Famoso virologo critica l’occultamento dei dati sul Covid in Cina

Di Sofia Lam

Il Centro di Controllo delle Malattie cinese ha annunciato che durante la recente ondata di Covid, da dicembre al 19 gennaio ci sono stati un totale di 72 mila 596 morti. Tuttavia, gli ospedali e i crematori sopraffatti in tutto il Paese indicano un bilancio delle vittime molto più alto. Un rapporto della società di analisi britannica Airfinity stima i decessi giornalieri a 33 mila 900 e i totali a 708 mila dal 1° dicembre 2022.

In un’intervista in esclusiva con Epoch Times cinese, il 17 gennaio il professor Michael Ming-Chiao Lai, un importante microbiologo di Taiwan, ha dichiarato: «Con così tante persone che muoiono, si può dedurre che questo focolaio della pandemia deve essere molto grave».

Lai è un virologo conosciuto e rispettato a livello mondiale, noto come il «padre dei coronavirus» per il suo ruolo nell’affrontare lo scoppio della sindrome respiratoria acuta grave (Sars) nel 2003. Ha vinto numerosi riconoscimenti, tra cui il Faculty Lifetime Achievement Award dalla University of Southern California (Usc) nel 2008, e il Lifetime Achievement Award dalla Society of Chinese Bioscientists in America (Scba) nel 2009 per i suoi eccezionali risultati nella virologia molecolare, specialmente per quanto riguarda l’epatite e i coronavirus e le loro implicazioni in diverse malattie infettive umane, il cancro e le terapie.

Lai ha criticato il Pcc per aver nascosto le informazioni sul virus: «È probabile che l’epidemia in Cina avrà un impatto su tutto il mondo. Dobbiamo impedire che un altro ceppo virale causi un’epidemia globale».

La chiave per prevenire un focolaio globale è identificare il virus o le sue sotto-varianti: «Dobbiamo sapere quale sotto-variante è prevalente [in Cina, ndr]. Se si tratta di una nuova sotto-variante, la precedente immunità non può proteggere completamente le persone».

Possibili mutazioni in Cina

Ba.5.2 e Bf.7, le attuali varianti dominanti di Omicron, causano solo infezioni delle vie respiratorie superiori, che sono più lievi, come riscontrato in Paesi diversi dalla Cina.

Tuttavia in Cina, il 13 gennaio i funzionari sanitari del Pcc hanno affermato che proprio queste due sotto-varianti rappresentavano il 97% del totale di 19 sottovarianti Omicron rilevate nel Paese. Allora perché tanto caos?

Lai ritiene che i dati del Pcc non siano affidabili perché «le informazioni della Cina sono sempre state poco chiare e non rese pubbliche». «Il punto più critico è se sia o meno lo stesso virus di prima a prevalere in Cina; il problema è che non abbiamo dati sufficienti per dare un giudizio definitivo in merito. Detto questo, è molto probabile che i ceppi mutanti in Cina siano leggermente diversi».

Lai sottolinea ancora una volta che gli scienziati hanno bisogno di informazioni più veritiere dalla Cina: «Diverse varianti del virus causano sintomi diversi. Un leggero cambiamento nella sequenza di aminoacidi e geni nel virus cambierà le sue proprietà immunitarie e diventerà un nuovo ceppo mutante, che non sarà sconfitto dal precedente sistema immunitario. Alcuni ceppi del virus possono causare malattie più gravi».

Le parole di Lai hanno fatto eco a quelle della dottoressa Yan Limeng, che era un membro del laboratorio di riferimento dell’influenza H5 dell’Oms con sede presso la Facoltà di Sanità Pubblica dell’Università di Hong Kong, prima di fuggire negli Stati Uniti dopo aver messo in dubbio l’origine del virus del Covid-19.

In una recente intervista con Epoch Times, Yan ha affermato che non ha senso che le stesse varianti di Omicron abbiano provocato un’epidemia molto più grave in Cina che nel mondo.

Il 10 gennaio ha rivelato che il suo team aveva trovato «un piccolo cambiamento» nelle sottovarianti Omicron trasportate dai viaggiatori cinesi in Italia, che possono bypassare la difesa immunitaria e fare più danni al corpo umano.

Yan ha anche criticato il Pcc per aver nascosto i dati sulla pandemia in Cina. Il suo team ha studiato se l’aggiramento della difesa immunitaria sia naturale o artificiale. Ma hanno bisogno di «più tempo e più opportunità per trovare più prove» a causa della difficoltà di accedere ai veri dati della pandemia in Cina.

«Contro l’etica medica»

La brusca inversione di marcia del Pcc dalle sua politica Zero-Covid è «contro l’etica medica», afferma Lai.

«Non sono d’accordo con le politiche di isolamento a lungo termine», ha affermato, in riferimento alla Zero-Covid.

Poi, però, dallo scorso dicembre, il Pcc ha spinto – al contrario – perché si verificassero contagi di massa, nel tentativo di ottenere rapidamente l’immunità di gregge, mentre allo stesso tempo mancava un’adeguata preparazione delle risorse mediche. Il vero bilancio delle vittime deve ancora essere rivelato.

E Lai non è d’accordo con questo approccio estremo. «Questo approccio [di massicce infezioni, ndr] consiste nel sacrificare alcune persone per proteggerne altre, il che non è praticabile eticamente. Non dovrebbe esserci un’idea del genere di proteggere alcune persone sacrificandone altre, è contro l’etica [medica, ndr]. Dobbiamo proteggere tutti».

 

Articolo in inglese: Prominent Virologist Criticizes CCP’s Coverup of COVID Data, Says Virus Could Have Mutated in China

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