valore di oltre 24 mila miliardi di dollari.

Secondo Benchmark Mineral Intelligence, la Rdc produce tre quarti del cobalto mondiale. Lo United States Geological Survey (Usgs), un ufficio scientifico del Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti, afferma che il cobalto è un metallo utilizzato in «numerose e diverse applicazioni commerciali, industriali e militari, molte delle quali sono strategiche e critiche».

L’uso principale del cobalto è negli elettrodi delle batterie ricaricabili e il metallo è indispensabile per la produzione di batterie per veicoli elettrici.

Secondo i progetti della Global Battery Alliance del World Economic Forum, la domanda di cobalto da utilizzare nelle batterie aumenterà di quattro volte entro il 2030 a seguito dell’aumento dei veicoli elettrici.

Il cobalto è diventato essenziale anche nella produzione di computer e cellulari.

L’Usgs afferma che è utilizzato anche nelle «superleghe» e negli «acciai rapidi», i metalli spesso utilizzati nelle parti dei veicoli, nei moderni sistemi d’arma e nei motori a turbina a gas.

Secondo alcuni fisici, in futuro il cobalto potrebbe essere quello di venire utilizzato per realizzare «bombe nucleari sporche», poiché il minerale è eccellente nell’emettere raggi gamma.

Una ricerca pubblicata nel 2020 da Andrew Gulley, della sezione di ricerca sull’intelligence dei minerali dell’Usgs a Reston, in Virginia, ha rilevato che la maggior parte della produzione artigianale di cobalto veniva lavorata nella Rdc da aziende cinesi o esportata in Cina: «Dal 2000 al 2020, la domanda di cobalto per la produzione di batterie è cresciuta di 26 volte. L’82% di questa crescita è avvenuta in Cina e la produzione cinese della raffineria di cobalto è aumentata di 78 volte», ha scritto Gulley nell’abstract. «La diminuzione della produzione industriale delle miniere di cobalto nella prima metà degli anni 2000 ha portato molte aziende cinesi ad acquistare minerali da minatori artigianali di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), molti dei quali sono risultati essere bambini».

Durante un recente webinar del Consiglio Atlantico, Shirley Hargis, membro non residente del Digital Forensic Research Lab del Consiglio, ha affermato che il fallimento degli Stati Uniti nel mantenere la propria partecipazione nel settore del cobalto ha causato la perdita di «decenni di investimenti finanziari e diplomatici nel settore del cobalto della Rdc».

La Cina ora possiede la maggior parte delle grandi miniere industriali di cobalto della Rdc: «La domanda di metalli e minerali come il cobalto è alle stelle e ovviamente Cina e Russia sorridono. Hanno accesso illimitato ai minerali e alla manodopera a basso costo. Hanno influenza politica su molti governi africani. Ci sono enormi problemi di governance in Africa. Usano tutto questo a loro vantaggio».

Mosca ha impiegato migliaia di mercenari in tutto il continente per proteggere le risorse minerarie, comprese le operazioni minerarie illegali.

Il caso della Rdc, ha affermato Toby Shapshak, un altro esperto tecnologico sudafricano, evidenzia «decenni di abbandono da parte degli Stati Uniti» dell’importanza dell’Africa e dei suoi minerali. «L’amministrazione Biden si è resa conto di quanto si sia trattato di un enorme errore strategico e sta cercando di correggere le cose e di fare forti aperture verso l’Africa. Ma potrebbe essere troppo tardi perché gran parte dell’Africa sembra già dedicata a Pechino e Mosca. Gli Stati Uniti stanno giocando un disperato gioco di recupero».

La strategia degli Stati Uniti  verso l’Africa subsahariana, pubblicata dal presidente Joe Biden nell’agosto 2022, riconosceva che il continente disponeva dei minerali necessari per alimentare il mondo moderno.

Intervenendo durante il webinar dell’Atlantic Council, Nii Simmonds, membro senior del GeoTech Center di Washington, ha dichiarato: «La prossima rivoluzione industriale sarà basata sui minerali critici e delle terre rare. Molti di questi minerali, come il coltan, sono materiali strategici, perché la maggior parte delle tecnologie moderne sono legate alla difesa. Le tecnologie attuali come i satelliti, i semiconduttori, le fibre ottiche, le apparecchiature per la Tac, le batterie dei veicoli elettrici e gli smartphone non esisterebbero senza questi minerali. E queste tecnologie non esisterebbero nei numeri di oggi senza Paesi come la Rdc, il Sudafrica, lo Zimbabwe, il Ghana, la Nigeria e la Namibia».

La Hargis ha affermato che i semiconduttori e i prodotti di memoria flash sono diventati «essenziali per la moderna tecnologia civile e di difesa», alimentando qualsiasi cosa, dagli «smartphone alle auto a guida autonoma, e la loro importanza cresce ogni giorno».

Nel webinar ha utilizzato l’esempio del nuovo caccia stealth F-35 Lightning degli Stati Uniti, che contiene semiconduttori e chip di memoria flash: «L’aereo da caccia ha effettivamente bisogno di un’enorme quantità di materiali strategici. Una volta che il calcolo quantistico sarà online, richiederà anche notevoli quantità di oro e altri minerali critici».

Semiconduttori e computer quantistici possono essere prodotti solo con minerali critici e terre rare, presenti in grandi quantità in Africa. «Stiamo parlando di minerali come cerio, scandio e lantanio. Nessuno ne ha sentito parlare, ma sono diventati essenziali nel mondo moderno», ha affermato Shapshak. «Sono tutti utilizzati nei computer, nelle smart Tv, nelle armi da guerra di alta qualità, nei veicoli elettrici, nei sistemi di energia pulita, nei sistemi di comunicazione».

«Togliete questi minerali e farete collassare la maggior parte delle catene di fornitura dell’elettronica di consumo».

La Cina attualmente ha un «quasi monopolio» su questi materiali critici, possedendone il 90% del mercato globale; e molti di questi materiali li importa dall’Africa: «La Cina, e in misura minore la Russia, prendono questi minerali grezzi dall’Africa e li trasformano, il che significa che il mondo deve accedervi mediante la Cina e la Russia in molti casi».

Questo monopolio potrebbe facilmente interrompere le catene di fornitura globali di semiconduttori e veicoli elettrici in futuro.

Una recente ricerca del Center for Strategic and International Studies di Washington si è concentrata sulle prospettive per gli Stati Uniti di  impegnarsi maggiormente nei settori minerari africani: «Il futuro dei semiconduttori, delle memorie flash e dei veicoli elettrici richiede un accesso sicuro e coerente a questi minerali. La creazione di risorse alternative economicamente sostenibili, come quelle africane, diversificherà le catene di approvvigionamento globali riducendo al contempo la dipendenza da una nazione o regione».

«Il continente detiene circa l’85% del manganese mondiale, l’80% del platino e del cromo mondiale, il 47% del cobalto, il 21% della grafite e il 6% del rame».

La Hargis ha affermato che per garantire risorse vitali alle catene di approvvigionamento occidentali e agli sforzi di sicurezza nazionale, gli Stati Uniti dovrebbero «incentivare e rafforzare i partenariati collaborativi del settore privato con i Paesi africani che condividono i valori democratici e dello Stato di diritto».

Ma secondo Sizwe Mpofu-Walsh, docente di relazioni internazionali alla Wits University di Johannesburg se gli Stati Uniti dovessero insistere nel fare affari solo con i Paesi africani che condividono questi valori, «si chiuderebbero un sacco di porte. La Rdc ad esempio, non è certamente la ‘Repubblica Democratica’ del Congo. Lo Zimbabwe, un Paese ricco di molti dei minerali di cui il mondo ha bisogno, è soggetto a sanzioni statunitensi perché il regime [del presidente Emmerson, ndr] Mnangagwa è colpevole di tanta corruzione e violazioni dei diritti umani. L’elenco dei Paesi africani ricchi di minerali e che condividono la versione americana di democrazia e Stato di diritto è breve».

Tuttavia, gli Stati Uniti stanno facendo progressi nel garantire l’accesso alle riserve africane di minerali delle terre rare, in particolare attraverso il Lobito Corridor Project di Washington.

La futura ferrovia di 1.000 miglia (1600 km) attraverserà l’Angola, la Repubblica Democratica del Congo e lo Zambia nordoccidentale.

«È chiaro che gli Stati Uniti hanno deciso di costruire la ferrovia per il più grande porto dell’Angola sull’Atlantico perché è bloccato in concorrenza con la Cina per i minerali delle terre rare africane», ha affermato Candice Moore, specialista in relazioni Usa-Africa presso la Wits University di New York. Johannesburg. «Naturalmente, gli Stati Uniti stanno anche cercando di conquistare i cuori e le menti dell’Africa, e il progetto aiuta anche su questo fronte, perché stimolerà la crescita, il commercio e gli investimenti in una parte strategicamente molto significativa dell’Africa, per non parlare del creare migliaia di posti di lavoro per la gente del posto».

Simmonds ha spiegato che invece di esportare materiali critici in Cina, i Paesi africani potrebbero utilizzare queste leggi per sostenere lo sviluppo della propria legislazione, quadro normativo e reti di ecosistemi di fornitori necessari per lavorare i propri minerali e metalli. L’amministrazione Biden ha compiuto alcuni passi significativi per coinvolgere nuovamente i Paesi africani, usando l’esempio del sostegno finanziario del governo degli Stati Uniti per una fabbrica critica di lavorazione dei minerali in Tanzania.

La Hargis ha esortato i politici occidentali a sostenere le loro multinazionali nel promuovere la crescita in Africa concentrandosi su produzione, progettazione di chip, controllo di qualità e ricerca e sviluppo. «Possono creare incentivi per le aziende statunitensi e di altre aziende occidentali per estendere le catene di fornitura di semiconduttori, memorie flash o veicoli elettrici ai Paesi africani». Sono già stati compiuti progressi su questo fronte: Google ha un laboratorio di ricerca e sviluppo in Ghana; Microsoft ne ha due in Kenya e Nigeria e Ibm ne ha due in Kenya e Sud Africa.

L’esercito cinese e i modelli politici in Africa

Nel tentativo di diventare ancora più forte in Africa, il regime cinese sta istituendo «scuole di formazione politica per i leader africani presenti e futuri» in tutto il continente, con funzionari del Pcc che insegnano che i partiti al potere dovrebbero essere superiori ai governi e ai tribunali.

Il primo di questi, e il primo ad essere costruito dal Pcc su suolo straniero, è stato fondato nel 2022 a Kibaha, nella Tanzania orientale.

La  Mwalimu Julius Nyerere Leadership School prende il nome dal primo presidente postcoloniale della Tanzania.

L’organizzazione politica fondata da Nyerere nel 1977, il Partito della Rivoluzione, o Chama Cha Mapinduzi (Ccm), e il suo predecessore, l’Unione Nazionale Africana del Tanganica, hanno governato la Tanzania senza interruzioni dall’indipendenza del Paese 62 anni fa.

I candidati presidenziali del Ccm vincono sempre le elezioni in maniera schiacciante e attualmente il 94% dei membri del parlamento sono membri del Ccm.

La Nyerere Leadership School è stata finanziata con denaro statale cinese. Ma, sul suo sito web, l’istituzione, che si definisce una «moderna scuola di partito», afferma di essere stata «istituita congiuntamente» dagli ex movimenti di liberazione dell’Africa meridionale (Flmsa).

Si tratta del Ccm, l’African National Congress (Anc) del Sud Africa, del Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo), del Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (MPla), dell’Organizzazione popolare dell’Africa sudoccidentale (SWApO), che governa la Namibia, e del Fronte patriottico dell’Unione nazionale africana dello Zimbabwe (Zanu-Pf).

Questi partiti hanno governato i rispettivi Paesi per decenni, il loro governo spesso è stato rafforzato attraverso la corruzione, elezioni fraudolente e la violenta repressione dell’opposizione.

«Il governo cinese ha ovviamente scelto questi Paesi come partner per la sua prima cosiddetta scuola di leadership in Africa perché tutti mostrano caratteristiche di Stati autocratici, con partiti al potere che sono al potere da molto tempo», ha spiegato Cobus van Staden, co-fondatore del China Global South Project a Johannesburg. «I partiti al potere di questi Paesi si identificano fortemente con la Cina. Come il Pcc, queste élite al potere mantengono uno stretto controllo sulle agenzie di sicurezza. Centralizzano tutto il potere nello Stato, con poca o nessuna voglia di controllo indipendente. Questi sono tutti Paesi che in passato erano governati da regimi coloniali bianchi o di apartheid. Quindi questa scuola, come i 61 Istituti Confucio in Cina in 46 Paesi africani, è progettata per contrastare gli ideali occidentali di democrazia e per promuovere la cultura e la lingua cinese in Africa».

«Quando istituisce queste istituzioni, la Cina dice indirettamente agli africani: ‘Perché dovreste seguire quello che l’Occidente razzista ritiene essere il modo migliore di governare in politica? Perché dovresti parlare solo inglese e francese, le lingue dei colonizzatori, quando puoi parlare anche il cinese, che è la lingua del futuro?’».

Nantulya ha affermato che gli Istituti Confucio sono tentativi «più subdoli» di Pechino di acquisire influenza in Africa, ma che il Pcc «alla fine» li controlla. «Gli Istituti Confucio vengono istituiti attraverso partenariati tra università cinesi, università del Paese ospitante e Hanban. L’Hanban è un’agenzia del ministero cinese dell’Istruzione ed è affiliata al Pcc. Il suo obiettivo ufficiale è quello di promuovere la lingua e la cultura cinese. Gli Istituti Confucio hanno sede nelle università africane, ma sono finanziati e controllati dall’Hanban».

Van Staden ha affermato che gli Istituti Confucio e la Scuola Nyerere dimostrano che la Cina è disposta a «giocare a lungo termine per costruire influenza» in Africa: «Sono sicuro che la scuola in Tanzania non sarà l’ultima del suo genere in Africa».

Il professor Ibbo Mandaza, un rinomato accademico dell’Africa meridionale e membro del Foreign Policy Research Institute di Filadelfia, ha dichiarato a Epoch Times che la scuola è «una prova lampante» che Pechino sta esportando il suo modello di governance. «Fa parte del suo sforzo di sfidare l’ordine mondiale guidato dall’Occidente, per stabilire un Nuovo Ordine Mondiale, e una parte fondamentale di questo Nuovo Ordine in futuro sarà un blocco politico in Africa che chiuda un occhio sull’autoritarismo o sia autoritario lui stesso».

In un’intervista con Epoch Times, la preside della Nyerere School, Marcellina Chijoriga, che è anche un membro di spicco del Ccm, ha affermato che l’istituzione «ha al centro la promozione dello sviluppo economico e sociale dell’Africa e la fine della povertà». «Il modo migliore per farlo è formare leader migliori».

Collin Ngujapeua, un funzionario del partito SWApO al potere in Namibia, che ha partecipato a un «corso di formazione» presso la Nyerere School nel 2023, ha detto a Epoch Times che «questi insegnanti cinesi sono arrivati; hanno affermato di essere esperti di teoria politica della Scuola Centrale del Partito del Pcc a Pechino. Nel corso di alcuni giorni ci hanno raccontato come governano e perché la Cina come Stato ha così tanto successo.

«Fondamentalmente il loro messaggio era che il vero sviluppo di un Paese può avvenire solo quando il partito al governo ha il controllo assoluto su tutto, e che solo un’estrema disciplina all’interno del partito può impedire agli esterni di causare il collasso delle cose».

Ngujapeua ha affermato che i «teorici cinesi» hanno spiegato che «la governance avrà successo solo se i partiti al potere e i governi saranno la stessa cosa e parleranno con una sola voce».

Van Staden ha affermato che il principio fondante del Pcc è «il controllo assoluto del governo da parte del partito».

«La Cina non vuole assolutamente la democrazia multipartitica in Africa. I cinesi vogliono la stabilità che si ottiene facendo affari con un unico partito, per sempre. A loro non piace tutto ciò che sconvolge il carrello delle mele. Il Pcc vuole l’autocrazia in Africa. Vuole di fatto un governo a partito unico in Africa perché ciò rende molto più facile per lui raggiungere i suoi obiettivi in ​​Africa».

Mandaza ha affermato: «Quale modo migliore per i cinesi di avere accesso alle vaste ricchezze minerarie dell’Africa se non quello di avere regimi che siano totalmente dalla stessa parte del Pcc? Che sono strettamente legati al Pcc?».

Secondo la Chijoriga, la scuola di Kibaha è aperta solo agli «aspiranti [membri, ndr], solitamente giovani» dei partiti al potere africani. «Il fatto che i politici dell’opposizione non siano ammessi nella struttura dice tutto su quello che sta succedendo qui: preparare i futuri leader politici ad essere alleati di Pechino e nemici dell’Occidente».

La Chijoriga nega che l’istituzione «sta insegnando ai dittatori di domani» e che fosse un «portavoce della propaganda cinese». «È innegabile che il modello di sviluppo della Cina abbia avuto successo negli ultimi 20 anni e più. L’Africa non è l’unica ad imparare dalla Cina, lo sta facendo tutto il mondo. Il successo economico della Cina è dovuto alla forte leadership del Pcc. Dobbiamo seguire quella mappa».

Alla domanda sul perché nella sua scuola fossero iscritti solo membri delle élite al potere ed esclusi membri dei partiti di opposizione, la Chijoriga ha affermato che i partiti di opposizione africani sono «contro» la Cina e «pro-Occidente».

«Perché dobbiamo accettare questi disgregatori nella nostra scuola?» ha replicato. «Causeranno solo guai».

Nantulya ha affermato che lo scopo della cooperazione del regime cinese con gli ex movimenti di liberazione dell’Africa «non è mai stato un segreto». «Insieme al Pcc, questi partiti al potere rappresentano un fronte unito. Questo fronte unito è una strategia del Pcc che raccoglie sostegno in tutto il mondo per promuovere gli interessi del Pcc e della Cina e per isolare i presunti nemici».

«Quindi ciò che la Cina sta facendo, lentamente ma inesorabilmente nel continente con le sue strutture educative, è creare un gruppo di africani che siano d’accordo con il modo di fare del Pcc quando si tratta di governance politica. Ciò a sua volta aprirà un fronte redditizio per la Cina nell’Africa del futuro».

Mandaza ha affermato che nella corsa per l’accesso alle risorse dell’Africa, che comprendono minerali essenziali per la funzionalità dei moderni dispositivi elettronici, veicoli elettrici e sistemi d’arma, la Cina sta facendo «tutto il possibile» per conquistare i cuori e le menti dei giovani Africani. «L’idea a lungo termine è che gli africani istruiti guarderanno alla Cina piuttosto che all’Europa e all’America per la leadership, i progetti per lo sviluppo sociale, economico e politico e la motivazione intellettuale».

Mandaza ha aggiunto che questo approccio è, di per sé, un modello coloniale. «Il colonialismo non è mai stato solo una questione di stranieri che semplicemente rubavano la terra per ottenere oro, diamanti, carbone o altro. Riguardava anche l’indottrinamento sistematico e sistemico delle popolazioni indigene, e in particolare dei loro leader, affinché i colonizzatori raggiungessero il dominio e lo sfruttamento culturale».

Oggi, la bandiera del Pcc sventola nella brezza insieme a quelle degli ex movimenti di liberazione dell’Africa all’ingresso della scuola di Kibaha. «Quella bandiera è lì per diversi scopi», ha detto Mandaza. «Uno di questi scopi è simbolico, per simboleggiare la cooperazione della Cina con l’Africa. Ma gli africani dovrebbero ricordare che anche i loro ex colonizzatori amavano piantare bandiere straniere in tutto il continente e costruire edifici fantasiosi».

L’espansione dell’impronta militare della Cina

L’espansione della Cina in Africa negli ultimi anni è stata caratterizzata anche da una maggiore cooperazione militare con i Paesi del continente.

L’esercito del Pcc sta addestrando migliaia di soldati e ufficiali africani e vuole costruire una seconda base in Africa.

Analisti e operatori per i diritti umani temono che la Cina stia spingendo gli ufficiali militari a reprimere il dissenso interno e persino a condurre colpi di Stato contro governi percepiti come «troppo vicini all’Occidente».

Altri non hanno problemi con il crescente impegno militare della Cina in Africa.

«Perché è un problema quando la Cina addestra le forze di sicurezza africane, ma non è un problema quando l’America o il Regno Unito fanno lo stesso?» si è chiesto Lindiwe Makhulu, analista politico indipendente con sede a Johannesburg. «Gli Stati Uniti hanno 20 basi in tutta l’Africa; per quanto ne so, la Cina ne ha solo una».

Washington infatti ha avuto una presenza di sicurezza in Africa per decenni, espandendo significativamente la sua impronta militare dopo che il presidente George W. Bush ha dichiarato una «Guerra al terrorismo» in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre nel 2001.

Nel marzo 2023, il generale Michael Langley, capo dell’Africa Command (Africom) degli Stati Uniti, ha dichiarato al Congresso che c’erano solo due «siti operativi avanzati» statunitensi «durevoli» in Africa: Camp Lemonnier a Gibuti e un «hub logistico» sull’isola di Ascensione nell’Oceano Atlantico meridionale: «Il comando opera anche in altre 12 sedi di postazione in tutta l’Africa. Queste località hanno una presenza statunitense permanente minima e dispongono di strutture a basso costo e forniture limitate per consentire a questi americani dedicati di svolgere missioni critiche e rispondere rapidamente alle emergenze».

Ma uno dei massimi analisti militari e di difesa africani, Helmoed Heitman, che è anche un ex membro di alto rango dell’esercito sudafricano, ha spiegato a Epoch Times che gli Stati Uniti hanno 18 «basi o avamposti», oltre a Camp Lemonnier e l’isola di Ascensione, nel continente.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha recentemente visitato l’Egitto, la Tunisia, il Togo e la Costa d’Avorio, tutti Paesi costieri dell’Africa, suscitando speculazioni secondo cui la Cina sarebbe interessata a costruire una seconda base militare nel continente.

La visita cinese di alto livello è avvenuta nello stesso periodo in cui i francesi ritiravano le truppe dall’Africa occidentale e dalla regione del Sahel, con un corrispondente aumento delle morti legate al terrorismo.

Heitman ha detto che anche la presenza militare del Regno Unito in Kenya «non è affatto» certa: «Puoi scommettere che la Cina osserverà da vicino questi sviluppi, per vedere se gli americani e gli inglesi seguiranno i francesi e usciranno dall’arena africana, e quello sarebbe il momento ideale per la Cina per costruire sui suoi sistemi esistenti e sulla base unica esistente».

La Cina ha aperto la sua prima, e finora unica, base militare in Africa a Gibuti nel 2017, partecipando a missioni antipirateria e garantendo un passaggio sicuro per le navi cinesi che commerciano con l’Africa.

Anche altre nazioni, compresi gli Stati Uniti, mantengono basi militari a Gibuti per questi motivi. Washington sfrutta la sua sede a Gibuti anche per lanciare attacchi contro l’organizzazione terroristica al-Shabaab nella vicina Somalia.

La Makhulu ha indicato che la potenziale espansione militare della Cina in Africa potrebbe essere influenzata da eventi passati, come quando lo scoppio del conflitto nella Libia ricca di petrolio nel 2011 lasciò circa 35 mila lavoratori cinesi bloccati: «Con le molte migliaia di cinesi ora sul terreno in Africa, che lavorano su megaprogetti e nelle miniere in alcuni luoghi piuttosto pericolosi, è possibile che il governo cinese possa usarlo per giustificare la costruzione di un’altra importante base militare in Africa. Potete scommettere che la prossima crisi che metterà in pericolo i lavoratori cinesi è proprio dietro l’angolo, e Pechino non vuole un altro disastro di pubbliche relazioni come quello accaduto in Libia».

Ma Alex Vines, direttore del progetto Africa presso il think tank britannico Chatham House, non ritiene che Pechino sia «abbastanza pronta» a stabilire un’altra importante base militare in Africa. «È più probabile che la Cina cercherà di espandere le infrastrutture portuali civili esistenti e di costruire strutture a duplice uso nei porti africani in cui ha investito. La Cina migliorerebbe i porti per consentire alla marina cinese di utilizzarli, oltre alle navi commerciali cinesi».

Nel 2022, Cui Jian Chun, ambasciatore di Pechino in Nigeria, ha affermato che la Cina ha costruito 100 porti in Africa dal 2000.

Heitman ha affermato che è anche probabile che, invece di investire in una base militare, «per ora» la Cina aumenterà la «formazione militare professionale» delle forze di sicurezza africane. «Il Partito Comunista Cinese vuole conquistare i cuori e le menti in Africa, e se conquista i cuori e le menti di decine di migliaia di poliziotti e ufficiali africani dell’esercito […] beh, questa è una grande vittoria».

Nantulya ha affermato che la Cina vede la formazione della polizia e dei soldati africani come «un’opportunità per promuovere il modello di governance cinese, approfondendo al tempo stesso i legami con i partiti politici al potere in Africa». «La Cina usa questo termine chiamato ‘lavoro politico militare’. Questo termine dimostra che il Pcc non ha problemi a trasmettere il fatto che utilizza l’Epl per rimanere al potere. Il lavoro politico militare descrive tutte le attività del Pla volte a modellare l’ambiente civile per raggiungere gli obiettivi politici, ideologici e militari stabiliti dal Pcc, e Pechino sta attivamente esportando questo modello in Africa, attraverso la sua ‘educazione politico-militare’ per le forze di sicurezza africane».

Gli ex studenti africani del College di Comando dell’Esercito di Nanjing includono 10 capi della difesa, 8 ministri della difesa e diversi ex presidenti, tra cui Laurent Kabila della Rdc, Joao Bernardo Vieira della Guinea-Bissau e Jakaya Kikwete della Tanzania.

Nessuno di questi era noto per la sua adesione ai principi democratici, ma secondo Heitman «impallidivano in confronto» ai due attuali presidenti formati nella stessa istituzione, vale a dire Isaias Afwerki dell’Eritrea ed Emmerson Mnangagwa dello Zimbabwe.

Entrambi sono accusati di aver commesso diffuse atrocità sui diritti umani, tra cui la tortura e l’omicidio di oppositori politici.

Nantulya ha detto che 94 alti ufficiali mozambicani hanno studiato a Nanchino, incluso il capo della difesa di Maputo con maggiore anzianità, il generale Lagos Lidimo, così come i loro omologhi in Angola, Camerun, Ghana, Namibia, Nigeria, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda.

Nel 2024, migliaia di ufficiali militari africani riceveranno istruzione presso strutture gestite dalla Commissione militare centrale del Pcc.

La principale differenza tra l’addestramento militare fornito dalle forze occidentali agli africani e quello fornito dalla Cina, è «semplice». «Gli Stati Uniti, ad esempio addestrano i soldati africani ad affrontare i nemici esterni. La Cina addestra i soldati africani per, di fatto, opprimere e opporsi al proprio popolo».

Nantulya è andato oltre: «L’Epl aderisce al principio del controllo assoluto dell’esercito da parte del partito, ovvero ‘il partito comanda le armi’. Lo stesso Pcc ammette che è così che ha mantenuto il potere dal 1949. L’Epl non è un esercito nazionale del tipo descritto nella maggior parte delle Costituzioni e delle leggi africane che governano le forze armate. È un «esercito politico» e la spina dorsale del Pcc. I membri in uniforme sono fedeli al partito e custodi dei suoi valori, della sua storia e del suo spirito, non alla Costituzione, al governo o allo Stato. Il Pcc è a capo di tutti e tre».

Secondo la sua ricerca, 50 dei 54 Paesi africani partecipano regolarmente all’«educazione politico-militare» cinese.

Un alto ufficiale della Forza di difesa nazionale sudafricana ha riferito a Epoch Times: «Ci piacerebbe mandare i nostri ufficiali a West Point, perché lì l’addestramento è di gran lunga superiore. Ma il semplice fatto è che la Cina offre più opportunità di formazione di chiunque altro».

Negli anni ’90, durante un’ondata di democrazia, i Paesi africani – anche quelli governati da ex movimenti di liberazione in cui era normale che i partiti politici controllassero gli eserciti – adottarono nuovi modelli che rimuovevano i militari dalla politica dei partiti e trasferivano la loro fedeltà alla Costituzione.

Tuttavia, la democrazia in Africa si è indebolita negli ultimi dieci anni, e il «modello partito-esercito» cinese è sempre più attraente per i partiti «focalizzati sulla sopravvivenza del regime».

Gli errori della Cina in Africa

Simmonds ha affermato che l’Occidente dovrebbe «capitalizzare» sui «passi falsi» della Cina in Africa.

Ha sottolineato che la Cina non incoraggia le sue multinazionali a investire laddove è possibile creare valore aggiunto o ad aprire centri di ricerca o produzione in Africa: «Pechino invece si concentra principalmente sull’estrazione dei minerali. I Paesi occidentali possono prendere il sopravvento sulla concorrenza cinese capitalizzando queste carenze negli investimenti cinesi e offrendo un modello di partenariato più attraente».

C’è anche un crescente sentimento anti-cinese in Africa a seguito delle accuse, nel corso degli anni, di abusi sui lavoratori da parte delle aziende di Pechino e persino di collusione con criminali.

Degli analisti di sicurezza e intelligence hanno riferito a Epoch Times che le compagnie minerarie cinesi stanno collaborando con gruppi criminali organizzati, terroristi e funzionari governativi corrotti per gestire miniere illegali in Africa e rubare efficacemente minerali e metalli preziosi.

Diversi diplomatici stranieri e africani con cui Epoch Times ha parlato hanno riferito di crescenti tensioni tra Pechino e alcune amministrazioni africane, a causa dell’evolversi della situazione e della presenza di criminali cinesi nei loro Paesi. «Ci sono prove evidenti che le aziende minerarie cinesi hanno finanziato militanti islamici per interrompere le attività minerarie legali in diverse nazioni africane», ha spiegato Jasmine Opperman, consulente per la sicurezza presso l’Università di Pretoria. «A quanto pare, quando le compagnie minerarie legali se ne vanno a causa di violenti attacchi terroristici, le compagnie minerarie cinesi, a volte sostenute da gruppi di tipo mafioso, entrano e prendono il controllo delle miniere», ha detto l’ex agente dell’intelligence sudafricana che fornisce consulenza agli investitori internazionali sull’estremismo e la violenza politica nel continente.

David Ndii, uno degli economisti africani più rispettati e fondatore dell’Istituto degli affari economici del Kenya, ha dichiarato a Epoch Times che i governi africani e le aziende private stanno guadagnando miliardi di dollari dagli investimenti cinesi, ma ciò «stava comportando un costo enorme per il continente e le sue persone». «Sembra che alcuni cinesi considerino un loro diritto sfruttare le risorse del continente, anche attraverso l’estrazione mineraria illegale».

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) afferma che la Cina ha rappresentato oltre 282 miliardi di dollari negli scambi commerciali con l’Africa nel 2022, diventando di gran lunga il principale partner commerciale del continente.

Gli esperti minerari affermano che l’industria cinese dei metalli può mantenere le sue enormi dimensioni solo utilizzando minerali importati. Ma le forniture sono limitate, quindi si sta rivolgendo a gruppi criminali che forniscono metalli «extra» estratti illegalmente per sostenere il settore dei metalli di Pechino.

Ora, dopo anni di inazione, i governi dei Paesi fortemente alleati con Pechino stanno respingendo i presunti abusi cinesi.

La Nigeria, un Paese che gli analisti degli affari internazionali ritengono si stia avvicinando all’Occidente da quando Bola Tinubu è stato eletto presidente nel maggio 2023, è stato particolarmente proattivo nei confronti delle compagnie minerarie cinesi.

Circa un mese dopo l’insediamento di Tinubu, la Commissione per i Crimini Economici e Finanziari della Nigeria (Efcc) ha infatti arrestato 13 lavoratori cinesi.

L’Efcc ha affermato che i minatori della W. Mining Global Service erano «coinvolti in attività minerarie illegali» nello Stato di Kwara, nell’ovest del Paese. «L’azienda utilizzava granito estratto illegalmente per produrre marmo destinato alla vendita locale in Nigeria. Alcuni sospettati non avevano il permesso di lavoro; i cinesi entrano in Nigeria con visti turistici e poi lavorano», ha spiegato il presidente dell’Efcc, Olanipekun Olukoyede. L’anno scorso, in otto mesi, l’Efcc aveva arrestato più di 80 «operatori minerari cinesi senza licenza»: «Hanno anche sequestrato quasi 30 camion carichi di diversi tipi di minerali».

Nel settembre 2022, gli investigatori dell’Efcc hanno arrestato un cittadino cinese, Dang Deng, amministratore delegato della società mineraria di litio Sinuo Xinyang Nigeria.

È stato accusato e condannato per possesso illegale di 25 tonnellate di minerali grezzi assortiti e sta attualmente scontando una pena detentiva di cinque anni.

«I miei contatti in Nigeria mi dicono che le società minerarie cinesi hanno stretto accordi di sicurezza con gruppi terroristici. Gli insorti proteggono le miniere illegali dai cosiddetti outsider e proteggono i cinesi da infiltrazioni e attacchi», ha affermato la Opperman, consulente per la sicurezza presso l’Università di Pretoria.

L’ambasciata cinese in Nigeria ha negato che i suoi cittadini stiano collaborando con i terroristi, affermando di aver sempre esortato gli imprenditori cinesi a operare nel rispetto della legge.

La Cina è particolarmente determinata ad acquisire vaste scorte di litio, un metallo utilizzato nella fabbricazione di un’ampia gamma di prodotti energetici rinnovabili, comprese le batterie. L’Africa possiede alcune delle miniere di litio più grandi del mondo, come nel Congo, Mali, Sudafrica e Zimbabwe.

Global Witness, un’organizzazione no-profit internazionale che denuncia i collegamenti tra risorse naturali, conflitti e corruzione, ha impiegato diversi anni per indagare sugli abusi nel settore dell’estrazione del litio nel continente e ha pubblicato i suoi risultati nel novembre 2023.

È emerso che la «corsa» al litio africano, lungi dal realizzare una «giusta transizione energetica», rischiava di alimentare la corruzione e una serie di altri problemi ambientali, sociali e di governance: «Per generazioni, le nazioni africane sono state sfruttate per i loro minerali, e man mano che la domanda di ‘minerali [energetici, ndr] di transizione’ aumenta, c’è il pericolo che la storia si ripeta».

Il ministro delle Miniere dello Zimbabwe, Zhemu Soda, ha rivelato alla fine dello scorso anno che il Paese ha guadagnato 209 milioni di dollari dalle  esportazioni di litio nei primi nove mesi del 2023, quasi il triplo di quanto guadagnato nel 2022, principalmente a causa di un aumento dei progetti di estrazione e lavorazione guidati dalla Cina. .

Soda ha affermato che le aziende cinesi, tra cui Zhejiang Huayou Cobalt, Sinomine Resource Group, Chengxin Lithium Group, Yahua Group e Canmax Technologies, hanno speso più di 1 miliardo di dollari dal 2021 per acquistare e sviluppare progetti sul litio nello Zimbabwe.

Ha riferito ai media di Harare che la maggior parte di queste aziende avevano costruito fabbriche di lavorazione e spedivano concentrati di litio in Cina per una «lavorazione raffinata».

L’indagine di Global Witness in Zimbabwe si è concentrata sulla miniera Sandawana, di proprietà di società legate al partito al potere Zanu-Pf, uno stretto alleato del Partito Comunista Cinese.

Lo Zanu-Pf governa lo Zimbabwe sin dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1980. Da allora è stato accusato di aver massacrato e imprigionato gli oppositori e di aver gettato il Paese nella rovina economica.

Secondo i critici ha rafforzato la sua presa sul potere con elezioni fraudolente.

L’estrazione mineraria ha reso lo Zanu-Pf una delle élite politiche più ricche dell’Africa, mentre la maggioranza degli zimbabwani vive in povertà e soffre la fame di massa. «Nonostante il divieto ufficiale sulle esportazioni di litio non trasformato, la miniera di Sandawana, che ha legami politici, sembra essere stata esentata, trasportando migliaia di tonnellate di minerale fuori dal Paese nel 2023», afferma il rapporto Global Witness, secondo cui quasi tutto il litio è finito in Cina.

In Namibia, nel maggio dello scorso anno, i parlamentari hanno accusato la società cinese Xinfeng Investments di ospitare lavoratori in «condizioni di apartheid» nella miniera di litio della società Uis, a circa 321 km a nord della capitale, Windhoek.

Le accuse hanno dato luogo ad un’indagine da parte delle autorità namibiane. Alla fine un tribunale ha stabilito che Xinfeng aveva acquisito la miniera con la corruzione e la frode.

Il giudice di Windhoek ha concluso che Xinfeng aveva estratto litio utilizzando i permessi destinati ai minatori locali su piccola scala.

Global Witness ha dichiarato: «Sembra che questo abbia consentito a Xinfeng di avviare l’estrazione di un importante giacimento di litio per soli 140 dollari, evitando la necessità di una valutazione di impatto ambientale».

Il ministro delle Miniere della Namibia, Tom Alweendo, ha dichiarato a Epoch Times: «Siamo grati per la nostra amicizia con la Cina e per la fiducia che dimostra investendo in Namibia. Ma ciò non significa che dobbiamo distogliere lo sguardo dalle violazioni commesse da società cinesi canaglia sul nostro territorio».

Ha aggiunto che Xinfeng ha esportato migliaia di tonnellate di minerale di litio grezzo in Cina, senza mantenere le ripetute promesse di costruire impianti di lavorazione in Namibia.

Da allora il governo del Paese ha vietato l’esportazione di litio grezzo: «Abbiamo deciso di aumentare la lavorazione interna e di trarre vantaggio dalla domanda globale di metalli utilizzati nell’energia pulita», ha affermato Alweendo.

Lo scorso anno il governo della Rdc ha vietato a sei società cinesi di operare nella regione del Sud Kivu per aver estratto illegalmente oro e altri minerali.

Global Witness ha ricollegato le aziende cinesi a diversi casi di corruzione legati all’estrazione del litio in Congo e ha menzionato in particolare il deposito di litio di Manono come fonte di «numerosi segnali di allarme di corruzione».

Parte del rapporto del gruppo recita: «Sembra che il progetto abbia fruttato fino a 28 milioni di dollari per società di comodo detenute da intermediari implicati in precedenti scandali di corruzione che coinvolgevano l’ex presidente Joseph Kabila. Inoltre, secondo quanto riferito, un alto funzionario del partito dell’attuale presidente Felix Tshisekedi ha ricevuto 1,6 milioni di dollari in ‘commissioni’ dalla [cinese, ndr] Zijin Mining quando ha acquisito quote del progetto».

«Gli agenti anticorruzione in Congo mi hanno detto che la società di proprietà del governo che ha firmato l’accordo Manono ha venduto i diritti di estrazione del litio ai cinesi a un prezzo sospettosamente basso», ha affermato la Opperman, aggiungendo che le azioni contro le aziende cinesi di estrazione mineraria si stanno verificando in tutta l’Africa a un ritmo «senza precedenti».

Ma Marcus De Freitas, membro senior del Policy Center for the New South, ha spiegato a Epoch Times che gli abusi da parte delle aziende minerarie cinesi difficilmente riusciranno a dissuadere i governi africani dallo stringere legami ancora più stretti con Pechino. «I risultati degli investimenti cinesi in Africa sono stati molto più positivi che negativi», ha affermato De Freitas, che è anche professore ospite di diritto internazionale e relazioni internazionali presso l’Università degli Affari Esteri della Cina a Pechino. «Tutte le strade, i ponti, le zone di cooperazione economica e commerciale, le ferrovie finanziate dal governo cinese[…] quel genere di cose non viene spazzato via solo a causa delle azioni negative di alcuni conglomerati minerari cinesi».

 

Versione in inglese: Why Taking Over Africa Is a Key Part of Beijing’s Silent War Against America

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