L’immigrazione e la disUnione Europea

Quanto vanno d’accordo le due parole ‘Unione’ ed ‘Europea’ negli ultimi tempi? Dopo il summit degli Affari Interni Ue, in cui non è stato possibile trovare un accordo sulle quote, l’Ungheria ha ribadito una volta più la linea che intende seguire: pene fino ai tre anni di reclusione per chi tenta di entrare illegalmente nel Paese. Solo oggi sono state arrestate 60 persone.

Così, dopo l’Olanda, la Germania, l’Austria e la Slovacchia, anche Budapest ha ripristinato i controlli al confine. Lo stesso vale per la Francia che si è detta pronta a istituirli nuovamente: nello specifico, nei confronti dei confini con l’Italia. Pare quindi affievolirsi l’idea che stava alla base del trattato di Schengen, per il quale sarebbero stati aboliti i controlli sistematici delle persone alle frontiere interne.

Una situazione di emergenza, questo è certo. «Dal punto di vista demografico – spiega Franco Pittau, presidente onorario del Dossier Statistico Immigrazione – si poteva immaginare che l’Europa sarebbe entrata in un tornante così complesso. Però eravamo presi dai bilanci, dagli effetti della crisi […] l’Europa non era preparata, e quindi ora si cerca di guadagnare tempo».

Ma il tempo scorre, e ogni giorno migliaia di profughi arrivano in Europa. «Neppure le armi basterebbero, o i muri, per fermare questa gente». Oggi, martedì 15 settembre, arriva la notizia dell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo, nei pressi della Turchia: sono almeno 22 i migranti morti in quello che sarebbe stato il viaggio per raggiungere la Grecia.

NUOVO PIANO CONTRO GLI SCAFISTI

Durante l’incontro a Bruxelles si è decisa l’attuazione di un nuovo piano per contrastare gli scafisti. La EuNavForMed entrerà infatti nella seconda fase della sua missione navale. Mentre prima serviva a sopprimere l’illegalità dei pirati Somali, ora il suo scopo principale sarà quello di ‘usare la forza’ contro la criminalità organizzata degli scafisti.

Gli sfruttatori di immigrati hanno per anni sfruttato le ‘terre di nessuno’ per incentivare i flussi, in modo da potersi arricchire: e se pensiamo che soltanto nel 2015 in Europa sono arrivate più di 150 mila persone (dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), ciò diventa ancora più sconcertante. Ora questa missione navale si aggiunge alla già attiva operazione Triton, con la quale l’Agenzia europea di controllo delle frontiere (Frontex) verifica i flussi provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente.

Ma questa crisi non si può affrontare solo in parte: oltre al mare, anche la terra si vede coinvolta nel flusso migratorio. È dai fatti di Budapest che si pensa a quali potrebbero essere delle soluzioni nel breve-medio termine. «Nei Paesi in cui ci sono già dei campi di rifugiati, si potrebbero organizzare dei corridoi umanitari», afferma Pittau. Tuttavia «se ora lo facessimo con la Libia, ammettendo che ci autorizzassero, chi pagherebbe questi campi? È molto costoso. E poi, quelli che non riconosciamo come richiedenti asilo, chi li manda via?» Per il ministro degli Interni Angelino Alfano, citato da Ansa, «deve essere Frontex a fare i rimpatri. Deve essere una responsabilità europea e ci vogliono i soldi europei per organizzarli». Ciò che serve è quindi un piano operativo. Altrimenti, senza un coordinamento internazionale, tutto diventa molto difficile.

Per quanto riguarda l’Italia, l’accoglienza è in funzione da tempo. Oltre alle centinaia di Ong che lottano per dare una mano ai profughi in entrata nel nostro Paese, Pittau suggerisce lo sviluppo di una politica già attiva, sebbene su piccola scala. «Ci sarebbe l’accoglienza da parte delle famiglie. In via sperimentale, alcune organizzazioni, presentando dei requisiti, individuano una famiglia che potrà accogliere qualcuno. Poi viene data una quota mensile per l’accoglienza. In qualche modo, per una sola persona che magari si aggiunga a una famiglia di quattro persone, potrebbe essere anche un aiuto economico. Le Ong devono però assicurare l’insegnamento dell’italiano e l’inclusione in attività sociali. Questo succede già, ma non c’è ancora un ‘sistema’».

 
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